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Perdonare ci aiuta a vivere meglio

In questo post parlo dell'importanza di perdonare non da un punto di vista "morale" ("Perdonare è giusto"), bensì "funzionale" ("Perdonare ti fa vivere meglio"). Questo perché la morale spesso non serve: tutti sappiamo cosa sarebbe giusto fare, eppure molto spesso non lo facciamo.

"Vedo la strada migliore e l'approvo; ma poi scelgo la peggiore."
(Aristotele)

Perdonare per noi stessi, non per l'altro

Per cui continuare a dirci "Dovrei perdonare... Dovrei non prendermela..." non serve a nulla; anzi, aumenta lo stato di tensione dentro di noi (perché crea conflitto tra la parte che pensa di doverlo fare, e quella che si oppone). In effetti, mi sembra che nel 99% dei casi l'uso del verbo "Dovrei..." aumenti solo lo stress.

Invece, capire l'utilità pratica del perdono può magari aiutarci ad uscire dalla "prigione del risentimento", ed a vivere con un maggior senso di pace. E' un dono che facciamo prima di tutto a noi stessi, più che all'altra persona.
Di seguito elenco quindi alcuni punti essenziali per comprendere il significato del perdono (in senso funzionale invece che morale - appunto), e la sua necessità per vivere bene.
  1. Perdona per la tua "sanità mentale"
  2. Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle
  3. L'elemento chiave è l'accettazione
  4. Rinuncia al bisogno di "fare giustizia"
  5. Prima di perdonare, bisogna scaricare la negatività
  6. Comincia col perdonare te stesso


1. Perdona per la tua "sanità mentale"

Spesso il perdono non si dà per "nobiltà d'animo" o generosità di cuore (magari a volte, ma non in genere), quanto per la propria sanità mentale, per stare meglio noi stessi, per uscire da una spirale negativa. Lo si fa perché, anche se faticoso e impegnativo, poi stiamo meglio. Un po' come quando medichi una tua ferita: è difficile perché al momento fa più male, ma sai che poi col tempo la ferita guarirà e ti sentirai meglio.

2. Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle

Abbiamo ben poco controllo sulle nostre emozioni, ma possiamo averlo sulle nostre azioni. Dipende dal tuo stato mentale: bambino o adulto. Il bambino reagisce, l'adulto decide. Se ti va bene che siano le tue emozioni a comandare la tua vita, oppure non sai fare altrimenti, è probabile che tu sia ancora in uno "stato psicologico bambino", in cui non sei padrone di te stesso (l'adulto è "responsabile", nel senso etimologico di "capace di rispondere": cioè in grado di scegliere consapevolmente una risposta adeguata, invece di reagire istintivamente).

Facciamo un esempio pratico. Poniamo che mi abbiano fatto un'ingiustizia: mi rode, ci sto male, ho cercato se c'è un modo per risolvere, ho capito che non ne esistono... Posso decidere che ok, amen ("Così sia"), non mi piace ma mi metto il cuore in pace. Tanto se non ci posso fare nulla, perché continuare a starci male? Mi lascio alle spalle la cosa, e guardo avanti; ho di meglio da fare che rodermi il fegato.

3. L'elemento chiave è l'accettazione

L'accettazione degli eventi negativi non ci viene naturale (l'istinto, la nostra parte animale, reclama vendetta), ma può essere una scelta razionale, consapevole: accetto che la cosa mi fa rabbia, accetto che ce l'ho con quella persona, accetto che non ci posso fare nulla, accetto che il passato non si cambia, accetto che a volte la vita fa schifo*... ed arrivando ad accettarlo, non combatto più contro i "mulini a vento" (contro cose che non posso cambiare), ma trovo un certo senso di pace. Perché non sto più a fare la guerra all'impossibile.
* (questo accade perché la vita non è equa né morale, e non è al nostro servizio)

Quando smetto di combattere ("Dovrebbe essere diverso! Lei dovrebbe amarmi! Lui non doveva trattarmi così! Il mondo fa schifo...!"), esco da uno "stato di guerra" mentale e trovo una - relativa - pace. "Relativa" perché non è che improvvisamente sono sereno al 100% (quello è roba da Buddha, Gesù e Dalai Lama), ma sono molto più sereno di quando sono in conflitto con l'inevitabile.
Lascio cadere la pesante zavorra del rancore (il passato), e mi sento più leggero, vitale e positivo (nel presente). Non è che me ne dimentico, ma guardo in avanti, non all'indietro.

Per molti è difficile lasciar andare le proprie emozioni negative: poiché ci fanno sentire che "abbiamo ragione" (vedi punto successivo), ci sembrano preziose. Purtroppo però ci avvelenano lentamente: restare attaccati alla rabbia è un po' come bere del veleno, e aspettarsi che sia l'altro a morire. Invece l'altro non se ne cura, ma la rabbia corrode noi stessi (è provato che certe emozioni negative danneggiano la salute).

4. Rinuncia al bisogno di "fare giustizia"

Spesso, quando non sappiamo perdonare è perché restiamo tenacemente attaccati ad un "senso di giustizia". Perdonare, o lasciar andare il passato, ci appare come un legittimare quello che ci hanno fatto, come giustificare l'ingiustizia. Invece vorremmo tanto che il mondo fosse giusto, e che i "cattivi" venissero puniti. Quindi reiterare il rancore è come continuare a "ricorrere in appello", nella speranza che venga fatta giustizia al torto subìto (ma ovviamente non funziona: la vita va avanti e il passato è passato).
Chi soffre di questo "bisogno di giustizia" rimane attaccato al risentimento. Magari cerca razionalmente di perdonare, ma sotto sotto non lo vuole veramente, perché la "ferita da ingiustizia" alimenta il rancore - che rimane vivo e bruciante. La nostra parte animale, istintiva, non vuole ragionare o perdonare, vuole vendetta (questo vale anche in chi si convince razionalmente di avere perdonato, ma visceralmente è ancora in preda al risentimento).

Un principio spirituale chiede: "Vuoi avere ragione, o vuoi essere felice?". Ci sono situazioni in cui non puoi avere entrambi, specialmente nelle relazioni. Se ti attacchi all'avere ragione (senso di giustizia), continuerai ad alimentare il tuo risentimento ("Sono arrabbiato ed ho ottime ragioni per esserlo!"). Se invece vuoi essere felice (o stare meglio, più sereno e positivo), è necessario che accetti l'ingiustizia e te la lasci alle spalle.

L'errore di molti è vedere il perdono, o il lasciar andare il passato, come un "dono" immeritato che facciamo a chi ci ha ferito, e quindi come un'ingiustizia: "Perché dovrei perdonarti? Sarebbe come assolverti, ma tu sei colpevole! Quindi continuerò a 'punirti' col mio rancore!". Peccato però che il rancore danneggia te stesso molto più che l'altro (che magari se ne frega altamente). Vediamo il rancore come una spada che dovrebbe ferire l'altro, ma in realtà siamo noi a stringere la lama, e così facendo continuiamo ad aprire la nostra ferita e sanguinare (infatti quando siamo nel rancore non ci sentiamo mai bene, sereni o in pace).
Invece - e ritorno al primo punto sulla "sanità mentale" - il perdono lo si sceglie prima di tutto per se stessi, per amor proprio, per vivere meglio. L'altra persona è secondaria. Quindi il perdono ha poco a che fare con la giustizia - appunto - ma ha molto a che fare col volere vivere sereni (o stare meglio). Per fare questo, però, è necessario essere padroni di noi stessi, e non schiavi delle nostre emozioni (vedi secondo punto).

5. Prima di perdonare, bisogna scaricare la negatività

Prima di riuscire a perdonare qualcuno, può essere necessario scaricare il dolore, la rabbia e la frustrazione che proviamo verso quella persona. Finché non ci liberiamo in qualche modo da queste emozioni negative, esse rimangono dentro di noi e ci condizionano - rendendo il perdono più difficile o persino impossibile (come posso perdonare o lasciar andare il passato, se sono tutt'ora arrabbiato come una furia?).

Da notare che scaricare queste emozioni negative può essere fatto anche in modo indiretto. Cioè non dobbiamo per forza sfogarci con la persona che ci ha ferito (cosa spesso difficile, sconsigliabile o persino impossibile: pensiamo al nostro capo, o ad un genitore ormai defunto). Possiamo per esempio:
  • Scrivere tutte le emozioni negative in una lettera che poi bruceremo.
  • Oppure - mentre siamo da soli - prendere a pugni un cuscino mentre diciamo ad alta voce tutto quello che vorremmo dire a quella persona.
  • O ancora gridare oscenità mentre siamo chiusi nella nostra automobile su una strada solitaria.

6. Comincia col perdonare te stesso

Un altro motivo per cui fatichiamo a perdonare gli altri, a volte, è perché non perdoniamo noi stessi. Quando veniamo feriti o subiamo ingiustizie, spesso siamo noi stessi a permetterlo*: non ci difendiamo, non ci facciamo rispettare, non diamo dei chiari limiti agli altri. In genere agiamo così per paura, per debolezza, per pigrizia, per bisogno di approvazione, per bassa autostima, per "comprare" l'amore altrui... Così a volte veniamo abusati, e lo lasciamo accadere.
* (parlo di situazioni in età adulta, non da bambini; nell'infanzia siamo impotenti, quindi incapaci di difenderci e non responsabili per quello che ci accade)

Questo genera in noi una rabbia enorme: "Come ho potuto lasciarlo accadere! Perché non ho fatto nulla? Ma che razza di idiota smidollato sono?!?", che però è difficile riconoscere. E' molto più facile riversare tutta la colpa - e la responsabilità - sull'altro. In questi casi alimentiamo la rabbia verso l'altro come "copertura" della rabbia verso noi stessi: se perdonassimo l'altro, o se riconoscessimo che non ha tutta la responsabilità, dovremmo anche riconoscere quanto abbiamo mancato verso noi stessi, e quanto siamo furiosi per questo.

In questi casi, per "guarire" dobbiamo compiere una serie di passi:
  1. Prima di tutto ci serve accettare che non ci siamo rispettati, che abbiamo lasciato che altri ci facessero del male senza difenderci (anche se, in teoria, forse avremmo potuto opporci).
  2. Poi dobbiamo riconoscere pienamente quanto siamo rabbiosi verso noi stessi, per averlo permesso.
  3. Poi abbiamo bisogno di perdonare la nostra debolezza o paura, che ci ha frenato dal farlo.
  4. Infine, possiamo usare quella esperienza negativa per imparare dai nostri errori, in modo da non ripeterli (per non ricascarci, però, sarà necessario affrontare la causa del nostro comportamento - paura, debolezza, scarsa autostima... - e superarla).

Se invece non riconosciamo il risentimento che proviamo verso noi stessi, non potremo nemmeno vedere la cor-responsabilità che abbiamo negli eventi che ci sono accaduti, quanto vi abbiamo contribuito*. E quindi, non riconoscendo il nostro errore, ci capiterà di ricaderci di nuovo.
Chi ripete abitualmente questo schema di "Gli altri mi fanno sempre del male, ma non è colpa mia!", è in genere preda di una mentalità vittimista che lo porta a non prendersi mai cura di se stesso, ed invece a trovare sempre dei colpevoli all'esterno (atteggiamento che, portato all'estremo, conduce a personalità paranoiche e complottiste, che vedono nemici ovunque).

* Riconoscere di avere responsabilità ci dà potere: responsabilità e potere sono legati a doppio filo. Se sono responsabile di un evento (anche solo in parte), se vi ho contribuito in qualche modo, allora ho anche la possibilità (cioè il potere) di comportarmi diversamente, e quindi di contribuire a risultati diversi. Questa consapevolezza ci fornisce la possibilità di cambiare, di affrontare le stesse situazioni in modo differente.

Perdonare significa liberare noi stessi

Quando perdoniamo (e/o accettiamo che le cose sono come sono e non possiamo farci niente), è come dire "Smetto di concentrarmi sul mio 'nemico': gli ho già dedicato troppo tempo ed energia. Torno a dedicarmi a me stesso, e alla mia vita". Coltivare il risentimento è come vivere in una prigione (fatta dei nostri stessi pensieri); perdonare è uscirne, è liberare noi stessi, per andare nel mondo e tornare a vivere più serenamente. ​

"Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu."
(Lewis B. Smedes)

"Lo stupido non perdona nè dimentica; l'ingenuo perdona e dimentica; il saggio perdona, ma non dimentica."
(Thomas Szasz)

"Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura."
(Voltaire)


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Il mondo va sempre meglio

Regolarmente qualcuno se ne esce lamentandosi per il preoccupante declino della specie umana, o con qualche bizzarra nostalgia per un passato ideale che non è mai esistito:
  1. "Non ci sono più i valori di una volta"
  2. "Viviamo in tempi terribili"
  3. "Oggi gli uomini guardano solo la bellezza"
  4. "Oggi le donne badano solo al portafoglio"
  5. "Le cose vanno sempre peggio..."

Ma queste opinioni sono fondamentalmente scollegate dalla realtà. Anzi, è piuttosto vero il contrario; generalmente parlando:
  1. I valori umani sono migliorati (cose come schiavismo, colonialismo o lapidazione sono fortunatamente "passati di moda").
  2. Sotto quasi ogni aspetto, viviamo meglio che in passato.
  3. Si è sempre data molta importanza alla bellezza; ma oggi le donne vengono apprezzare anche per altre qualità.
  4. Le donne sono sempre state sensibili alla ricchezza e/o al potere; ma oggi meno di un tempo (anche grazie alla raggiunta indipendenza economica).
  5. Le condizioni di vita sono migliorate quasi ovunque rispetto al passato (per esempio, la povertà nel mondo è in costante diminuzione)*.
* Naturalmente accadono crisi periodiche, come nel 2020, in cui la situazione tende a peggiorare; oppure passiamo attraverso dei cicli storici, per cui avviene una fase di declino prima di migliorare nuovamente. Ma sul lungo periodo, quasi tutti i fattori tendono al miglioramento.

Quindi, chi esprime queste lamentele è solitamente piuttosto ignorante (nel senso letterale di scarsa conoscenza), o abbastanza stupido (capisce ben poco di come funzionano le cose), oppure molto egocentrico (sta male o è infelice, e ritiene che sia colpa del mondo che è "sbagliato"; oppure crede che la sua esperienza negativa rifletta l'intera realtà).

“I valori umani sono migliorati
e viviamo meglio che in passato”

Un viaggio a ritroso nel tempo

Come sempre, non vi chiedo di credermi sulla parola. Invece, valutate i fatti e decidete voi cosa è vero. Facciamo insieme un piccolo esperimento: torniamo indietro nel tempo, e vediamo come andavano le cose in tempi passati...
  • 1960-70: anni di grandi cambiamenti sociali e politici, ma anche di forti conflitti e scontri per le strade (spesso repressi in modo violento). In Italia, in particolare, avvengono numerosi atti criminali e di terrorismo (verranno infatti chiamati "gli anni di piombo"). Gli USA portano avanti l'insensata e fallimentare guerra in Vietnam; il presidente Nixon è costretto a dimettersi in seguito allo scandalo Watergate.
  • 1945-1960: siamo nel dopoguerra, e c'è un grande sviluppo economico. Però sono anche gli anni della "guerra fredda", e si vive con l'incubo di essere annientati da un conflitto nucleare. Razzismo e discriminazioni sono pervasivi.
  • Passiamo alla prima metà del XX secolo: in pochi decenni scoppiano due guerre mondiali, nel 1918 si scatena una pandemia di "influenza spagnola" che uccide più persone della guerra appena finita (50 milioni), e nel 1929 avviene la Grande Depressione economica. In Italia la dittatura fascista domina il Paese dal 1925 al 1943.
  • XIX secolo: un periodo con decine di guerre, colonizzazioni brutali in Asia ed Africa, rivoluzioni sanguinarie. Per buona parte del secolo, le donne sono ancora considerate proprietà del marito, e soggette alla sua volontà.
  • XVIII secolo: qualche altra decina di guerre. Lo schiavismo si espande a livello globale. Con la Rivoluzione Industriale, le persone lavorano per 14-16 ore al giorno, bambini inclusi.
  • XVII secolo: ancora decine di guerre (tanto per cambiare). La colonizzazione delle Americhe porta al massacro delle popolazioni indigene.
  • Con l'Inquisizione cattolica (svoltasi in varie forme dal XII al XVII secolo), persone comuni ed innocenti potevano essere arrestate, torturate ed uccise (magari bruciate vive), solo perché vivevano in modo non convenzionale o avevano idee autonome, stavano antipatiche a qualcuno, o possedevano beni che facevano gola ad altri.
  • Medioevo: per tutto questo periodo (dal V al XV secolo circa) si vive nel costante timore di aggressioni e invasioni. Per questo motivo, ovunque sorgono castelli e città fortificate.
  • XIV secolo: una pandemia di peste nera arriva a sterminare circa metà della popolazione europea.
  • Per diversi secoli la Chiesa Cattolica, che dovrebbe essere la guida spirituale del mondo, è afflitta da corruzione morale e materiale a tutti i livelli, dal Papa in giù.
  • Nei primi secoli dopo Cristo, una serie di invasioni barbariche, operate da numerose tribù e popolazioni nomadi, attraversa buona parte dell'Europa con azioni di saccheggio e conquista.
  • Con l'Editto di Tessalonica (380 D.C.), il cristianesimo diventa religione ufficiale dell'impero romano, per poi generare proibizioni e persecuzioni (anche violente) contro ogni altra forma di culto.
  • L'Impero Romano, che molti italiani vedono con orgoglio come nostro progenitore, ha sempre attuato una politica di espansione bellicosa; le popolazioni invase potevano scegliere tra la sottomissione o l'annientamento. Questo espansionismo non appare molto diverso da quello della Germania nazista.
  • La cultura Greca, e la democrazia di Atene in particolare, sono ritenute la culla della civiltà occidentale. Tendiamo però a dimenticare che tale società era basata sullo schiavismo, il diritto di voto era riservato al 10-20% della popolazione, e le donne erano escluse dalla vita pubblica.

Aspetti positivi e negativi

Ovviamente questo lungo elenco di eventi deprimenti non esclude che siano avvenute anche cose positive. Onestamente, però, nessuno dei periodi sopra elencati mi fa venire voglia di viverci, o di ritenere le condizioni di vita migliori di quelle odierne.

Inoltre ogni medaglia ha sempre due facce: quindi per ogni aspetto positivo del passato (mancanza di inquinamento, vita più sana, ritmi più naturali), va ricordato anche l'aspetto negativo (scarsità di beni e di cibo, assenza di farmaci e cure efficaci, mancanza di ogni comfort).
Basti pensare che un impiegato moderno vive una vita più comoda e abbondante, per molti versi, di un sovrano di qualche secolo fa: quest'ultimo infatti pativa il freddo e il caldo, aveva una scelta limitata di cibi, spesso era afflitto da parassiti, in caso di malattia aveva poche chances di sopravvivere, viveva nel costante timore di intrighi di corte od attacchi di nemici, e non poteva nemmeno scegliere il coniuge che preferiva (i matrimoni erano quasi sempre organizzati in base ad interessi politici ed economici).

“Un impiegato moderno
vive una vita più comoda
di un sovrano del passato”

Perché non apprezziamo quello che abbiamo

Ma se la vita dell'uomo medio oggi è tanto migliore che in passato, come mai di solito non ce ne rendiamo conto, e non lo apprezziamo? Uno dei motivi è che non valutiamo la nostra vita in modo oggettivo, bensì comparativo: cioè ci paragoniamo con le persone che conosciamo, o che abbiamo intorno. Per cui se tante persone hanno la stessa abbondanza che abbiamo noi, la diamo per scontata e la apprezziamo poco; se invece fossimo gli unici ad averla, ci farebbe sentire speciali e privilegiati.
In altre parole, non è quello che abbiamo a farci sentire soddisfatti; ma è la sensazione di avere più degli altri, o che stiamo meglio della maggioranza. Uno dei motivi per la diffusa infelicità moderna, infatti, sono i social network che ci mostrano persone che sembrano più felici di noi - e con cui ci paragoniamo.

Valori immaginari

Al di là delle condizioni di vita scomode e sgradevoli del passato, non vedo traccia nemmeno dei valori morali che tanti gli attribuiscono. Dov'erano tutti questi "valori", queste presupposte virtù?
  • Nelle continue guerre?
  • Nel mandare al massacro migliaia di uomini senza alcun riguardo per le loro vite?
  • Nell'obbligare le donne ad un ruolo subordinato?
  • Negli abusi dell'aristocrazia e del clero?
  • Nella pratica frequente dello schiavismo?
  • Nel mantenere la stragrande maggioranza della popolazione in condizioni di povertà e sottomissione?
  • In sistemi di governo basati sulla legge del più forte, invece che sul dialogo e sul consenso?
  • Nell'oppressione e repressione di idee, preferenze personali e religioni?

A me pare che di qualsiasi problema ci si possa lamentare oggi (diseguaglianza, disparità di diritti, ingiustizia, povertà, violenza, corruzione...), in passato era più grave e più esteso.
Forse l'unico male odierno che era minore in passato, è la solitudine (semmai in passato esisteva il problema opposto: raramente potevi stare da solo, o godere di una privacy personale). I legami familiari e di comunità erano sicuramente più numerosi e più stretti. Il che, però, implicava anche una libertà individuale molto più ristretta e condizionata.

Luci ed ombre

Attenzione: non voglio dire che oggi vada tutto bene, o che tutto sia meglio che in passato. Come già detto, ogni situazione presenta pro e contro. Quindi oggi abbiamo problemi che un tempo non esistevano, ma in genere si accompagnano ad aspetti positivi importanti:
  • Il capitalismo ha permesso uno sviluppo economico senza precedenti, che ha ridotto la povertà globale in modo eclatante; ma ovviamente ha anche aspetti negativi. Nessun altro sistema alternativo ha però prodotto altrettanta abbondanza, benessere e libertà di scelta. Quindi è possibile - ed auspicabile - migliorarlo, ma non ha senso credere che con il comunismo o il feudalesimo le condizioni fossero migliori.
  • L'industrializzazione ha portato a fenomeni dannosi come inquinamento e riscaldamento globale, ma ben pochi vorrebbero tornare ad un'economia di sussistenza od al vivere solo con lo stretto indispensabile; alle capanne di tronchi ed ai campi arati con vomere e bue.
  • Anche a livello sociale e relazionale, possiamo lamentarci della fragilità del matrimonio, dell'infedeltà diffusa e dell'eccesso di individualismo - e con ragione. Ma quanti sceglierebbero di tornare a tempi in cui la libertà personale era cosa da ricchi, in cui si era legati ad un lavoro umile tutta la vita, con ruoli rigidi per uomini e donne (inclusi quelli sessuali), con la paura di esprimere le proprie idee, dove viaggi, cultura e musica erano per pochissimi?
  • Per quasi tutta la storia umana, il problema principale è stato procurarsi il cibo. Oggi invece abbiamo il problema opposto: mangiamo così tanto da diventare obesi. Il che può essere grave, ma è comunque preferibile al morire di fame.

Quindi - ripeto - non sto dicendo che il mondo oggi sia ottimale. Dico che, tutto sommato, è meglio che in passato sotto quasi ogni aspetto. E "migliore" non vuol dire "perfetto": ci saranno sempre problemi e sofferenza, perché l'esistenza non è fatta per renderci felici, e gli esseri umani sono limitati e imperfetti.

“Ben pochi vorrebbero tornare
alle capanne di tronchi
ed ai campi arati col bue”

La natura umana non cambia

Fondamentalmente, gli esseri umani hanno limiti e difetti che restano uguali nei secoli. E' consolatorio credere che una volta le persone fossero più buone, oneste o rispettose, ma è illusorio. La natura umana rimane essenzialmente la stessa: infatti le storie e i personaggi dei grandi autori (come Shakespeare, 4 secoli fa) risultano attuali ancora oggi.
Altrettanto costante è la tendenza a lamentarsi per il comportamento altrui, e per la "decadenza dei valori"; infatti più di 2000 anni fa Cicerone già esclamava "O tempora o mores!" ("Che tempi, che costumi!").

Violenze, omicidi, stupri, abusi, ingiustizie ed oppressioni sono sempre accaduti; anche più di adesso, anche in modo più feroce (barbarie, torture e punizioni che oggi ci appaiono inconcepibili, erano un tempo la norma). Però lo si sapeva meno, mentre oggi tutto è più visibile, al punto che un fenomeno può essere in diminuzione ma l'insistenza mediatica ce lo fa apparire in aumento!
Per esempio la criminalità è in declino da molto tempo; l'Italia è tra i Paesi europei con meno omicidi (anche di donne). Spesso gli eventi criminosi vengono amplificati per ideologia o demagogia, per influenzare l'opinione pubblica, per ottenere consenso o deviare l'attenzione da altri problemi. Perciò molte persone si sentono minacciate anche se siamo più sicuri che in passato.
Bisognerebbe guardare dati e statistiche, non fidarsi della propria percezione emotiva (che per sua natura è soggettiva, parziale ed influenzabile).

Ma cultura e costumi sì

Se la natura umana resta uguale (o cambia in milioni di anni), quella che evolve è però la cultura: cioè l'insieme delle idee, valori, morale e costumi che indicano cosa fare, cosa è giusto o sbagliato. Anche nella cultura vediamo un'evoluzione in meglio (per quanto lenta); nel corso dei secoli siamo passati:
  • Dallo schiavismo alla libertà per ogni individuo, e alla Dichiarazione universale dei diritti umani.
  • Dalle monarchie e aristocrazie alla democrazia (nella maggior parte dei Paesi).
  • Dalle guerre alla diplomazia (quanto meno in buona parte del mondo).
  • Dalle vendette e faide ("occhio per occhio") alla risoluzione dei conflitti per via giudiziaria.
  • Dall'imposizione della forza ("La legge del più forte", "Might makes right") all'uso della ragione e del consenso.

Ovviamente non sempre questi progressi vengono applicati (siamo sempre e comunque umani), e certamente c'è spazio per tanti ulteriori miglioramenti. Ma il passaggio dalle epoche dominate dalla spada, all'esortazione di fratellanza "Abbracciatevi, moltitudini!" dell' "Inno alla Gioia" di Beethoven (inno ufficiale dell'Unione Europea), è un balzo gigantesco.

“La natura umana resta uguale,
o cambia in milioni di anni”

Perché il mondo migliora, ma molti non lo vedono

Anche dopo questa carrellata, immagino che ad alcuni continuerà a sembrare che il mondo odierno sia pessimo, o peggiore del passato. Di solito questa convinzione nasce da uno dei seguenti atteggiamenti mentali.

1. Visione soggettiva ("Il mondo mi assomiglia")

Persone che stanno male, che soffrono, che sono infelici; che patiscono ingiustizie; la cui vita è molto problematica... e credono che la propria condizione personale rispecchi lo stato del mondo. Quindi anche di fronte ad argomenti validi, ribattono "Se il mondo è migliorato, o non è mai stato migliore, com'è possibile che io - o le persone a me vicine - soffriamo così tanto?".

Immersi nel loro malessere, non sanno vedere oltre. Ma quello che succede ad uno non riflette lo stato del mondo. Bisogna saper distinguere il personale dal collettivo, e l'eccezione dalla regola. Se io sono su un aereo che precipita, ma quello è stato l'unico incidente aereo degli ultimi dieci anni, vuol dire che volare è molto sicuro - anche se io ho avuto sfortuna.

2. Visione negativa ("Il mondo fa schifo")

Alcuni hanno la tendenza a concentrarsi sugli aspetti negativi, ed ignorano quelli positivi (per esempio pessimisti o disfattisti). Sono quelli che in un prato ricolmo di fiori vedono solo il cespuglio rinsecchito, o l'escremento di vacca; quelli che, di fronte ad una giornata splendida, ribattono "Tanto domani pioverà!".

Nella loro mente il male è sempre superiore al bene, e non riescono a riconoscere di potersi sbagliare, anche di fronte all'evidenza (il pessimista è sempre convinto di essere realista). E' come se indossassero degli "occhiali neri", per cui a loro tutto appare oscuro e minaccioso.

3. Visione idealistica ("Il mondo dovrebbe essere perfetto")

Un'altra obiezione frequente è "Se il mondo è migliorato così tanto, come mai ci sono ancora così tanti problemi e dolore?". Ho già risposto prima: problemi e dolore esisteranno sempre, perché è nella natura dell'esistenza e di noi esseri umani (come insegna il buddismo: "La vita è sofferenza").
La realtà è imperfetta, ci fa soffrire, e non va come vorremmo - così è sempre stato, così sempre sarà. Come abbiamo visto nel nostro "viaggio nel passato", non c'è mai stato un periodo ideale od un'epoca armoniosa in cui tutto andava bene.

Costoro si attaccano alla speranza utopica di un mondo perfetto da "regno dei cieli", invece che terreno ed umano. Con questa idea fissa, il mondo reale non gli andrà mai bene. Tenderanno ad una visione negativa (vedi sopra), perché per loro niente è mai abbastanza.

4. Aspettative personali esagerate

Alcuni hanno aspettative irrealistiche rispetto ai propri meriti, e si aspettano di ottenere di più di quanto valgano. Hanno quello che chiamo "il complesso del principino", o "della principessa": si illudono di essere "speciali", e che gli altri li tratteranno di conseguenza.
Credono di poter essere sempre felici, di avere una relazione ottimale senza sforzi, di essere amati e stimati solo perché esistono, di diventare ricchi o famosi. Inevitabilmente si ritrovano delusi, ma faticano a riconoscere di esserne la causa. Paradossalmente più una persona è limitata - come intelligenza, cultura, maturità - più fatica a valutarsi correttamente (non ha gli strumenti per un'analisi obiettiva; vedi l'effetto Dunning-Kruger). Quindi concluderà che i suoi insuccessi sono dovuti a cause esterne: al mondo che è fatto male, o che va peggiorando.
  • Per esempio una persona ambiziosa, ma senz'arte né parte, facilmente si convincerà che "In giro non c'è lavoro", o che "Si trova impiego solo nei call-center" - anche se non è affatto così (molte aziende cercano personale, però con determinate competenze).
  • Oppure una persona romantica, che crede al "grande amore" in modo favolistico, giustificherà i suoi fallimenti relazionali dando la colpa al sesso opposto, o alla perdita di valori.

Ma naturalmente la colpa non è del mondo. Essenzialmente, la realtà funziona in modo meritocratico e "darwiniano": prospera chi è più adatto, mentre i meno adatti stentano o periscono. Le aspettative scollegate dai propri meriti sono spesso create dai genitori che viziano i figli, ma anche alimentate dai media (le pubblicità ti dicono che "tu vali" e "meriti il meglio", in modo da sedurti e vendere) e dai social network (dove tutti appaiono più belli e felici di quanto siano realmente).

Saper vedere la realtà, saperla apprezzare

Quindi per apprezzare il progresso ed i benefici della propria epoca, è necessario sganciarsi da queste mentalità fuorvianti:
  1. Saper vedere oltre il proprio ristretto "orticello".
  2. Saper valutare tutti i pro e contro.
  3. Non pretendere la perfezione.
  4. Avere aspettative realistiche e saper riconoscere i propri limiti.
Ed inoltre, saper apprezzare tutti gli aspetti positivi, invece di darli per scontati. Facendo questo, diventa chiaro che - per molti versi - non siamo mai stati meglio!

Attenzione: quando faccio notare che il mondo non sarà mai perfetto, o che una certa sofferenza è inevitabile, non intendo incoraggiare la rassegnazione; è sempre possibile fare progressi. Suggerisco però di apprezzare tutto quello che c'è di buono, e di cercare di migliorare quello che non va. Ricordando che lamentarsi è soltanto uno spreco di energia che non produce cambiamenti.


"E' un dato di fatto che le persone amano lamentarsi, specialmente di quanto sia terribile il mondo moderno rispetto al passato.
Ma si sbagliano quasi sempre."

(Steven D. Levitt e Stephen J. Dubner, "SuperFreakonomics")

"E' meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione."
(Albert Einstein)

"Invece di lamentarsi dell'oscurità è meglio accendere una piccola lampada."
(Lao Tzu)


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