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Persone negative: come riconoscerle e gestirle

A volte ci troviamo ad avere a che fare con persone - o partner - impegnativi, con cui risulta difficile andare d'accordo o farli contenti, o con cui si entra facilmente in conflitto anche per inezie; al punto che magari dubitiamo di essere noi quelli "sbagliati", o la causa dei problemi. Certo a volte potrebbe essere vero, oppure dipendere da scarsa compatibilità (in fondo non possiamo piacere a tutti, e non possiamo andare d'accordo con tutti).

Ma esiste un'altra possibilità, che voglio esaminare qui: quella di avere a che fare con una "persona negativa", cioè qualcuno così ferito e problematico da:
  • lamentarsi e criticare spesso e volentieri (anche su inezie);
  • esagerare i problemi (o inventarseli);
  • che reagisce male anche quando non ce ne sarebbe ragione;
  • che spesso interpreta in modo negativo anche azioni positive (un complimento, un suggerimento, un abbraccio...);
  • e con cui è praticamente impossibile avere una relazione positiva e serena (tranne che in rari momenti).
A volte una relazione con questo tipo di persone inizia bene, o addirittura in modo entusiastico; spesso sanno essere coinvolgenti o seduttivi - almeno agli inizi. Ma entro breve tempo il vero carattere di queste persone emerge, e la frustrazione supera presto il piacere.
Un tipo particolare di persona negativa è il "vampiro emozionale", ovvero qualcuno che "succhia" l'energia altrui: ha continuo bisogno d'attenzione, parla quasi sempre di se stesso, tende al dramma e si lamenta che gli altri non lo capiscono, non lo considerano, o lo trattano male - ma tutto ciò che gli accade non è mai colpa sua.

Se ci capita di relazionarci con persone di questo tipo (sia a livello di amicizia che sentimentale), è bene saperle riconoscere in modo da capire la vera origine delle difficoltà, il perché si comportino in tale modo (anche quando appare immotivato), e magari provare a gestire la loro negatività.

“Un tipo di persona negativa
è il vampiro emozionale, ovvero
chi succhia l'energia altrui”

Chi è una persona negativa?

Queste persone non sono mai davvero contente, o lo sono solo per brevi rari momenti: il loro standard è sentirsi insofferenti e lamentarsi di qualcosa. Hanno un malessere interno (che si esprime in negatività) così preponderante da dominarle.
Questo malessere può venire negato attraverso il tenersi impegnati, oppure venire attribuito all'esterno: "Sto male a causa di Tizio/a", "... perché mi hanno fatto X e Y", "... perché il mondo fa schifo", ecc. Difficilmente queste persone ammettono che il loro malessere è interno: preferiscono dare le colpe agli altri, o all'ambiente, e negano la propria responsabilità.

Negative loro malgrado

Chiariamo subito che non sta parlando di persone cattive o malvage:
  • Queste ultime sono distruttive in modo intenzionale, e magari ne traggono anche piacere.
  • Mentre quelle che definisco "negative" lo sono senza intenzione consapevole, ne soffrono, e sono spesso le prime vittime del proprio comportamento. Anche quando tengano sinceramente a qualcuno, possono finire col rovinare la relazione coi loro atteggiamenti, e quindi ritrovarsi abbandonate e soffrirne loro malgrado.

Teniamo quindi presente che la vittima principale è la persona negativa stessa. Costei vive infatti prigioniera di una specie di "inferno mentale", di cui in genere non si rende conto e da cui non sa uscire. Lo scopo di questo post non è quindi condannare tali persone, quanto aiutare gli altri a capirle; nonché aiutare loro stesse a riconoscersi ed - eventualmente - cercare aiuto per uscire da questa condizione.


Come riconoscere le persone negative

Naturalmente quasi mai una persona sarà negativa o positiva al 100%. Possiamo quindi considerare "negativo" chi presenta una maggioranza degli attributi descritti di seguito, o che li manifesta la maggior parte del tempo.
  1. Si lamentano di frequente
  2. Prendono le cose troppo sul serio, o in modo personale
  3. Fanno critiche ma non sanno riceverle
  4. Vogliono l’impossibile
  5. L'amore che ricevono non è mai abbastanza
  6. Si paragonano spesso agli altri
  7. Si arrendono davanti alle difficoltà
  8. Hanno una serie di problemi di salute

1. Si lamentano di frequente

Tutti ci lamentiamo qualche volta; è umano ed aiuta a scaricare la frustrazione. Lamentarsi diventa però un problema quando è uno stile di vita: si perde l'obiettività e quasi tutto viene percepito come negativo, sgradevole, inaccettabile. Non si vedono più sfumature e possibilità alternative. L’attenzione si concentra sulle frustrazioni (per quanto minime), sulla sofferenza e sui torti ricevuti (reali o immaginari). Gli eventi positivi vengono sminuiti o ignorati; chi ne gode viene tacciato di superficialità o infantilismo.

Non è più una naturale reazione ad uno stato di sofferenza oggettivo, ma una posizione esistenziale negativa nei confronti del mondo. Un "pessimismo cosmico" elevato a modello di vita. In genere è un modo di proiettare all'esterno il dolore interiore che attanaglia la persona negativa (incapace di riconoscere il male che ha dentro, lo vede fuori di sé e gli attribuisce l'origine della propria sofferenza).

Si concentrano sul negativo

Queste persone si concentrano sugli aspetti negativi in ogni situazione, oppure vedono solo quelli. Per esempio, in una splendida giornata soleggiata si lamenteranno del caldo; dopo un pasto delizioso si preoccuperanno di ingrassare; se attraversano un prato di campagna ricco di fiori, ma con anche degli escrementi di vacca, costoro noteranno solo gli escrementi (per loro "Il bicchiere è sempre mezzo vuoto").

2. Prendono le cose troppo sul serio, o in modo personale

Quando non si ha abbastanza amor proprio e maturità, l'ego risulta molto fragile. Queste persone non tollerano le brutte figure e cadono nel panico al pensiero di apparire ridicoli. Non riescono neppure ad accogliere le critiche, anche quando sono veritiere e potrebbero aiutare. Ogni espressione negativa altrui, anche scherzosa, suscita in loro indignazione, offesa o persino collera.
Certo tutti abbiamo qualche insicurezza e cerchiamo di fare bella figura, ma se abbiamo sufficiente equilibrio sappiamo anche gestire passi falsi o critiche con umiltà. Invece la persona negativa prende tutto molto seriamente, appare incapace di auto-ironia, e solleva un dramma ogni volta che il suo ego viene sminuito, anche in misura minima.

Prendono gli eventi sul personale

La persona negativa tende a prendere gli eventi sul personale, come se si mettesse sempre al centro del mondo, non riuscendo ad immaginare che gli altri possono pensare ad altro od essere immersi nei propri problemi:
  • Se il collega non li saluta pensano subito che sia perché ce l'ha con loro - non perché magari è distratto.
  • Se un automobilista gli taglia la strada lo vedono come un affronto personale, come se fosse stato fatto apposta - senza considerare che magari l'altro non li ha nemmeno visti.
Poiché tendono a prendere tutto sul personale, tendono anche a serbare rancore, a ricordarsi ogni sgarbo per anni, a coltivare pensieri di vendetta.

3. Fanno critiche ma non sanno riceverle

La persona negativa tende a criticare spesso e volentieri, ma è suscettibile e incapace di accogliere le critiche rivolte a lei, anche se sensate o poste in modo civile. Di solito tende a prendersela od offendersi, o cerca di scaricare la critica sull'interlocutore ("Non sono io che faccio X, sei tu che sei sempre Y"), oppure fa la vittima piangendosi addosso ("Ce l'hai con me", "Mi critichi sempre").

E' stupefacente notare l'atteggiamento diametralmente opposto:
  • Lei si sente in diritto di criticare tutto e tutti, senza ritegno.
  • Ma in genere reagisce con sdegno, o ferocia, alla minima critica ricevuta.

Parlano male degli ex

Un aspetto su cui le persone negative sono particolarmente critiche, di solito è quello degli ex partner. Spesso vengono tutti dipinti come individui pessimi, egoisti e manipolatori; e l'elenco di aneddoti riprovevoli fa apparire la persona negativa come una povera vittima dotata di tanta pazienza e amore. A sentire lei, tutti i problemi erano sempre e solo colpa dell'ex, e mai suoi.

Ma è verosimile? Possibile che sia stata così sfortunata? Se però abbiamo la possibilità di sentire "l'altra campana", o l'opinione di amici comuni, in genere scopriamo che le cose non stanno proprio così: che entrambi hanno avuto pregi e difetti (com'è naturale), che l'ex non era così terribile, e che la persona negativa ha avuto la sua buona dose di responsabilità nelle crisi e nella rottura della relazione.

4. Vogliono l’impossibile

Ci sono molte cose impossibili nella vita, o fuori dalla nostra portata, ma alcuni non sanno accettare questo limite naturale. Costoro non tollerano che la frustrazione fa parte dell’esistenza, o che non sempre otteniamo quello che vorremmo.

Alcuni avrebbero voluto nascere in una famiglia amorevole e accogliente, o in un ambiente benestante, o con un fisico scultoreo. Ma se non è andata così, non ci si può fare nulla. Chi coltiva il rimpianto per ciò che non è stato, sarà sempre amareggiato e non saprà apprezzare ciò che ha (in confronto ai sogni, non sembrerà mai abbastanza).

Lo stesso accade a chi persegue obiettivi impossibili. Per esempio inseguendo ideali di bellezza sovrumani, o cercando l'amore in chi non ci vuole, o sforzandosi di restare giovane a qualsiasi costo. Forse lo fanno perché, se riuscissero ad arrivarci, dimostrerebbero a se stessi di avere finalmente valore (cosa in cui non credono). Ma gli obiettivi impossibili portano solo al fallimento e, con esso, frustrazione, infelicità e svalutazione di se stessi (se credo a un obiettivo impossibile, e fallisco, penserò che è colpa mia).

5. L'amore che ricevono non è mai abbastanza

Spesso per la persona negativa l'amore non basta mai (perché ha dentro una "voragine affettiva"). Oppure lo respinge (perché non riesce a credere di poter venire amata) o, ancora, è così esigente o pesante che finisce con l'allontanare chi cerca di amarla.
All'inizio di una nuova relazione può apparire grata ed entusiasta; ma in breve tempo la sua negatività torna a mostrarsi, emergono una serie di fastidi e lamentele, e l'apprezzamento verso il partner diminuisce. Di fronte a questo cambiamento il partner può ritrovarsi spiazzato e credere che sia una fase temporanea; prima o poi però si rende conto che è invece lo stato abituale.

Spesso questo tipo di persona dice di soffrire perché non si sente amata; ma quando poi viene amata, continua a stare male ugualmente (tranne magari un breve periodo gioioso) perché l'amore non riesce mai a sopraffare il malessere e la negatività che ha dentro. Oppure se riceve dal partner dieci atti piacevoli e due sgradevoli (cosa umana, in fondo, poiché nessuno è perfetto), tenderà ad ingigantire quelli sgradevoli e dimenticarsi di quelli positivi - rimanendo convinta che il partner non tiene davvero a lei.

Non apprezzano chi dà loro molto

Anche per questi motivi, di solito dare molto non funziona con queste persone. Se si cerca di riempirli di cure e attenzioni, nella speranza di farli stare meglio, dopo un po' è probabile che ciò che si dà non venga più apprezzato, si finisca col venire dati per scontati, o che se ne approfittino (si dà un dito e l'altro si prende un braccio).

Al contrario, darsi poco o concedersi solo ogni tanto viene solitamente più apprezzato (magari se ne lamenteranno, ma tanto lo fanno comunque). E' spesso il tipo di persona con cui è vero che "in amore vince chi fugge".

6. Si paragonano spesso agli altri

Le persone negative sono particolarmente inclini a fare paragoni con gli altri, sia in senso positivo che negativo:
  • Alcuni si vantano e svalutano gli altri, evidenziando i difetti altrui per apparire migliori. Le frequenti critiche rivolta agli altri (vedi punto 1) possono servire a questo scopo. Spesso traggono soddisfazione dalle disgrazie o mancanze altrui perché le vedono come un segno dell'inferiorità altrui, ed una conferma della propria "superiorità".
  • Altri evidenziano quanto gli altri siano più fortunati o di successo, il che permette loro di assumere un atteggiamento da vittima, oppure di giustificare la propria infelicità o passività ("Non è colpa mia, non ho quello che hanno gli altri, mi mancano le capacità, non ci riuscirei comunque...").

In entrambi i casi, confrontarsi in continuazione con gli altri è un atteggiamento poco sano; implica una mancanza di autonomia e di una solida identità personale (quando ho una sana identità, so chi sono senza bisogno di usare gli altri per definirmi). Attraverso i paragoni, si valuta se stessi e si giudicano le proprie azioni in funzione di quello che fanno gli altri; ma poiché siamo tutti diversi ed ognuno ha la propria storia, è una modalità disfunzionale che porta all'antagonismo e all'insoddisfazione personale.

La loro sofferenza conta di più

Queste persone hanno spesso la convinzione di soffrire più degli altri, o di essere le uniche a stare male - arrivando a sminuire o negare la sofferenza altrui. Quando qualcuno parla dei propri problemi, tendono a riportare il discorso su se stessi ("Ti capisco, anche a me è successo che ecc. ecc."). Non di rado sono insofferenti quando l'attenzione è rivolta alle problematiche altrui invece che alle loro.

7. Si arrendono davanti alle difficoltà

Essendo psicologicamente deboli, le persone negative spesso si scoraggiano o si arrendono di fronte ad ostacoli e sfide. Magari dicono tanti "Vorrei", "Mi piacerebbe" o "Dovrei", ma il più delle volte non fanno seguire al pensiero l'azione. Spesso non provano nemmeno, oppure la fatica o la frustrazione li inducono a smettere ai primi tentativi.

Se ricevono suggerimenti o incoraggiamenti (magari in risposta alle loro lamentele) per migliorare se stessi o la loro situazione, assumono un atteggiamento rinunciatario: trovano scuse o scaricano la responsabilità all'esterno ("non possono" per via dei genitori, del capo, dei figli, della società, ecc.).

Naturalmente ogni obiettivo meritevole richiede sforzo e fatica, nonché la perseveranza necessaria per perseguirlo: è il "prezzo da pagare" per arrivarci. Allo stesso modo, entrare in azione - a dispetto di paure, timidezza o difficoltà - è un passo indispensabile per realizzare qualsiasi cosa (pensiamo all'invitare qualcuno che ci piace).
Quando riusciamo ad agire e affrontiamo la vita, diventiamo più forti e aumentiamo l'autostima. Chi invece tende sempre a rinunciare e arrendersi, alimenta una sensazione di debolezza e impotenza che finisce con l'incrementare il suo atteggiamento negativo verso l'esistenza.

8. Hanno una serie di problemi di salute

Una mentalità negativa non è solo deprimente per se stessi e fastidiosa per gli altri. A lungo andare, può portare anche al deterioramento della salute fisica (sia per uno stile di vita malsano, sia per effetti psico-somatici).

Spesso ho osservato nelle persone negative che, oltre ad avere una particolare suscettibilità emotiva, hanno anche una insolita reattività fisica: non di rado soffrono di intolleranze alimentari, allergie, disturbi psicosomatici, difficoltà digestive o stitichezza - in modo cronico o a livelli elevati per la loro età.

Occasionale o abituale?

Naturalmente comportamenti del genere possono capitare a chiunque. Ma per la persona negativa è uno stato costante; anche quando cerca di distrarsi, vi ricade facilmente (per esempio se va a fare una gita, magari all'inizio appare contenta, ma presto inizia a lamentarsi di questo e di quello, o mostrare insofferenza, ecc.)

Se scopri di essere negativo

Se ti ritrovi nei tratti sopra elencati, ricorda che puoi sempre cambiare. Questo atteggiamento infatti non è innato ma è qualcosa di appreso, che quindi può essere disimparato:
  • Per prima cosa, riconosci che tale atteggiamento non ti porta nulla di buono; invece ti rovina l'umore, inquina momenti che potrebbero essere lieti, e fa allontanare gli altri.
  • Poi puoi iniziare a coltivare un atteggiamento positivo, ed imparare ad apprezzare le cose buone che ti circondano.
  • Se fatichi in questo cambiamento, considera di farti aiutare da un esperto (terapeuta, counselor, coach, ecc.).

Negativo è diverso da problematico o sofferente

Voglio precisare che una condizione di sofferenza o problematica non implica necessariamente essere una persona negativa:
  • Le persone negative sono sempre sofferenti, ma non tutti quelli che soffrono diventano negativi. Una grande sofferenza può renderci persone peggiori, ma anche migliori: magari imparando dall'esperienza, o se essa ci ispira a migliorare il mondo, invece di criticarlo.
  • Similmente, anche se le persone negative sono sempre problematiche (cioè hanno una personalità disturbata da eventi che li hanno segnati), non è sempre vero il contrario: ci sono persone problematiche che però sviluppano un atteggiamento positivo o costruttivo.

Le persone realmente negative, invece, risultano così condizionate dalle loro esperienze infelici, da adottare una sorta di "occhiali scuri permanenti" per cui vedono l'intera esistenza, e il mondo, in modo oscuro, sfiduciato e pessimista. Non di rado possono persino sviluppare manie di persecuzione ("Il mondo ce l'ha con me", "Sono destinato ad essere infelice"...), o mentalità complottiste.

“Non tutti quelli che soffrono
diventano negativi”

Come gestire le persone negative

Partiamo subito col dire che non è possibile cambiare gli altri. Quindi non possiamo rendere queste persone meno negative, o più serene e felici. Anche se agiamo con le migliori intenzioni (perché le vediamo sofferenti e vorremmo vivessero in modo più positivo), ciò è quasi impossibile: è come se fossero "possedute" da una forza più grande di loro, ed anche se dicono di voler stare meglio, di solito si oppongono ai cambiamenti.
In pratica non è possibile "salvare" queste persone: quasi sempre sono troppo bloccate nei loro schemi mentali (che, ricordiamo, servono in qualche modo a proteggerle, e per questo l'inconscio vuole mantenerli).

E' difficile essere autentici con loro

Quando abbiamo a che fare con persone negative, essere sinceri diventa un problema, a causa della loro suscettibilità (se la prendono facilmente, vedi punti 2 e 3) e del negare la responsabilità (non è mai colpa loro). Quindi se ci viene da esprimere un'osservazione, od un'opinione non del tutto lusinghiera, o siamo in disaccordo con loro, spesso tendono a prendersela e reagire male. Col tempo ciò diventa così logorante da indurci a mentire, o a tenerci dentro quello che sentiamo.

In altre parole, con queste persone essere se stessi è faticoso; anzi tendiamo a "camminare sulle uova", nel timore delle loro reazioni. Ovviamente questo rende pressoché impossibile avere una relazione autentica e profonda con loro.

Porsi a distanza

Se il loro modo di essere alla lunga ci diventa pesante e logorante (com'è naturale che sia), ma non vogliamo - o possiamo - tagliare i rapporti, l'opzione migliore è solitamente creare una certa distanza: vederle meno, o per brevi periodi. Se questo ci è impossibile (perché è un collega o un familiare stretto), possiamo fare in modo che siano presenti altre persone (che possono distrarre o "fare da cuscinetto"), oppure spostare la conversazione su argomenti "neutri" che non sollevino polemiche.
Per quanto possibile, evitiamo discussioni o tentativi di convincerli o di far loro cambiare idea: di solito è solo tempo perso, e fonte di ulteriori malumori e conflittualità.

Trattarli male può funzionare

A volte "trattare male" (in senso relativo) queste persone funziona meglio che trattarle bene, perché corrisponde al loro modo di pensare. Se siete insofferenti a loro, potreste provare a dire cose tipo "Piantala di lamentarti o criticare", "Smetti di parlare sempre di te", "Datti una calmata", "Sei pesante, non ti sopporto più", ecc. Alcuni si renderanno conto di esagerare e cercheranno di arginare la loro tendenza negativa.
E' anche possibile che vi considerino con maggiore stima, perché non avete subito passivamente. Un po' come con i bulli, rispettano più chi li tratta con rigore che chi assume atteggiamenti bonari (di cui spesso si approfittano).

E' però anche possibile, specialmente se avete a che fare con individui assai egocentrici o narcisisti, che reagiscano in modo offeso, con aggressività o addirittura violenza. Quindi meglio inquadrare il tipo prima di adottare questo atteggiamento.

Genitore tossico

Un caso particolare è quando la persona negativa è un "genitore tossico", ovvero chi ha un comportamento talmente negativo da creare seri problemi psicologici ad un figlio/a, per esempio:
  • Sempre critico, aggressivo o svalutante.
  • Non offre mai apprezzamento ad un figlio, per quanto questo si sforzi.
  • Fa sentire spesso il figlio inadeguato, sbagliato, non all'altezza.
  • Sostiene ripetutamente che il figlio non potrà mai essere amato, o che nessuno lo vorrà, o che non verrà mai amato come quel genitore lo ama.

Genitori del genere possono rovinare la vita dei figli, e per questa ragione i figli dovrebbero allontanarsi il prima possibile, anche a costo di perdere il rapporto; ne va della loro salute. Come minimo, con un genitore del genere il figlio dovrebbe rassegnarsi al fatto che non riceverà mai l'amore e l'approvazione che ha sempre desiderato da lui; ogni tentativo in tal senso, infatti, non fa che riaprire la ferita di autostima che quel genitore ha creato.

“Un genitore tossico
è così negativo da creare
seri problemi psicologici ai figli”

Perché abbiamo scelto questa persona?

Se ci troviamo invischiati con una persona negativa che abbiamo scelto (come amico o partner), e magari ci è già successo in passato, potremmo chiederci come mai abbiamo scelto proprio loro. E' vero che spesso queste persone, all'inizio, sono abili a nascondere la loro negatività, ed anzi possono essere molto seduttive o affettuose (di solito hanno problemi di dipendenza affettiva e soffrono di un senso di vuoto); ma se restiamo comunque nella relazione, pur patendola, forse abbiamo delle motivazioni inconsce.

A volte ne siamo attratti perché ci ricordano un genitore altrettanto negativo, o infelice. E magari ci attacchiamo a loro nella speranza di "guarirli" e superare il senso di "scarso amore" che abbiamo vissuto nell'infanzia (per approfondire questo tipo di ferite emotive, vedere il libro "Running on Empty" di Jonice Webb, sulla negligenza emotiva durante l'infanzia (info nella Bibliografia).

Possibili cause

Come per tutti i problemi psicologici, le origini di questa personalità possono essere molteplici. Le cause più probabili mi sembrano le seguenti:
  • Genitori iper-critici o severi (per cui i figli non vanno mai abbastanza bene).
  • Genitori freddi o anaffettivi (che lasciano una dolorosa ferita di assenza d'amore, ed il relativo malessere).
  • Genitori a loro volta molto negativi (per cui i figli assorbono questa modalità).
  • Traumi o abusi.

Parlando di disturbi psicologici, l'essere abitualmente negativo può essere sintomo di un serio stato depressivo, o persino di un disturbo borderline di personalità.

Come aiutare queste persone

Chi soffre di questo stato avrebbe bisogno prima di tutto di riconoscerlo, e poi di farsi aiutare da un esperto per uscirne. L'ostacolo più grande è proprio che, di solito, queste persone negano i propri problemi e preferiscono attribuirli agli altri; per cui raramente sono disposti a cambiare.

Se di fronte all'argomento questa persona reagisce con decisa negazione ("Io non ho niente! Sono gli altri che...!") e magari rabbia, è meglio non insistere perché non porterebbe a nulla: in questi casi il "muro di resistenza" è insormontabile. Anche solo far notare quando la sua negatività non corrisponde alla realtà, di solito viene preso male e scatena risentimento ("Nessuno mi capisce", "Ce l'avete con me"...).
E' solo quando questa persona raggiunge un livello di sofferenza e/o disperazione tale da chiedere aiuto, che si apre la possibilità di parlarne ed indirizzarla verso chi può assisterla in un percorso di guarigione.


(parte di questo post è liberamente adattata da "Negative People: 5 Characteristic Features")

"Non c'è modo di cancellare la sofferenza dalla faccia della terra, ma ci si può sempre concentrare sulla bellezza che rimane. Per farlo, cominciamo a lasciar perdere le lagnanze improduttive."
(P.M. Forni)

"E' umano provare emozioni negative, ma non bisogna farle prevalere."
(Anthony del Mello)

"Niente abbellisce il carattere, l'aspetto fisico o il comportamento quanto il desiderio di diffondere gioia anziché sofferenza."
(Ralph Waldo Emerson)


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8 ragioni per cui tutti soffriamo

Spesso capita di chiedersi le ragioni della propria sofferenza, o di stupirsi nel vedere quanto comune sia vedere persone che soffrono.
  • Molti non si capacitano di tutto questo dolore, forse perché ritengono che sia naturale essere felici, e vedono il dolore come una "anomalia".
  • Alcuni si sentono confusi o smarriti, specialmente se credono ad una figura divina amorevole ed onnipotente: "Se Dio ci ama, com'è possibile che questo accada?".
  • Certi sono convinti che tutto questo sia dovuto a "figure oscure", a qualche personaggio malevolo come rappresentato nei film popolari o di supereroi - dove il "cattivone" viene sconfitto e tutto ritorna in pace.

La vita comporta sofferenza

Sull'argomento della sofferenza io concordo con il buddismo, che afferma: "La vita è sofferenza" (o, per meglio dire, nella vita sono inevitabilmente inclusi sofferenza, impermanenza e cambiamento). Quindi la sofferenza è naturale, è parte dell'esistenza stessa, ed è per molti versi inevitabile.
Se crediamo che così non sia, è perché ci hanno "raccontato delle favole", cioè instillato convinzioni che non corrispondono alla realtà (per esempio l'idea di un dio per cui siamo creature privilegiate, o che siamo tutti buoni ma qualche malvagio rovina tutto, o che la felicità sia un diritto, o che ci venga naturale - tutte cose smentite dai fatti).

Capisco che le mie affermazioni possano lasciare increduli: dopo tutto, se vi siete sentiti dire certe cose da una vita, è difficile metterle in discussione. Quindi elenco otto ragioni che dimostrano come la sofferenza sia "normale", spesso inevitabile, e parte della vita stessa.
Naturalmente non vi chiedo di credermi sulla parola. Considerate ognuna di queste ragioni e confrontatela con la realtà, con i fatti concreti; e decidete voi se corrisponde al vero.


Otto ragioni per cui tutti soffriamo

1. Il mondo non è fatto per renderci felici

Pensare che la realtà sia "al nostro servizio" è una forma di egocentrismo clamorosa. Il mondo esisteva molto prima che noi umani entrassimo in scena (siamo "appena arrivati", in tempi cosmici), e continuerà ad esistere molto dopo che ci saremo estinti. Quindi credere che il mondo esista per farci contenti è una follia, che porta inevitabilmente ad aspettative illusorie, delusione e rabbia.

La felicità non è scontata, è un'arte. L'arte non accade di default, per conto suo: va creata con talento, impegno, sacrificio e un pizzico di (o molta) fortuna. La felicità idem. Se uno non coltiva e mette in atto le sue capacità di creare felicità, questa non avverrà (o avverrà di rado, per colpi di fortuna).

2. Non siamo progettati per essere felici - ma per sopravvivere e riprodurci

La felicità è per noi un sottoprodotto, una casualità, un dono dal cielo. L'amigdala, parte del cervello che domina le nostre scelte istintive e viscerali (reazioni "fight or flight", di lotta o fuga), dà una priorità assoluta alla sopravvivenza, e ben poca alla felicità (semmai favorisce il piacere temporaneo, che è cosa diversa).
Potremmo pensare che la nostra parte razionale (neo-corteccia) compensi. Ma nel nostro cervello le parti istintive ed emozionali (come pure l'inconscio), che puntano alla sopravvivenza e a difenderci molto più che alla felicità, sono preponderanti. La neo-corteccia è, sia in termini evolutivi che funzionali, "l'ultima arrivata".

Similmente, per lo più le nostre scelte sentimentali sono guidate da istinti e pulsioni innati, che non hanno come scopo la felicità o il benessere, ma la riproduzione dei propri geni. Essere attratti da qualcuno non dà garanzie di una relazione felice: è un "trucco" della Natura per indurci a procreare.

"Il sesso è una trappola della natura per evitare l'estinzione."
(Friedrich Nietzsche)

Non c'è quindi da stupirci se le nostre relazioni sono spesso così complicate, insoddisfacenti e deludenti. Il Romanticismo ci dice che lo scopo dell'amore è essere felici insieme, ma la Natura ha priorità ben diverse.

3. Abbiamo aspettative elevate e illusorie, e che diamo per scontate

A molti sembra naturale essere felici, si aspettano che gli altri li rendano felici (i partner), o che si prendano cura di loro (la famiglia, lo Stato). Di conseguenza vivono come bambini passivi, in attesa della "manna dal cielo".
Non si prendono attivamente la responsabilità della propria vita (o lo fanno solo in parte), delegando ad altri questo compito. Tutte le persone che si lamentano abitualmente, che fanno le vittime e si piangono addosso, ma non agiscono per migliorare la situazione, rientrano in questo schema.

Una differenza con epoche precedenti è che, in passato, le persone non si aspettavano di essere felici (il loro obiettivo primo era sopravvivere): vivevano esistenze ben più difficili, e avevano aspettative molto più basse. Oggi invece ci sentiamo in diritto di essere felici (aspettativa che conduce alla delusione). Molte persone soffrono perché si aspettano una vita a "livello 100", e non sanno godersi la loro vita a "livello 30".

4. I media alimentano le nostre illusioni

Pubblicità, social network, ma anche testate informative, continuano a mostrarci vite ideali e sogni in technicolor che ci fanno sentire inferiori, ed in cui tutti sono più belli e felici di noi. Questo alimenta aspettative irreali (la ragazza che vorrebbe un fisico da modella, l'uomo che vorrebbe il posto da manager...) e una continua rincorsa verso una ipotetica felicità futura ("Sarò felice quando...") che non si raggiunge mai (la felicità esiste solo nel momento presente).

Ma la responsabilità non è solo dei media falsi e manipolatori: spesso ci lasciamo ingannare perché vogliamo essere ingannati (sedotti, illusi). Poiché la realtà è sovente scomoda o deludente, rifiutiamo di riconoscerla ed invece siamo pronti a credere alle favole, ad ascoltare il "canto delle sirene".

Come detto nel punto precedente, la felicità (o sofferenza) è direttamente collegata alle aspettative: se io mi aspetto 25 ed ottengo 50, sarò felice; se mi aspetto 75 ed ottengo 50 sarò addolorato. Eppure in entrambi i casi ho ottenuto lo stesso risultato!
In certe culture (o in alcune epoche passate), dove non si esaltano ego ed individualismo, e dove si insegna la moderazione ("In medium stat virtus", la virtù sta nel mezzo), l'accontentarsi e l'adattarsi (Stoicismo), in media le persone sono meno stressate, più serene e più contente della loro vita.

5. Combattiamo con la realtà, invece di accettarla o di collaborare con essa

Se combatto contro l'inevitabile (come la morte) perderò sempre e comunque. Se mi aspetto che la realtà si adatti a me (invece che essere io ad adattarmi ad essa), avrò risultati scarsi o nulli. Invece di vederci - con umile realismo - come piccole particelle di un mondo sconfinato, spesso ci aspettiamo che sia il mondo a girare intorno a noi.

Questo tipo di mentalità "narcisista" ("Il mondo esiste per me, per servire me") è alla base di molte delle sofferenze moderne. Il narcisismo altrui ci fa arrabbiare, ma il nostro ci appare giustificato. Una tendenza egocentrica o narcisista è insita nell'essere umano, ma la società moderna l'ha alimentata a livelli mai visti prima.

6. I genitori sono incompetenti

Molte sofferenze e problemi nascono da esperienze infantili negative o traumatiche. I genitori sbagliano spesso, anche con le migliori intenzioni, perché:
  • A. Errare è umano e inevitabile
  • B. Praticamente nessuno insegna loro come fare
(da notare che B è rimediabile, mentre A no).

In aggiunta, le persone meno adatte a crescere figli (immature, nevrotiche, infelici, ignoranti, primitive...) sono quelle che più probabilmente fanno figli.
Le motivazioni a procreare sono per lo più irrazionali, e spesso sono reazioni a problemi personali (senso di vuoto, mancanza di scopo, insoddisfazioni, ambizioni irrisolte, solitudine e mancanza d'amore...). Raramente i figli crescono con intorno genitori saggi, sereni ed equilibrati.
Le conseguenze inevitabili sono moltitudini di persone problematiche, complessate e scarsamente capaci di affrontare l'esistenza.

7. La complessità della società aumenta continuamente.

Tecnologia, globalizzazione, legislazione, popolazione... la complessità è in continuo aumento, ovunque. Se da una parte questa complessità crescente ci offre sempre maggiori vantaggi (abbondanza di cibo, informazione, cultura, svago, sanità, comodità e lussi...), dall'altra la complessità ci genera ansia, inquietudine e frustrazione. Ci fa sentire smarriti e impotenti (tutto è sempre più complicato e meno comprensibile o gestibile).

Il contadino del 1300 viveva più sereno di noi, perché il suo mondo era circoscritto e statico; però un terzo dei contadini del 1300 sono stati sterminati dalla peste nera. Non si possono avere i vantaggi della modernità senza patirne gli svantaggi (e viceversa).

8. Il primo problema degli esseri umani, sono gli esseri umani stessi

Nel corso del tempo noi umani abbiamo eliminato, o fortemente ridotto, tutte le fonti di sofferenza esterne: malattie, scarsità, predatori, fattori ambientali (rimane la morte, però sempre più lontana). I problemi che ci creiamo noi stessi, però, rimangono i medesimi: siamo egoisti, miopi, insaziabili, concentrati sul breve periodo, litigiosi, vendicativi, prevaricatori. Dominiamo il pianeta, ma non sappiamo dominare noi stessi.

Di conseguenza, la maggior parte della sofferenza umana è creata da noi stessi: a mio parere, gli esseri umani sono fondamentalmente delle "teste di cavolo".
Disprezziamo le bestie, ma in realtà loro vivono più in pace, sereni e godendosi la vita di noi.


Considerazioni sulla sofferenza

Il mondo va sempre peggio?

Quando si parla di problemi e sofferenza, c'è sempre qualche "catastrofista" convinto di vivere in un mondo orribile che va sempre più decadendo, che la situazione non sia mai stata peggiore, e che in passato si stesse meglio.

Ma nonostante la loro forte convinzione, queste persone sono generalmente in errore:
  • La sofferenza è sempre esistita, e sempre esisterà (vedi citazione dal buddismo all'inizio).
  • Le lamentele sul decadimento della società, sulla perdita di valori, sui giovani che sono peggiori degli anziani, sono sempre esistite. Ne troviamo traccia già negli scritti degli antichi greci e romani.
  • Oggi abbiamo molta meno sofferenza materiale che in passato (il numero di persone in condizioni di povertà è in diminuzione da decenni).
    Però sembriamo avere più sofferenza emotiva e psicologica. Forse perché quando si era preoccupati per la sopravvivenza, non si aveva tempo per depressione o problemi esistenziali.

Quindi questo pessimismo è un errore di prospettiva, di solito dovuto ad ignoranza: chi crede di vivere in un'epoca peggiore del passato... di solito non conosce veramente com'era il passato.

La ricerca di un colpevole

Alcune persone sono convinte che i problemi del mondo siano causati da qualche individuo o gruppo di persone malvagi, che tessono trame oscure per rovinare o dominare le vite altrui. I complottisti rientrano in questa categoria.
Di fronte a problemi e sofferenze, quindi, costoro cercano un "colpevole". Ma esiste sempre un colpevole, un atto malvagio volontario?

Secondo me, a volte ci sono dei colpevoli e a volte no. A volte il dolore è semplicemente parte dell'esistenza. A volte gli eventi negativi succedono e basta, perché il mondo è caotico e non ordinato come vorremmo (vedi i concetti di caos e cosmos - disordine e ordine - nella filosofia greca). In inglese si dice "Shit happens", ovvero "Le cose brutte [merda] semplicemente accadono".

Quindi non sempre c'è un senso - o un colpevole - dietro gli eventi. Di nuovo, il mondo non gira intorno a noi o alle nostre esigenze: va per la sua strada.
Però ci sono sempre delle cause; e a volte noi stessi contribuiamo alle cause (per esempio se scelgo sempre un certo tipo di partner, o non affronto dei miei blocchi psicologici). Ma siccome riconoscere di essere parte del problema (essere con-causa) genera una responsabilità che la maggior parte delle persone rifiuta, costoro preferiscono dare la colpa all'esterno e cercare il colpevole in chiunque - tranne che in se stessi.
  • Chi cerca ossessivamente un colpevole, spesso è proprio chi rifiuta la responsabilità personale della propria sofferenza, quindi ha bisogno di trovare qualcun altro a cui attribuire la colpa.
  • Oppure è chi crede che la felicità sia il default (quello che accade di norma), e la sofferenza sia un'eccezione da eliminare. Quindi pensa "Dovrei essere felice, ma non lo sono, quindi qualcosa non va e dev'essere colpa di qualcuno".
Va anche detto che è normale (se non diventa ossessivo) voler identificare un colpevole, o una causa, per i propri problemi. Detestiamo sentirci all'oscuro, l'incertezza ed il caos, per cui cerchiamo istintivamente spiegazioni a quello che ci accade - anche quando non c'è una risposta logica o soddisfacente (per certi versi, le religioni nascono come tentativo di dare una risposta ai misteri dell'esistenza).

Affrontare la sofferenza, coltivare la felicità

Naturalmente, tutto questo non significa che dobbiamo rassegnarci alla sofferenza, o che dobbiamo subirla passivamente. Anche se l'esistenza non è "progettata" per renderci felici, abbiamo comunque la capacità di sentirci gioiosi, sereni ed appagati (basta non pretendere di esserlo sempre e comunque):
  • Possiamo partire dal distinguere tra quello che possiamo cambiare, e ciò che invece sfugge al nostro controllo e possiamo solo accettare (vedi "Preghiera della serenità").
  • Possiamo imparare ad affrontare la sofferenza - in modo da diventare capaci di subirla meno e gestirla meglio.
  • Quando certi eventi dolorosi si ripetono più volte in modo simile, è probabile che noi stessi contribuiamo ad essi (in qualche modo inconsapevole). Scoprire i meccanismi che ci portano a ripetere quei comportamenti, e capirne i motivi, può aiutarci ad uscirne.
  • Molta sofferenza non necessaria nasce dai conflitti con se stessi: questa può essere superata imparando ad accettarsi ed amarsi come siamo.
  • Infine, va ricordato che a volte la sofferenza può essere utile: può essere un sintomo che ci indica quello che non funziona nella nostra vita, od essere un'esperienza necessaria per imparare qualcosa, o contribuire alla nostra crescita come persona. Quindi a volte è benefico comprenderne il senso, invece di rifiutarla a priori.


"Un uomo che teme di soffrire, soffre già di quello che teme."
(Michel E. de Montaigne)

"Voler evitare ogni incontro col dolore significa rinunciare a una parte della propria vita umana."
(Konrad Lorenz)

"Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci."
(Hermann Hesse)


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Perché siamo spesso insoddisfatti o frustrati?

Perché è così raro sentirci felici o appagati?

Perché così tante persone si lamentano?


Secondo me, l'essere umano moderno (inteso quello occidentale, perché in altre parti del mondo può essere ben diverso) ha a disposizione una grande abbondanza, ma non se ne rende conto e quindi non sa apprezzarla. La maggior parte di noi ha a disposizione (a volte anche gratuitamente):
  • Acqua corrente potabile
  • Cibo a portata di mano (nei negozi e nella propria dispensa)
  • Riscaldamento quando fa freddo
  • Energia elettrica e illuminazione
  • Impianti sanitari e fognature
  • Mezzi di trasporto rapidi e comodi, individuali o pubblici
  • Ampia sicurezza (niente predatori, banditi o pirati)
  • Medicine e assistenza sanitaria
  • Possibilità di comunicare col mondo intero
  • Cultura e informazione su qualsiasi argomento
  • Musica di qualsiasi genere sempre disponibile
  • Intrattenimento a profusione

Stiamo meglio di un Re

In pratica, l'uomo medio moderno vive in modo più abbondante e confortevole di un monarca di qualche secolo fa - per non parlare dell'uomo comune di qualche secolo fa (o di tanti asiatici e africani odierni), che non aveva nulla di quanto elencato sopra. Siamo circondati da tanti piccoli piaceri e comfort, ma li diamo per scontati o non ci facciamo caso. Proviamo a pensare di vivere senza una sola delle risorse elencate sopra... e ci rendiamo subito conto di quanto la nostra vita diverrebbe più povera, scomoda o angosciante.
Quindi la maggior parte di noi occidentali vive immersa in un'abbondanza mai vista prima nella storia dell'umanità... eppure non ce ne accorgiamo e ci sentiamo spesso insoddisfatti e infelici. Io trovo questo un grandissimo spreco. Spesso siamo come una persona che ha a disposizione un enorme supermercato... ma si lamenta perché gli manca il caviale!

Dal negativo al positivo

L'errore che sovente compiamo è di concentrarci sul negativo, sulle mancanze o su quello che non funziona, invece di concentrarci sul positivo, notando l'abbondanza intorno a noi ed assaporandola appieno. Finché una persona si concentra sul negativo, si sentirà sempre frustrata, insoddisfatta e carente, a prescindere dalle condizioni oggettive (come nell'esempio del supermercato).

La gratitudine fa vivere meglio

Una delle chiavi più potenti e semplici per vivere meglio è la gratitudine: la capacità di riconoscere e apprezzare quanto abbiamo di positivo nella nostra vita, e di sentirci fortunati ad averlo, invece di darlo per scontato. Chi manca di gratitudine si sentirà sempre misero - in tutti i sensi.

Il vittimista si lamenta sempre

Un atteggiamento opposto alla gratitudine è quello di chi "fa la vittima". Ovvero chi si lamenta in continuazione, non si assume la responsabilità di sé e ha la pretesa che sia il mondo a renderlo felice:
Chi si comporta in tal modo dimostra una mentalità "infantile", ovvero da bambino incapace di occuparsi di sé, che si aspetta siano gli altri a risolvergli i problemi. Costui ha bisogno di diventare "genitore di se stesso": cioè imparare a prendersi cura di sé e dei propri bisogni - che è una capacità fondamentale dell'essere adulto.

La vita non è fatta per renderci felici

Infine, uno dei motivi fondamentali per cui soffriamo, è che questo è parte naturale e inevitabile dell'esistenza: il mondo non è creato per renderci felici - e il nostro errore è di aspettarci che lo faccia. Una volta che accettiamo la sofferenza come inevitabile (almeno a volte, come insegna il Buddismo), e non vediamo la felicità come un diritto, diventa più facile coltivare la gratitudine e godere delle opportunità positive che la vita ci offre.


Questo post fa parte di una serie di risposte brevi a domande frequenti sull'amore, le relazioni e la vita (clicca sul link per leggere l'elenco di tutte le domande e risposte).


"L'uomo è infelice perché incontentabile."
(Giacomo Leopardi)

"L'ottimista vede opportunità in ogni difficoltà, il pessimista vede difficoltà in ogni opportunità."
(Winston Churchill)

"La gratitudine è il paradiso."
(William Blake)


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Quanto è importante amare se stessi?

Amare se stessi è egoismo?

E' bene amare se stessi?


Amare se stessi è fondamentale.
La maggior parte delle persone infelici, lo sono proprio a causa della mancanza di amore per se stessi - per causa diretta (si sminuiscono o detestano o disprezzano), o indiretta (non amandosi, fanno sì che nemmeno gli altri li amino).
Pensaci: nei Vangeli è scritto "Ama il prossimo tuo come te stesso".
(Matteo 22,39).
E' uno dei messaggi più belli che ci arrivano da Gesù, giusto? Eppure, se non ami te stesso come farai ad amare l'altro? Oppure, se odi o detesti te stesso, allora seguendo l'esortazione evangelica applicherai lo stesso trattamento agli altri.

Amare te stesso fa stare meglio tutti

Quando riesci ad amare e accettare te stesso:
  • Diventi una persona serena che sta bene con se stessa, quindi più incline a trattare bene anche gli altri (posso dare ciò che sono ed ho, ma non posso dare quello che mi manca).
  • Accetti le tue imperfezioni, e di conseguenza ti è più facile accettare anche quelle altrui (accettarsi non implica rassegnarsi: puoi volerti comunque migliorare, ma senza auto-criticismo distruttivo). Sei quindi una persona più tollerante ed accogliente.
  • Ti stimi maggiormente, non ti critichi senza motivo (anche se riconosci i tuoi limiti e difetti), quindi sei più positivo con te stesso ed anche con gli altri (le persone che stanno male con se stesse sono sempre quelle più critiche: riversano sugli altri il loro malessere).
  • Di fronte alla difficoltà rimani solido e fiducioso, perché sai di poter contare sulle tue forze ed hai fiducia di potercela fare. Quindi puoi anche supportare le persone intorno a te, rassicurandole nei momenti di crisi.
  • Essendo più positivo, fiducioso ed accogliente, ispiri negli altri sentimenti simili. Sei quindi più stimato, apprezzato e benvoluto di una persona che non si ama (solitamente negativa e sgradevole).
  • Diventi anche più desiderabile e amato: ci avviciniamo alle persone piacevoli, mentre ci allontaniamo da quelle spiacevoli (questo è uno dei motivi per cui le persone che non si amano cercano sempre l'amore negli altri, ma difficilmente lo trovano).

Amare se stessi non è egoismo

In sintesi, quando ami te stesso sei anche una persona migliore e fai stare meglio gli altri. Amare se stessi non significa essere egoisti, anzi, è il modo migliore di diventare una persona più positiva ed amorevole verso il mondo.
La differenza si vede dai risultati: l'amore autentico è costruttivo, mentre il vero egoismo è distruttivo. Potremmo considerare due tipi di "egoismo":
  • Egoismo costruttivo: quando le mie scelte fanno stare bene sia me che gli altri. In questo caso a volte posso anteporre il mio benessere a quello altrui, ma sempre tenendo in considerazione gli altri e le loro esigenze.
  • Egoismo distruttivo: quando le mie scelte producono danni ad altri, e/o resto indifferente agli altri e alle loro esigenze.

Ideale e reale

Naturalmente l'ideale sarebbe fare scelte che rendano tutti contenti; però in realtà spesso non è possibile fare contenti tutti. Quindi a volte è necessario scegliere quali esigenze privilegiare.
Certe morali (inclusa quella cattolica) ci insegnano che dovremmo sempre anteporre gli altri a noi. Ma questo atteggiamento, alla lunga, genera frustrazione e risentimento (il caso classico è la madre che si sacrifica sempre per tutti, che viene data per scontata e trascurata, sviluppando quindi amarezza e rabbia).

La tua felicità è una tua responsabilità

In realtà ogni adulto ha la responsabilità di occuparsi della propria felicità: per la semplice ragione che, se non lo fa lui, difficilmente lo faranno gli altri. E peraltro, chi mai dovrebbe farlo al posto suo? Chi non si occupa della propria felicità, il più delle volte finisce con l'aspettarsi che siano gli altri a renderlo felice (aspettativa infantile e quasi sempre delusa).

Amare se stessi, e prendersi cura del proprio benessere, non è quindi solo un diritto, ma anche un compito che spetta a ciascuno. Perché solo facendolo divento una persona positiva, soddisfatta e felice, e - quindi - in grado di dare un contributo benefico al mondo (se invece mi trascuro, mi detesto o mi odio, resterò una persona negativa e infelice, che darà al mondo la propria miseria).


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"Amare se stessi è l'inizio di un idillio che dura tutta la vita."
(Oscar Wilde)

"Non c’è amore sufficientemente capace di colmare il vuoto di una persona che non ama se stessa."
(Irene Orce)

"La persona che non è in pace con se stessa, sarà in guerra con il mondo intero."
(Mohandas K. Gandhi)


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Non puoi avere tutto nella vita, specialmente nelle relazioni

Una statistica sorprendente rivela che - secondo alcune ricerche - gli abitanti dei paesi occidentali sono spesso più infelici di quelli dei paesi meno sviluppati. Considerata l'abbondanza delle nostre condizioni di vita (sicurezza, cibo, comfort, tempo libero...), migliori persino di quelle dei regnanti di qualche secolo fa, è stupefacente che non ci sentiamo più felici e soddisfatti. C'è da chiedersi il motivo...

Secondo me, una delle ragioni è che in Occidente ci siamo abituati a pensare di poter avere tutto:
  • Una carriera brillante ed anche crescere una famiglia felice
  • Denaro in abbondanza ed anche tanto tempo libero
  • Una relazione stabile ed anche piena di passione ed emozioni
  • Un lavoro interessante ed appagante ed anche ben remunerato
  • Mangiare ogni squisitezza ed anche avere un corpo in forma

Così, quando non riusciamo ad avere tutto quello che vorremmo, ci sentiamo frustrati e manchevoli. Non pensiamo che l'idea di avere tutto sia fallace, crediamo di essere noi ad aver fallito. E quando vediamo altri che sembrano avere tutto - magari perché i loro profili sui social network sembrano cataloghi patinati da agenzie di viaggio - ci sentiamo invidiosi e amareggiati, perché ci convinciamo che loro ci sono arrivati mentre noi no. Dimenticandoci che ognuno cerca di mostrare la migliore immagine possibile di sé (spesso ben lontana dalla realtà).

Sogni e realtà

Incantati da questo sogno ispirato da una cultura consumistica ed alimentato dalla pubblicità, ci dimentichiamo di alcuni principi fondamentali che regolano la realtà:
  1. Ogni cosa ha un "costo"* - che sia di tempo, energia o risorse
  2. Ogni azione ha delle conseguenze
  3. Ogni scelta ne esclude altre
* (specialmente se è importante o preziosa: non si può pensare di prendere una laurea od imparare a suonare uno strumento musicale senza investire in modo considerevole)

Quindi ogni azione ed ogni scelta porta quasi sempre ad una "perdita" o a qualcosa di spiacevole (esercitarsi costa tempo e fatica; fare quello che voglio renderà qualcuno scontento; quando gioco non sto studiando; ecc.). L'idea di poter "avere tutto" è un'utopia basata sull'illusione infantile di poter vivere senza conseguenze, o senza responsabilità.
Voler avere tutto è una sorta di "delirio di onnipotenza": in realtà avere tutto, fare tutto od essere tutto non è nella natura umana.

“Voler avere tutto
è una sorta di
delirio di onnipotenza”

L'eterno scontento

Chi ignora i principi sopra riportati non ottiene di più, anzi: fallisce più spesso (perché si basa su idee disfunzionali) e risulta sempre frustrato (perché insegue obiettivi non realizzabili). Quindi anche se nella sua vita ha già molto (sia in termini di beni materiali che di realizzazioni personali), si sentirà sempre scontento: non saprà apprezzare quello che ha, ma sarà sempre concentrato su quello che gli manca.
Da cui l'infelicità e l'insoddisfazione menzionate all'inizio, diffuse anche dove le persone avrebbero molti motivi per sentirsi grate.

Non tutto insieme

E' possibile raggiungere molti obiettivi nel corso della propria vita, ma non è possibile averli contemporaneamente:
  • Il vigore della gioventù E la saggezza dovuta all'esperienza
  • L'entusiasmo dell'inizio di una relazione E la stabilità di un rapporto consolidato
  • Tutto il tempo per coltivare le proprie passioni E una famiglia con figli
  • Una carriera di successo, o una propria impresa, E stare molto tempo insieme ai propri cari
  • Avere un figlio piccolo E dormire bene e profondamente...
Questi sono alcuni esempi di obiettivi raggiungibili, ma non insieme. Quindi richiedono di accettare il contesto in cui ci troviamo, oppure di operare una scelta, una preferenza.

La faccia nascosta del successo

Quelli che credono di "poter avere tutto", spesso citano ad esempio persone di successo che - apparentemente - hanno raggiunto quell'obiettivo: autori, artisti, imprenditori, donne manager ecc., che i media spesso mettono in risalto.
Quello che però i media non raccontano (ma che quei personaggi a volte confessano), è il "costo" di quei successi, l'enorme impegno profuso, tutto quello a cui hanno rinunciato, i fallimenti e le frustrazioni.
Quelle persone non hanno veramente tutto: hanno raggiunto un successo pagando un prezzo (spesso elevato), e rinunciando necessariamente ad altre cose. Oppure hanno avuto tutto solo in apparenza, o per un breve periodo: come l'imprenditore la cui azienda trionfa, ma viene poi lasciato dal coniuge stanco di sentirsi trascurato; o l'autore i cui figli sono risentiti perché non aveva mai tempo per loro.

Spacciatori di illusioni

A volte qualcuno afferma che sia possibile avere tutto, e magari ci offre anche un metodo per farlo. Fate attenzione: alcuni sono solo degli entusiasti, o degli ingenui, e i loro consigli potrebbero anche esservi utili (se presi con un pizzico di buon senso).
Altri però sono dei "volponi" che fanno leva sulla debolezza umana, e cercano di vendervi illusioni (spesso a caro prezzo). Tra questi troviamo per esempio:

"Tutto o niente" significa "niente"

In sintesi, poiché non è possibile avere tutto, abbiamo due possibilità nella vita:
  • accogliere quello che riusciamo a raggiungere, o che ci capita, e godercelo;
  • oppure restare con niente.

Chi ha un atteggiamento spavaldo del tipo "Voglio tutto o niente", non si rende conto che in pratica si ritroverà con niente (poiché tutto non è umano raggiungerlo). La prossima volta che ci troviamo di fronte a una scelta tra qualcosa e nulla, pensiamoci bene se preferiamo ritrovarci a mani vuote, piuttosto di goderci quel qualcosa.

Volere tutto in amore

Questa illusione di poter avere tutto è specialmente presente nelle relazioni sentimentali, ispirata dalla cultura romantica ed alimentata dai media che la usano per venderci qualsiasi cosa: abbigliamento ed accessori, cosmetici, automobili, palestre, abbronzature, vacanze, chirurgia estetica... tutto con la promessa di renderci più desiderabili, amabili e - quindi - felici.

Questa illusione contribuisce all'importanza che attribuiamo al denaro: se per essere amato (e felice) devo acquistare a destra e a manca, beh, non posso certo farne a meno.
Contribuisce anche all'elevato numero di divorzi: se credo di poter avere tutto ma la mia relazione non mi rende felice, beh, ho tutto il diritto di andarmene e cercarne un'altra che lo farà (questa pretesa sembra particolarmente diffusa fra le donne che, non a caso, iniziano oltre i due terzi delle separazioni).

Una lunga lista di aspettative

Osserviamo le aspettative che abitualmente riversiamo su una relazione sentimentale:
  • Che ci renda felici
  • Farci sentire amati
  • Farci sentire unici e speciali
  • Ricevere attenzione e ascolto
  • Sentirci apprezzati
  • Sentirci desiderati
  • Intensa e continua attrazione fra i partner
  • Appagamento sessuale
  • Forti emozioni, eccitazione, passione, innamoramento
  • Fedeltà (fisica, emotiva, mentale - il partner non deve nemmeno pensare ad altri)
  • Stabilità
  • Sicurezza emotiva
  • Sicurezza economica
  • Presenza (il partner dev'esserci ogni volta che abbiamo bisogno)
  • Intimità e confidenza
  • Amicizia e complicità
  • Rispetto e considerazione
  • Divertimento (intrattenerci, non annoiarci)
  • Interessi e attività in comune
Senza dimenticare, per i molti che li desiderano (specialmente sul lungo periodo):
  • Matrimonio solido
  • Figli cresciuti bene

Ora proviamo a rivedere la lista qui sopra: davvero pensiamo che una singola persona possa darci tutto questo? E possa darcelo costantemente per anni e anni...? Osservata con attenzione, quest'aspettativa non appare un pochino "sovrumana"? Qualcosa che appartiene più al regno della magia, delle favole, che non alla quotidiana realtà?

“Può una singola persona
darci tutto questo
per anni e anni?”

L'uno oppure l'altro

Inoltre alcuni degli elementi che ci aspettiamo da una relazione, appaiono in contraddizione fra loro:
  • L'innamoramento è tipico della fase iniziale di una relazione, ma non dura negli anni.
  • Quando ci sono stabilità e sicurezza è difficile provare forti emozioni (l'eccitazione è connessa al desiderare quello che non abbiamo o che non siamo certi di poter avere; quando qualcosa è stabile e certo, è meno stimolante).
  • Un partner che abbia un lavoro di successo e redditizio, probabilmente sarà anche molto impegnato professionalmente e potrà dedicare poco tempo alla coppia o alla famiglia.
  • Perseguire la carriera, per una donna, allontana le probabilità di procreare naturalmente.

Insomma, se si guardano i fatti invece delle teorie utopiche, appare ovvio che certe scelte ne escludano altre, o che comportino un prezzo consistente. Per esempio, avere dei figli e prendersene cura sottrae tempo ed energie alla relazione di coppia: quindi può essere ragionevole scegliere tra avere una coppia molto legata e felice (ma senza figli), oppure avere dei figli ed accettare che la coppia risulti stressata e logorata.
L'ideale romantico dice che i figli completano la coppia, ma nella realtà le coppie con figli sono mediamente meno felici.

Perché la monogamia fallisce

Il lungo elenco di aspettative, e le contraddizioni che contiene, sono una delle ragioni primarie per cui le coppie monogamiche spesso falliscono ("monogamia" nel senso moderno e romantico, ovvero di coppia in cui i partner trovano il pieno appagamento emotivo, sessuale e pratico).
Il modello monogamico moderno promette tutta quella felicità: questo è uno dei motivi per cui così tanti ci credono, nonostante la quantità di tradimenti e separazioni che lo smentiscono. Ma quando - nel tempo - molte di quelle aspettative vengono disattese, ecco che ce la prendiamo col partner, o ce ne andiamo per riversare quella speranza in una nuova relazione.

Esigenze contrastanti

In ogni relazione l'altro avrà bisogni e preferenze diversi dai nostri (perché è un individuo, non un nostro clone). Quindi a volte sarà necessario scegliere chi dei due soddisfare, chi ha la priorità, chi "vince".
L'idea di "avere tutto" in una relazione include l'aspettativa che il partner sia sempre al nostro servizio, che esista per soddisfarci. Nella realtà le differenze portano a discussioni e conflitti, e necessariamente a rinunce da parte di uno dei due.

Il mito della "persona giusta"

Molti si oppongono a queste obiezioni attaccandosi all'illusione della "persona giusta", ovvero all'idea del partner su misura con cui essere sempre d'accordo, che ci rende sempre felici. Ma nella realtà non esiste l'uomo ideale e nemmeno la donna perfetta: esistono solo esseri umani limitati e imperfetti (a cominciare da noi stessi).

“Non esiste l'uomo ideale
e nemmeno
la donna perfetta”

Scegliere un obiettivo e realizzarlo

Qualsiasi persona razionale e ragionevole, che non si lasci sedurre dai miti dei media, riconosce che non può avere tutto. Ma questo significa rinunciare ad essere felici? Piuttosto il contrario: come abbiamo visto all'inizio, avere di più nella propria vita non rende necessariamente felici. Ed inseguire il sogno di "avere tutto" rende sicuramente infelici (perché non si raggiunge mai).
Chi vorrebbe avere (o fare) tutto, spesso è una persona insoddisfatta di sé e della propria vita, che non ha chiaro cosa fare della propria esistenza; così si convince che "avere tutto" la renderà finalmente appagata. Ma perseguire questa illusione la porta a disperdersi in troppe direzioni, o a perseguire obiettivi contraddittori.

Cosa fare allora? Scegliere quello che per noi è veramente importante, e dedicarsi a realizzarlo.
Spesso volere tutto porta a disperdere il nostro tempo ed energie. E' più fruttuoso e appagante fare poche cose e farle bene, che farne molte in modo mediocre. Quando scopriamo quello che per noi è davvero prezioso, rinunciare al resto non è più una perdita, ma un passo necessario per concentrarci sulla nostra soddisfazione più profonda.

E' vero che l'ambizione è utile a spingerci verso i traguardi più elevati. Ma è anche vero che, per molti versi, accontentarsi ci aiuta a vivere meglio e più serenamente.


"Nella vita moderna il superfluo è tutto."
(Oscar Wilde)

"La felicità non è avere tutto, ma cadere e poi risollevarsi."
(Confucio)

"La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa."
(Friedrich Nietzsche)


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Accontentarsi fa vivere meglio

Anche se non ci piace ammetterlo, tutti ci accontentiamo di qualcosa, anche se non è proprio quello che vorremmo. E questo accade in ogni settore della vita:
  • Per esempio, chi non vorrebbe vivere in un'isola tropicale, o in una meravigliosa villa? Ma ovviamente quasi tutti devono accontentarsi di sistemazioni ben più modeste.
  • Oppure, chi non vorrebbe fare un lavoro prestigioso, appagante e ben remunerato? Ma pochi arrivano a farlo.

Accontentarsi in amore

Lo stesso accade nelle relazioni (anche se qui, ancor più che in altri settori, difficilmente lo ammettiamo). Chi da giovane non sogna il Principe azzurro, o la Principessa dorata? E magari qualcuno lo incontra anche - salvo poi col tempo rendersi conto che non è proprio come sembrava all'inizio. Altri non lo incontrano mai, allora col tempo e le esperienze "abbassano" le proprie mire (magari senza nemmeno rendersene conto), e si "accontentano" di un partner abbastanza vicino ai propri desideri (o di quello disponibile al momento).

D'altronde, come si suol dire "Nessuno è perfetto". Quindi come sarebbe possibile trovare un partner "su misura"? Nella realtà l'uomo perfetto oppure la donna ideale non esistono.
Chi si ostina a cercarli non riesce a creare nessuna relazione appagante, perché nessuna persona reale sarà mai all'altezza di quell'ideale. Qualsiasi partner avrà limiti ritenuti inaccettabili e verrà inesorabilmente criticato o scartato. Il non sapersi accontentare porterà quindi ad una continua infelicità relazionale (o a lunghi periodi di solitudine).

“L'uomo perfetto
o la donna ideale
non esistono”

Illusioni e aspettative romantiche

Questa posizione scandalizzerà gli animi più romantici, quelli convinti che tutti meritino il "grande amore" o che nella scelta del partner non dovrebbero esserci compromessi. Purtroppo viviamo anche in una cultura romantica che alimenta questi ideali sentimentali illusori; col risultato di creare aspettative troppo elevate e di conseguenza devastanti delusioni - non ultima quella dell'ideale monogamico che s'infrange di fronte a tradimenti e separazioni.

Le coppie che superano la prova del tempo non sono quelle con una perfetta armonia (che esistono solo nelle opere di fantasia), ma quelle fra persone che hanno imparato ad accettare imperfezioni e limiti del partner - ovvero ad "accontentarsi" della persona che hanno di fianco (e delle sue qualità), rinunciando ad un'ideale di perfezione.

Bugie del marketing

Mi rendo conto di quanto questo argomento sia impopolare, specialmente in una società dove il marketing continua a dirci che "Tutti meritiamo il meglio" (Carrefour), "Perché voi valete" (L'Oreal), "No limits (Nessun limite)" (Sector), che puoi fare tutto, ecc. (di solito per venderci qualcosa).
Ma uno slogan è ben diverso dalla realtà.

Tutti vorremmo il meglio

Il fatto è che tutti desideriamo istintivamente il meglio - ma ben pochi sono capaci di ottenerlo. Tutti vorremmo una vita straordinaria, per un aspetto o per l'altro (amore, lavoro, avventure, passioni...). Ma siccome siamo quasi tutti persone ordinarie, lo straordinario rimane quasi sempre fuori dalla nostra portata.

“Tutti desideriamo il meglio,
ma pochi sono capaci
di ottenerlo”

Volere tutto

Potrebbe sembrare che chi non si accontenta ottiene di più. A volte può funzionare ma, nella maggior parte dei casi, chi non si accontenta mai arriva a ben poco, perché tende a rifiutare le opportunità in attesa di "quella giusta" - che magari non arriva mai. Finisce così col vivere pieno di amarezza e risentimento, rancoroso verso la vita perché ritiene che avrebbe meritato di più, e spesso invaso dai rimpianti.
In poche parole, chi vuole tutto quasi sempre si ritrova con poco o nulla.

Peraltro avere tutto, fare tutto o essere tutto è impossibile, perché semplicemente sovrumano. La rinuncia è parte inevitabile della vita, proprio come l'accontentarsi (quantomeno certe volte).

Abbastanza buono è sufficiente

A mio parere, nella vita è sano e saggio adottare un criterio di "abbastanza buono" ("good enough" in inglese): se ci impegniamo e diamo il nostro meglio e otteniamo un risultato abbastanza buono, anche se non eccelso o inferiore a quello altrui, è già un buon successo e qualcosa di cui essere contenti. Vedi per esempio il concetto di "genitore abbastanza buono" sviluppato dallo psicanalista Donald Winnicott.
Non ha senso svalutare i risultati intermedi o solo discreti:
  • Non sempre è possibile, o ragionevole, o sensato, arrivare al massimo in qualcosa (potrebbe richiedere un impegno sproporzionato ai vantaggi).
  • Raggiungere un risultato di 4, 5 o 6 (su una scala da zero a 10), è comunque molto meglio di zero, non qualcosa da disprezzare o di cui vergognarsi.
Chi sente il bisogno di essere sempre al top, chi non accetta di essere mai mediocre o sconfitto, è di solito una persona nevrotica e complessata, che usa le conquiste per nascondere le sue insicurezze.

Consideriamo pure che l'opposto dell'abbastanza buono è il perfezionismo: un atteggiamento che - come ben sa chi ne soffre - non porta alla perfezione ma all'ossessione e alla nevrosi (perché per costui nulla è mai abbastanza buono).

Accontentarsi troppo

Naturalmente esiste anche un "accontentarsi troppo", ovvero adattarsi eccessivamente e passivamente ad una situazione, rinunciando a tutto quello che davvero vorremmo.
Un caso del genere accade quando ci accontentiamo di qualsiasi partner pur di non restare soli (oppure di qualsiasi amico, qualsiasi lavoro, ecc.). Di solito questo accade quando abbiamo scarsa stima di noi stessi, quindi disperiamo di poter trovare di meglio; oppure abbiamo troppa paura dell'ignoto o dell'incertezza, quindi ci aggrappiamo a situazioni familiari anche se deludenti.

Se è vero che sapersi accontentare aiuta a vivere con più serenità e appagamento (invece di rincorrere sempre un "meglio" che spesso è fuori portata), è anche vero che accontentarsi eccessivamente produce infelicità:
  • Ci induce ad ignorare o rinnegare i nostri desideri autentici
  • Ci porta a fossilizzarci in situazioni disarmoniche e infelici (relazioni sterili e frustranti, lavori deprimenti, ambienti in cui ci sentiamo fuori posto...)
  • Frena la naturale tendenza allo sviluppo e alla crescita personali

Insomma, come per tante cose anche nel sapersi accontentare "la virtù sta nel mezzo". Volere troppo o - al suo opposto - farci andare bene qualsiasi cosa, invece, tendono a diminuire la qualità della nostra vita.

Abbastanza positivo o troppo negativo?

Ma se le soluzioni ideali sono rare, e accontentarsi è spesso necessario, come capire se la situazione in cui ci stiamo accontentando ha senso, vale comunque la pena, oppure stiamo ingannando noi stessi a restare in qualcosa che ci fa male? (pensiamo a un partner violento o che ci maltratta di continuo, a un lavoro che ci induce alla depressione, ad un ambiente familiare che distrugge la nostra autostima).
Posto che ogni situazione ha pro e contro, dobbiamo chiederci se l'essere in quella situazione deriva da una scelta gioiosa oppure da una scelta forzata:
  • Nel primo caso la situazione, pur con aspetti negativi, tenderà a darci nutrimento, soddisfazione, piacere e benessere (anche se non sempre o con episodi di frustrazione).
    Il bilancio sarà in positivo: il bene sarà superiore al male; il "guadagno" superiore ai "costi". Saremo in quella situazione perché, in fondo, ci piace esserci (scelta gioiosa).
  • Nel secondo caso, anche se ne traiamo qualche vantaggio (altrimenti non staremmo lì), gli aspetti negativi saranno in maggioranza: ricaveremo più dolore che piacere, più frustrazione che soddisfazione, più rabbia che pace.
    Il bilancio sarà negativo: più male che bene; molta sofferenza, poca gioia. Probabilmente restiamo lì controvoglia, per paura, disperazione o risentimento (scelta forzata).

Cosa significa accontentarsi

Con "accontentarsi" non intendo dire non avere preferenze, prendere tutto quel che arriva, o non avere ambizioni. E' importante avere desideri, ambizioni e sogni per la propria vita, e impegnarsi per realizzarli: se non puntiamo in alto, non avremo occasione di spiccare il volo.
Ma siccome la realtà non si adatta a noi, a volte è più utile e costruttivo essere noi ad adattarci a lei; specialmente quando abbiamo provato di tutto, o non vediamo alcuna possibilità migliore. "Accontentarsi", per come la vedo io, vuol proprio dire avere questa capacità di adattamento, di adattarsi alle condizioni della vita quando questa non gira come vorremmo; adattarsi in senso evolutivo, cioè saper operare nella maniera più efficace rispetto alle condizioni dell'ambiente.

Quando vorremmo "10" ma la vita ci offre "5", accontentarsi (o adattarsi) significa prendere quel "5" e saperselo godere; mentre chi pretende o rifiuta orgoglioso, con tutta probabilità si ritroverà con zero.

“La realtà non si adatta a noi,
ma noi possiamo
adattarci a lei”

Chi s'accontenta gode

Accontentarsi non significa per forza vivere male, frustrati o insoddisfatti. Usando le proprie capacità creative e di adattamento, è possibile accontentarsi (quando non si riesca a fare di meglio) e raggiungere comunque risultati appaganti. Di seguito alcuni esempi:
In pratica, il fatto che spesso non riusciamo ad avere esattamente quello che vogliamo non esclude di poter trovare delle alternative - magari non ideali ma comunque interessanti. Poiché praticamente ogni situazione presenta aspetti positivi e negativi, per vivere bene è importante saper apprezzare la parte positiva, e minimizzare quella negativa (per esempio limitando gli aspetti irritanti o cercando altrove quel che manca).

Mettere assieme i pezzi

Secondo questo approccio possiamo vedere la nostra vita come un puzzle: ogni cosa che desideriamo, o per noi importante, è un pezzo del nostro puzzle, e più risulta completo meglio ci sentiamo. Invece di vedere la felicità come un obiettivo unico, magari legato ad una singola condizione ("Sarò felice quando avrò / sarò / farò..."), il modello del puzzle ci mostra come la felicità personale sia un "mosaico" di tanti elementi che contribuiscono alla nostra realizzazione ed appagamento.
Diventa così più facile coltivare i singoli elementi, magari in ambiti diversi. In questo modello "accontentarsi" può voler dire trovare una soddisfazione da una fonte inaspettata o diversa da quella che vorremmo:
  • Se nel mio lavoro non è possibile utilizzare la mia creatività, la posso applicare in altri ambiti.
  • Se voglio condividere una passione col mio miglior amico, ma a lui non piace, posso trovare un'altra persona a cui interessi.
A volte restiamo nell'infelicità perché ci ostiniamo a voler trovare qualcosa in una certa situazione, dove però non è possibile, invece di cercare altrove.

“La nostra vita è come un puzzle:
più risulta completo,
meglio ci sentiamo”

Accontentarsi nelle relazioni

Questo discorso è particolarmente vero nelle relazioni. Poiché siamo tutti imperfetti e limitati, anche le nostre relazioni lo saranno:
  • qualsiasi partner ci offrirà aspetti positivi ed altri meno;
  • qualsiasi persona potrà contribuire alcuni pezzi al nostro puzzle, ma non altri.
L'ideale romantico dice che il partner dovrebbe darci tutto e non presentare aspetti negativi, ma questo è umanamente impossibile. In questo ambito, "accontentarsi" di un partner significa che invece di pretendere tutto ci adattiamo alla situazione in modo elastico:
  • Da una parte apprezziamo e godiamo di tutti i "doni" del partner, di tutti gli aspetti positivi che ci arricchiscono l'esistenza, e gliene siamo grati.
  • Dall'altra accettiamo i suoi limiti ed imperfezioni, però senza necessariamente subirli: se un comportamento ci ferisce troviamo un accordo per cui venga evitato o ridotto; se abbiamo un bisogno che l'altro non può soddisfare, possiamo cercare altrove quel "pezzo" mancante:
    • Se tua moglie non sa fare il risotto che ti piace tanto, puoi imparare a cucinarlo tu.
    • Se tuo marito odia i pomeriggi di shopping, puoi passarli con le amiche.
    • Se il tuo compagno è taciturno (ma possiede altre qualità), trova altre persone con cui fare lunghe chiacchierate.
In questi casi "accontentarsi" non vuol dire rinunciare, ma trovare una soluzione creativa - anche se magari non ideale.

Trovare alternative in altre persone

Anche in ambito affettivo o sessuale, se il partner non soddisfa un nostro bisogno importante o lo fa solo in parte, possiamo considerare la possibilità di cercare in altri quello che non troviamo nella coppia (ovviamente è un'ipotesi di cui discutere insieme per trovare una soluzione che funzioni per entrambi).
Ad alcuni questo potrà sembrare un "volere tutto". Ma può anche essere visto come una soluzione di compromesso (quindi un accontentarsi), invece di soluzioni "estreme" come forzare il partner a cambiare (cosa impossibile) oppure lasciarlo perché carente (tanto a qualsiasi partner mancherebbe comunque qualcosa). Anche sopportare stoicamente una grave mancanza non è una vera soluzione, perchè col tempo porta inevitabilmente all'accumulo di malessere e risentimenti, che avvelenano la relazione fino ad ucciderla.

Naturalmente questa possibilità si scontra con l'ideale romantico della coppia chiusa, in cui il partner dev'essere l'unica fonte di soddisfazione affettiva, erotica ed esistenziale (è l'altro che definisce il mio valore). Ma pretendere che il partner soddisfi ogni mio bisogno è un atteggiamento infantile; è una forma di delegare la propria felicità ("Occupatene tu"), invece di prendermene la responsabilità come fa un adulto.
Nel modello del puzzle, è una mia responsabilità trovare i vari pezzi che arricchiscono la mia vita; nessuno ha il dovere di completare il mio puzzle (anche se ovviamente può contribuirvi, se vuole).


"Se nessuno attorno a voi è all'altezza delle vostre aspettative, forse esse sono troppo alte."
(Bill Lemley)


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