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Come prendersela meno quando gli altri ci feriscono

Scrivo questo post in risposta ad un commento pubblicato di recente su "Il rapporto con la realtà plasma il tuo mondo". Il lettore osserva come i comportamenti altrui (specie se maleducati) influenzino negativamente i nostri stati d'animo; mi chiede se sia il caso di imparare a fregarsene, o forse di sviluppare una sorta di imperturbabilità in stile "saggio orientale".

Perché siamo influenzati dagli altri - ed è inevitabile

La domanda è ottima, perché riguarda praticamente chiunque: siamo tutti sensibili a come gli altri ci trattano. Uno sgarbo, una critica, una battuta tagliente, un insulto, od anche solo un'occhiata malevola, possono rovinarci l'umore o abbassarci l'autostima. Vediamo quindi di comprendere perché ci sentiamo così e come imparare a difenderci, o quantomeno a minimizzare gli effetti di questi eventi.

Spesso le persone o le situazioni ci toccano, anche quando non vorremmo. Questo accade principalmente perché siamo "animali sociali", cioè la nostra specie è abituata a vivere in comunità dove tutti siamo collegati e dipendiamo gli uni dagli altri. Anche se oggi è relativamente più facile vivere in modo isolato, per milioni di anni invece ogni essere umano ha dipeso dal suo gruppo per sopravvivere: isolato dalla sua tribù o respinto dal villaggio, un individuo da solo sarebbe quasi certamente morto. Questo stile di vita sociale ci ha resi molto attenti agli umori altrui, proprio perché inimicarsi le persone intorno poteva rivelarsi assai pericoloso.
Oltre a questo, alcune persone hanno ferite emotive o certe fragilità che le rendono particolarmente sensibili alle reazioni altrui (vedi Punto 5).

Prenderla con filosofia

Poiché il più delle volte non possiamo controllare le persone o le situazioni, è inevitabile essere toccati da essi. E' però possibile imparare, o "allenarsi", a non farcene turbare eccessivamente.
Come menzionato dal commento, diverse filosofie orientali hanno considerato questo problema e come affrontarlo (per esempio il buddismo e le sue "Quattro Nobili Verità", di cui la prima riconosce che "la vita comporta sofferenza"), ma non sono le sole. Un esempio occidentale è la filosofia Stoica nata nell'antica Grecia.

In pratica, potremmo così sintetizzare certi insegnamenti: "Poiché il mondo è imperfetto e certe sofferenze inevitabili, se io lo riconosco posso adattare le mie aspettative ed esserne così meno colpito, imparando ad accettare quello che non controllo". Ciò non cancella le cause, ma diminuisce la mia sofferenza o il mio stress a riguardo.
Anche la "Preghiera della Serenità" di Reinhold Niebuhr espone un concetto simile: "Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso, e la saggezza per comprendere la differenza."

In concreto, questo si traduce in un atteggiamento che io definisco "da adulto", ovvero di chi si assume la responsabilità della propria vita e del proprio benessere - invece di pretendere che il mondo sia "su misura" e pestare i piedi quando si rimane delusi (atteggiamento infantile).


Come prendersela meno

Ma come applicare tutto ciò in pratica? Di seguito elenco alcuni principi e strategie.
  1. Non prendere gli eventi sul personale
  2. Non metterti al centro del mondo
  3. Non fissarti sull'aver ragione
  4. Non aspettarti troppo dalle persone
  5. Riconosci le tue "ferite" e le tue reazioni personali

1. Non prendere gli eventi sul personale

Se un giorno il vicino è scorbutico, o una collega ti ignora, è facile che non abbia nulla a che fare con te; la spiegazione più probabile è che stiano attraversando una giornata storta o un periodo difficile, per cui sono assorbiti dal loro malumore e poco disponibili (ovviamente è diverso se fanno sempre in tal modo). Allo stesso modo, il guidatore che ti supera in modo avventato o l'autista dell'autobus che parte senza aspettarti è probabile che non ti abbiano nemmeno notato.
Invece noi tendiamo a pensare che le persone si comportino male in modo intenzionale, e/o che ce l'abbiano con noi. "Oggi il mondo sembra avercela con me!" è una frase che si ode spesso. Ma la realtà è che il mondo va per la sua strada, e così le altre persone. Il più delle volte, le persone sono concentrate su se stesse - o i loro pensieri - e a malapena ci notano (ricordarlo può aiutarci quando abbiamo paura che tutti siano intenti a giudicarci).

---> Come superarlo
Se credo che le persone ce l'abbiano con me, se penso che mi trattino male apposta, coltiverò sentimenti di angoscia, rabbia e magari vendetta. Mi sentirò vittima della cattiveria altrui e tenderò a vedere "nemici" anche dove non ci sono. Poiché inoltre tutti abbiamo bisogno di approvazione e sentirci benvoluti, queste convinzioni mi porranno in una condizione di malessere.
Se invece riconosco che ognuno va per la sua strada, e certe cose mi succedono solo perché "passavo di lì in quel momento" (cioè per caso), mi sarà più facile lasciar perdere, o dar poco peso ad eventi di importanza minima. Magari noterò che può capitare anche a me di comportarmi così, e sarò quindi più tollerante - e rilassato - verso i passi falsi altrui.

2. Non metterti al centro del mondo

Alcuni si aspettano che il mondo "giri intorno a loro": che persone ed eventi corrispondano ai loro desideri o aspettative, che nessuno li contraddica o li deluda, ecc. Questo accade specialmente a chi:
  • ha un Ego esagerato (vedi al fondo);
  • oppure è cresciuto in famiglie "figlio-centriche", dove i genitori sono al servizio dei figli e li assecondano sempre;
  • o magari è rimasto coinvolto nell'ondata di individualismo iniziata negli anni '90 (alimentata anche dal marketing: "Tu sei speciale", "Perché tu vali"; "Ti meriti il meglio"...);
  • oppure è una persona particolarmente fragile o insicura, che per compensare cerca di controllare tutto e tutti (è il caso di molti idealisti o attivisti ossessionati dalle loro cause).
Immagino che nessuno ammetta di essere in tal modo; ma se reagisci abitualmente agli eventi spiacevoli con furore, indignazione o senso di "lesà maestà" ("Come si permettono...!", "E' intollerabile!"...), è possibile che sia il tuo caso.
Il fatto è che tu sei uno su una popolazione di oltre otto miliardi di persone (> 8.000.000.000!), il che vuol dire che conti meno del due di coppe a briscola ;-) e così chiunque altro. Per cui aspettarsi che il mondo si adatti a te, o che ti riservi un trattamento di favore, è un'illusione che può solo portare a cocenti delusioni.

---> Come superarlo
E' più saggio adottare la mentalità esposta dal protagonista del film "Z la formica" (1998): "Quando sei il figlio di mezzo in una famiglia di cinque milioni, non ricevi nessuna attenzione". Cioè restare consapevole di essere creature piccole in un mondo sconfinato, e moderare le proprie aspettative.
Questo non vuol dire rassegnarsi o pensare di essere "nessuno". Certo va bene inseguire i propri sogni e cercare la felicità (proprio come fa la formica Z nonostante la sua condizione svantaggiata). Però è anche necessario rendersi conto che il mondo è tanto più immenso di noi, che il più delle volte siamo noi a doverci adattare ad esso, non viceversa.

3. Non fissarti sull'aver ragione

A volte hai tutte le ragioni del mondo... ma questo non cambia i fatti. La vita non è "giusta" o equa, e spesso accadono cose senza senso (bambini che muoiono, brave persone a cui capitano cose cattive, Paesi già poveri colpiti da catastrofi naturali...). Quindi se ti fissi sul fatto di aver ragione, o che ogni cosa dovrebbe accadere nel modo che ritieni "giusto", ti bloccherai in un ruolo di "vittima" sempre arrabbiata. Il che è un ben triste modo di vivere, sia che tu abbia ragione o meno.
Infatti in psicologia esiste questo concetto: "Preferisci aver ragione o essere felice?". Spesso questi due aspetti si contrappongono, ed è necessario fare una scelta. Per esempio se la mia partner mi ferisce ed io ritengo lei sia in torto, posso fare due cose:
  1. Incaponirmi sul fatto di aver ragione e pretendere che lei si scusi e faccia ammenda (ma lei potrebbe vederla diversamente).
  2. Oppure decido che l'aver ragione non ha molta importanza, archivio l'evento come "Tutti sbagliamo", e faccio pace con la mia partner senza insistere su chi ha sbagliato cosa.
E' ovvio che la prima opzione blocca la relazione in uno stallo di conflitto e infelicità, mentre la seconda aiuta a ritrovare l'armonia di coppia.

---> Come superarlo
Viviamo in un modo imperfetto popolato da persone imperfette. Quindi è del tutto normale che accadano cose ingiuste, o che chi ha ragione possa perdere. L'unico modo di mantenere una certa serenità o pace interiore, è di accettare questo fatto e lasciar perdere l'orgoglio che ci dice "Ho ragione, quindi resterò furioso finché verrà fatta giustizia".
Certo va bene rivendicare le proprie ragioni e diritti, quando possibile. Ma nei casi in cui ci proviamo e realizziamo che non serve, l'ostinazione servirà solo ad alimentare il nostro malessere: il risentimento ci corroderà dentro, e non ne ricaveremo nulla.

Anche se sei convinto di aver ragione, potresti sbagliarti

  • Inoltre, a volte non c'è un torto o ragione: a volte le cose accadono e basta, per caso o fatalità. A che scopo cercare un colpevole?
  • Altre volte la situazione può essere considerata da diversi punti di vista: così magari Tizio la vede blu, Caio azzurra e Sempronio celeste. In questi casi nessuno ha torto, bensì ciascuno ha le proprie ragioni (ma di solito ognuno tende a vedere solo la sua). Pensiamo ai concorsi di bellezza, dove ognuno è convinto dell'esattezza del proprio giudizio, ma in realtà ogni giudizio è altamente soggettivo (altrimenti ci sarebbe l'unanimità).
  • Infine, delle volte ci ostiniamo su opinioni che sono semplicemente errate (ma per ignoranza, cocciutaggine od orgoglio non vogliamo riconoscerlo). Ammettere almeno in teoria che potrei essere in errore non è debolezza, bensì richiede forza di carattere e coraggio.

Se ho abbastanza apertura mentale da considerare le ragioni altrui (anche se non le condivido), posso passare da uno stato d'animo di opposizione e conflitto ad uno di educato disaccordo, in cui opinioni diverse possono convivere civilmente. Potrei persino empatizzare con l'altro, ovvero comprendere quello che sente e che lo porta a quella posizione, anche se diversa dalla mia.

"La tragedia di questo mondo è che ognuno ha le sue ragioni."
(Jean Renoir, nel film "La regola del gioco")

4. Non aspettarti troppo dalle persone

Molti hanno aspettative idealistiche verso gli esseri umani: ritengono che tutti dovrebbero essere sempre onesti, gentili, corretti e rispettosi (forse perché loro stessi si sforzano di esserlo, quindi si aspettano altrettanto). Certo sarebbe molto bello... ma purtroppo la vita non funziona così. Le persone tendono ad essere opportuniste, ovvero spesso fanno quello che gli conviene invece di quello che sarebbe giusto (da notare che questo vale per entrambi i generi allo stesso modo, a dispetto della propaganda femminista e delle sue pretese di una "superiorità morale" femminile).
La verità è che siamo tutti imperfetti e spesso irrazionali, per cui a volte capita di sbagliare, di mentire, di approfittarci delle situazioni, di essere egoisti, cocciuti o menefreghisti; e magari ce ne rendiamo conto solo dopo (o mai). Non vuol dire che siamo malvagi, ma solo che quella è la natura umana. Se non sei d'accordo con me, ti invito a considerare la storia umana con tutte le sue meschinità, follie e tragedie: mi sembra che comprovi quanto ho detto.

---> Come superarlo
Perciò avere aspettative elevate verso le persone non potrà che portare a frequenti delusioni e malumori. Invece, mantenere aspettative moderate ci aiuterà a non prendercela troppo, e persino a piacevoli sorprese quando capita che gli altri si dimostrino migliori di quanto ci aspettiamo.
Un trucco che uso quando qualcuno mi delude con un'azione criticabile (per esempio una manovra azzardata in auto, una risposta poco garbata, una battuta infelice), è di chiedermi: "Succede anche a me di fare così?". Se sono onesto, la risposta è quasi sempre "Beh sì, a volte mi è capitato". Così facendo mi rendo conto che, appunto, tutti possiamo sbagliare e agire male; e che non è il caso di prendersela per questo (ovviamente non parlo di azioni davvero gravi o pericolose).

Uniti nell'imperfezione

Questo può anche diventare un esercizio di empatia: se invece di aspettarmi la perfezione vedo gli altri come essere fallibili (proprio come me, in fondo), quando le cose vanno storte mi sarà più facile perdonarli e sentirmi connesso con loro. Passando quindi da una mentalità di conflitto ad una di "fratellanza" (siamo tutti accomunati dalle nostre imperfezioni e debolezze).

5. Riconosci le tue "ferite" e le tue reazioni viscerali

A volte quello che ci fa stare male non è tanto l'evento in sé, bensì il fatto che esso va a sollecitare qualche "ferita emotiva" del passato che non abbiamo mai superato, oppure qualche convinzione negativa che giace nel nostro inconscio. Possiamo riconoscere questi casi dal fatto che la nostra reazione è esagerata rispetto alla causa, o particolarmente viscerale:
  1. Qualcuno fa una battuta od un'osservazione neutra (senza intenzione di offendere), ma tu ti senti aspramente criticato e parti al contrattacco (in casi del genere è bene ricordare che la nostra percezione dei fatti può essere errata).
  2. Un'auto ti sorpassa con una manovra imprevista, e ti ritrovi ad urlare "Ti ammazzo bastardo! Se ti prendo ti faccio a pezzi...!!!".
  3. Ad una festa vedi un amico e gli vai incontro per salutarlo, preparandoti ad abbracciarlo; ma lui sta corteggiando qualcuno, per cui ti saluta distrattamente e subito si gira verso la nuova fiamma. Ti viene una vampata alle guance, ti senti mancare, e ti riprometti di non guardarlo mai più in faccia.
  4. Tuo figlio gioca entusiasta con un giocattolo, che gli sfugge di mano e candendo va in frantumi, e tu sbotti "Ma sei deficiente? Non hai nessun rispetto per le cose! Non ti compro più niente!".
Chi ci sta intorno rimane stupito e persino sconvolto da queste reazioni, che ai loro occhi appaiono inspiegabili. E in effetti la vera spiegazione è nascosta nella psiche, e la persone stessa spesso ne è ignara: interrogata a riguardo sa solo balbettare delle vaghe giustificazioni.

Ma cos'è successo davvero? Naturalmente ci possono essere molteplici spiegazioni, ma ne ipotizzo una per ciascuno dei casi sopra esposti:
  1. Se siamo cresciuti in mezzo a persone critiche, esigenti o severe, potremmo esserci abituati a prendere ogni osservazione come rimprovero. Ovviamente da piccoli un ambiente del genere ci ha provocato grave sofferenza, che torna a galla ogni volta che incontriamo qualsiasi cosa che ci sembra una critica.
  2. Se un bambino non è stato rispettato o è stato punito senza motivo, magari da genitori nervosi o litigiosi, questo può creargli una "ferita del rispetto" o una "ferita di ingiustizia". Per cui ogni volta che qualcuno si comporta scorrettamente nei suoi confronti, questo sollecita la ferita ancora aperta e scatena una rabbia esagerata.
  3. Un bambino può essere stato ignorato o trascurato, magari da genitori freddi o troppo indaffarati. Questo ha creato nella sua mente una convinzione del tipo "Tu non conti ed a nessuno importa di te"; poiché questo è un pensiero molto doloroso, è stato nascosto nell'inconscio e lui non ne è consapevole. Ma quando qualcuno a cui lui vuole bene sembra ignorarlo o metterlo da parte, quel dolore viene riattivato e si manifesta con una lacerante tristezza ed una chiusura difensiva.
  4. Se uno è cresciuto in una famiglia severa e dalle scarse risorse, può avere assorbito la convinzione che ogni piccolo spreco è inaccettabile, e chi lo compie va inevitabilmente punito. Così quando suo figlio rovina senza volerlo un gioco da pochi euro, sorge in lui una severità fuori luogo ed un impulso a punirlo (perché è così che lui è stato trattato da piccolo).

---> Come superarlo
Quando ci rendiamo conto (o ci viene fatto notare) che abbiamo reazioni eccessive rispetto alle cause, possiamo guardarci dentro e cercare se abbiamo una ferita che ha guidato la nostra reazione. Magari c'è una parte del nostro passato che teniamo nascosta anche a noi stessi, o con cui non abbiamo ancora fatto i conti. Forse c'è in noi una parte dolente che ha bisogno di attenzione e comprensione.
Riconoscendo e accettando che abbiamo una ferita emotiva, possiamo imparare a prendercene cura e col tempo sanarla (o almeno attenuare la sua intensità). Questo ci aiuta a non prendercela con gli altri quando non c'è un reale motivo, e quindi anche a vivere più sereni ed in pace. Può anche essere utile imparare a non dare peso ai giudizi altrui.

Negazioni categoriche

Certe persone negano vigorosamente la possibilità di queste spiegazioni inconsce, o le ridicolizzano, o affermano con decisione che non può essere il loro caso. In genere questo tipo di negazioni categoriche è un segno del contrario: che la persona ha realmente una qualche ferita emotiva, ma ne è così spaventata da respingerla. Di nuovo, una reazione viscerale indica che c'è sotto qualcosa che ci è ignoto, o che non vogliamo vedere.

Piccoli conflitti o gravi scontri?

Quanto esposto finora riguarda i piccoli conflitti quotidiani: screzi, giudizi, incomprensioni, atti sgarbati, battute fuori luogo, ecc. Eventi su cui spesso è meglio non prendersela troppo, oppure lasciarseli scivolare addosso.

Diverso è il discorso per comportamenti ben più seri, come aggressioni, violenze (fisiche o psicologiche), bullismo, mobbing, gravi mancanze di rispetto o persone che cercano di "calpestarci". In questi casi la pazienza, l'accettazione o la comprensione possono non essere la risposta più adeguata, anzi possono incoraggiare l'aggressore o legittimarlo nel suo atteggiamento inaccettabile.
Qui non posso approfondire, ma direi che è bene opporsi a questi comportamenti con fermezza, respingendoli con decisione e dichiarando apertamente che non siamo disposti a tollerarli (quando gli altri ci maltrattano, spesso è perché siamo noi a permettere loro di farlo). In certi casi è utile chiedere il supporto di amici e familiari, oppure di figure di autorità (insegnanti, superiori) e forze dell'ordine.

E' forse il tuo Ego che se la prende?

Dedico infine una sezione all'Ego (*), che spesso ci rende vulnerabili: quando ce la prendiamo molto, è possibile che sia proprio perché il nostro Ego si è sentito attaccato (è un problema simile a quello del Punto 2, ma qui è più radicale). La missione dell'Ego è farci sentire "grandi", speciali, cioè di valore. Per cui ogni volta che ci sentiamo sminuiti o invalidati da qualcuno o qualcosa, esso reagisce vigorosamente, di solito con un senso di irata indignazione o di "lesa maestà": "Come si permettono... Io sono importante... Tutti dovrebbero fare X... Nessuno dovrebbe mai fare Y...".

Più o meno tutti abbiamo un certo Ego, ma in misura ragionevole non crea particolari problemi. Qui però mi riferisco ad Ego "esagerati", che tendono a dominare la personalità. Chi ha un Ego "ingombrante" si atteggia come se fosse il "padrone del mondo", ma in realtà ha toni e atteggiamenti simili a quelli di un bambino tirannico e capriccioso. Costoro si riconoscono da frequenti atteggiamenti del tipo:
  • E' convinto di avere sempre ragione. Non considera mai l'idea di essere in errore: solo gli altri sbagliano.
  • Cerca sempre occasioni di mettersi in mostra o primeggiare, o di apparire migliore degli altri.
  • Quando le cose gli vanno male, non se ne assume la responsabilità ma tende a fare la vittima d'abitudine, fino al punto di assumere una mentalità paranoide: "Ce l'hanno tutti con me. Non ci si può fidare di nessuno. Sono tutti stronzi. Tutti gli uomini / donne sono...", ecc.

---> Come superarlo
Chi ha un Ego del genere non può semplicemente liberarsene, ma può però prenderne consapevolezza e quindi "tenerlo a bada": imparare a riconoscere le "sparate" del proprio Ego e dargli poco peso, o vederne la scarsa fondatezza. Se una persona si riconosce in questa tipologia (e non è facile), potrebbe riuscire a rendersi conto che, il più delle volte, non è il mondo ad essere sbagliato, ma piuttosto che spesso è lui ad essere troppo suscettibile o con pretese troppo elevate.
Magari potrebbe anche indagare cosa nasconde il suo Ego: le ferite che ha ricevuto nell'infanzia (è stato ignorato, trascurato, deriso, disprezzato...?), il fatto che non si accetta per come è, il suo disperato bisogno di attenzione e approvazione, ecc.

(*) Cos'è l'Ego

"Ego" è un termine che può indicare diverse parti della psiche. Qui lo intendo come una parte "fasulla" della nostra personalità, che serve a coprire insicurezze e fragilità. In pratica, l'Ego cerca di farci sentire "grandi" anche se in realtà ci sentiamo "piccoli". Ma poiché è solo una "facciata", una recita (ovvero non corrisponde ad un valore reale), non fornisce mai una reale sicurezza di sé, ma è sempre alla ricerca di conferme.

"Non sono i fatti a turbare gli uomini, ma le opinioni intorno ai fatti."
(Epitteto)

"Tutto ciò che ci irrita negli altri può portarci a capire noi stessi."
(Carl G. Jung)

"Per raggiungere la pace mentale, smetti di voler fare il direttore generale dell'universo."
(Larry Eisenberg)


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Qual è la persona più importante della tua vita?

Esiste una persona più importante di tutti?


La persona più importante della tua vita sei tu :-)
  • Tutti gli altri possono andare e venire. Ma tu sei stato, sei ora, e sarai sempre, insieme a te stesso.
  • Gli altri possono fare e dire cose preziose, ma alla fine solo tu sai cos'è giusto per te.
  • L'amore che viene dagli altri ti nutre, ti dà gioia e ti migliora la vita... ma puoi vivere anche senza. Invece senza l'amore per te stesso esiste solo vuoto e disperazione.

Con questo non voglio inneggiare ad un egocentrismo sterile e chiuso: siamo creature sociali e le relazioni sono l'esperienza più preziosa della vita. Senza relazioni significative la propria esistenza rischia di rimanere povera e grigia.
Però la relazione più significativa rimane quella con se stessi:
  • Quando qualcuno accetta e ama se stesso tutto diventa possibile: può fiorire, svilupparsi ed evolversi. E' anche più capace di amare e donarsi agli altri (perché vive uno stato di pace e benessere interiore).
  • Mentre chi nega se stesso e disprezza ciò che è, chi si condanna ed è nemico di se stesso, vive costantemente nel suo inferno interiore (da cui ben poco amore può scaturire verso gli altri).

Anche la famosa esortazione evangelica "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Matteo 22,39), necessita dell'amore di se stessi per funzionare. Se non amo me stesso, infatti, non amerò gli altri nella stessa misura. Come potrei dare agli altri qualcosa che non ho dentro di me?

Prenditi cura del tuo giardino

In pratica, tu sei il centro del tuo mondo (il che è diverso dal sentirsi il centro del mondo in senso ampio, e pretendere che gli altri ti trattino come tale; o ritenersi al di sopra degli altri - che sono tendenze egocentriche e distruttive).
  • Quando ti prendi cura del tuo mondo interno, ti tratti bene e lo coltivi facendolo diventare come un bel giardino fiorito, allora tutti quelli che vi transitano si troveranno bene - e tu per primo. Le altre persone staranno bene in tua compagnia e ti apprezzeranno, perché come siamo dentro viene percepito all'esterno. Quindi se ho coltivato amore e benessere dentro di me, gli altri ne saranno istintivamente attratti.
  • Invece trascurare se stessi, criticarsi e punirsi, servirà solo a rendere il tuo mondo interno un deserto inospitale, disagevole e ostile, in cui nessuno vorrà rimanere - e da cui tu stesso vorrai fuggire (come fanno, per esempio, le persone che fuggono da stesse e cercano sollievo nelle dipendenze - di qualsiasi tipo).

Perciò, se vuoi cambiare la tua vita in meglio, comincia dal prenderti cura di te stesso. Trattati come farebbe il tuo migliore amico, come se tu fossi la persona più importante del mondo - perché nel tuo mondo, lo sei. :-)


Questo post fa parte di una serie di risposte brevi a domande frequenti sull'amore, le relazioni e la vita (clicca sul link per leggere l'elenco di tutte le domande e risposte).

"Senza l'amore di se stessi la vita non è possibile, neppure la più lieve decisione, soltanto immobilità e disperazione."
(Hugo Von Hofmannsthal)

"Non c'è amore sufficientemente capace di colmare il vuoto di una persona che non ama se stessa."
(Irene Orce)

"La persona che non è in pace con se stessa, sarà in guerra con il mondo intero."
(Mohandas K. Gandhi)


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Come affrontare la sofferenza

Come ho scritto nel post "Perché si soffre" (e come filosofi e saggi hanno spesso confermato), la sofferenza è naturale e parte della vita stessa. Per questo l'atteggiamento più saggio sarebbe quello di accettare questo aspetto inevitabile della condizione umana, senza farsene abbattere o travolgere; purtroppo non è affatto facile.

Fuga dalla sofferenza

L'impatto che la paura, il dolore, l'incertezza e gli imprevisti dell'esistenza hanno su di noi, è tale da indurci spesso a sentirci soverchiati: non riusciamo a sopportarli. E' per questo che ci capita di cadere in due atteggiamenti errati e dannosi, opposti ma entrambi gravi:
  1. L'ottimismo ingenuo di chi vuole credere che tutto andrà (o deve andare) bene.
  2. Il pessimismo cinico di chi rinuncia alla speranza, e si aspetta che tutto andrà male.
  • I primi vivranno nella negazione e nell'illusione, si ritroveranno spesso delusi, smarriti e impreparati ad affrontare le complessità dell'esistenza.
    Avendo delle aspettative troppo elevate, tenderanno al perfezionismo, avranno difficoltà ad adattarsi, difficilmente apprezzeranno i piccoli piaceri o le conquiste modeste; non di rado saranno pretenziosi o critici (tutto dovrebbe essere molto meglio, non ci si può certo accontentare).
  • I secondi vivranno nell'angoscia, incapaci di andare incontro alla vita con fiducia e intraprendenza.
    Aspettandosi il peggio diffideranno di tutti, eviteranno di cogliere le opportunità, vivranno intrisi di amarezza ed invidia per chi sa essere più lieto e appagato. Le persone tenderanno ad evitarli e, invece di riconoscere di essere loro stessi la causa, attribuiranno la colpa agli altri.
Non di rado chi coltiva la prima mentalità, dopo una serie di delusioni finisce con l'abbracciare la visione opposta: dopo troppa sofferenza e disappunto, si rifugia nella rassicurazione del pessimismo a priori, in modo da non coltivare più speranze che possano essere infrante.

Una mancanza di equilibrio

Il problema di fondo di questi due atteggiamenti è la mancanza di equilibrio, e di realismo: in realtà l'esistenza è sempre un misto di luce ed ombra, positivo e negativo, successi e fallimenti. Solo mantenendo una posizione equilibrata, di "saggezza ragionevole" che prevede e considera tutte le possibilità, spera nella riuscita ma si prepara all'eventuale insuccesso, è possibile vivere in modo costruttivo e proficuo.

Gli elementi della saggezza

Naturalmente la vera saggezza non si raggiunge in fretta né si può insegnare, ma esistono alcuni "ingredienti" che possiamo coltivare per accrescere la nostra "ragionevole saggezza", e così saper affrontare meglio la sofferenza.

Visione realistica

Le persone sagge hanno, prima di tutto, una visione "realistica" su quanto impegnative siano molte cose. Non sono privi di speranza (il che sarebbe una follia), ma sono consapevoli delle complessità che ogni progetto comporta: ad esempio crescere un figlio, avviare un'impresa, trascorrere un fine settimana piacevole con la famiglia, cambiare la società, innamorarsi...
Sapere di starsi imbarcando in qualcosa di difficile non toglie al "saggio" l'ambizione, ma lo rende più saldo, più calmo e meno incline al panico riguardo i problemi che invariabilmente incontrerà sul percorso.

Saper apprezzare

Ben consapevole che molte cose potrebbero andare storte, il saggio è insolitamente sensibile a momenti di calma e bellezza; anche a quelli di natura modesta, che vengono ignorati da chi è impegnato in progetti più grandiosi. Proprio perché ha ben presente i pericoli e le tragedie dell'esistenza, è capace di apprezzare il piacere di una giornata soleggiata e tranquilla, l'incanto di un bambino che gioca, o una serata di chiacchiere tra amici.
Non è perché sia ingenuo o sentimentale, ma perché conosce quanto la vita possa diventare difficile; e, quindi, sa apprezzare il valore dei momenti dolci e sereni - in qualsiasi momento si presentino.

Riconoscere la follia diffusa

Il saggio sa che tutti gli esseri umani, lui compreso, sono irrimediabilmente radicati nella follia: hanno desideri irrazionali e obiettivi contraddittori, sono inconsapevoli la maggior parte del tempo, sono inclini a sbalzi d'umore, sono preda di ogni tipo di fantasie e illusioni; e sono sempre in balìa delle bizzarre pulsioni della loro sessualità.
Il saggio non rimane sorpreso dalla compresenza di immaturità e perversione al fianco di qualità mature come intelligenza ed etica. Si rende conto che siamo, in fondo, delle scimmie a malapena evolute. Consapevole che almeno metà della vita è irrazionale, cerca - per quanto possibile - di prevedere la pazzia, ed argina il panico quando - prevedibilmente - essa fa la sua comparsa.

Educazione e cortesia

La persona saggia ha una visione realistica anche delle relazioni sociali; specialmente su quanto sia difficile far cambiare idea alle persone e influenzare le loro vite.
Per questo è alquanto restìa nel dire francamente quello che pensa degli altri. Si rende conto di quanto sia raramente produttivo mostrarsi critici. Cerca soprattutto di creare situazioni piacevoli tra le persone, anche se questo significa non essere del tutto autentici. A questo scopo, nel parlare con qualcuno di fede politica o religiosa diversa dalla propria, non cercherà di convertirli; si tratterrà dall'obiettare a chi espone idee discutibili sul riformare il paese, sull'educare i figli o sull'organizzazione della propria vita.
La persona saggia sarà consapevole di quanto ciascuno possa vedere le cose in modo diverso, e cercherà di concentrarsi più su quello che le persone hanno in comune piuttosto che su quello che le separa.

Accettare se stessi

Il saggio ha fatto pace con il divario tra come avrebbe voluto essere idealmente, e ciò che in realtà è diventato. E' venuto a patti con la propria stupidità, i difetti, la sgradevolezza, i limiti e le mancanze; ha imparato a trattarsi con gentilezza e compassione anche con le sue imperfezioni. Non si vergogna di se stesso - e quindi non ha bisogno di mentire o dissimulare di fronte agli altri. Senza egocentrismo o vanità, può mostrare alle persone vicine una mappa abbastanza precisa dei propri difetti e nevrosi, e delle ragioni per le quali può essere difficile vivergli accanto (il che facilita non poco stare in sua compagnia).

Saper perdonare

Il saggio sa essere realistico anche con gli altri. Sa che tutti siamo sottoposti a grande pressione nel perseguire le proprie ambizioni, difendere i propri interessi e nella ricerca della gratificazione. Questo può far sembrare gli altri "cattivi" e insensibili, ma il saggio riconosce che la maggior parte del "male" non è intenzionale: è un sottoprodotto del costante scontro tra ego in competizione per trovare un "posto al sole" in un mondo di risorse limitate.

Il saggio è quindi cauto nel giudicare. Esita a trarre conclusioni affrettate sulle motivazioni dietro alle azioni altrui. E' più disponibile a perdonare perché sa quanto la vita di ciascuno sia difficile, piena di aspirazioni frustrate e desideri inappagati: è naturale che ogni tanto ci sia qualcuno che urla, che è scortese, che spinge per passare avanti...
Il saggio comprende le ragioni per cui le persone possono essere sgradevoli. Si sente meno ferito dall'aggressività e meschinità altrui, perché è consapevole dell'origine di certi comportamenti: nascono dal dolore e dalla confusione che tutti provano.

Perdonare se stessi

Un elemento necessario per diminuire la sofferenza, è la capacità di perdonarsi. Quasi tutti conviviamo con sensi di colpa per qualche mancanza o errore compiuto. Ma commettere errori (anche gravi) è umano: anche quando sbagli, non vuol dire che sei una cattiva persona, ma solo che sei umano e imperfetto - come tutti.

Successo, fortuna ed invidia

Il saggio non si fa ingannare dall'invidia: si rende conto che ci sono dei validi motivi per cui non ha molte delle cose che vorrebbe. Se guarda a personaggi ricchi o famosi, riconosce le ragioni per cui è ben lontano dal raggiungere simili vette di successo. Può sembrare che la vita gli sia andata così per caso, o per sfortuna, o a causa di ingiustizie, ma in realtà ci sono stati dei motivi del tutto razionali:
  • non si è impegnato abbastanza,
  • non ha voluto rischiare,
  • non ha coltivati i talenti necessari,
  • mancava di alcune capacità...

Allo stesso tempo, il saggio riconosce che alcuni destini sono davvero plasmati dal caso: alcune persone hanno genitori migliori, altri capitano nel posto giusto al momento giusto. Non sempre i vincitori lo sono per proprio merito. Il saggio apprezza l'importanza della fortuna, e non se la prende con se stesso per non averla avuta quando gli avrebbe fatto comodo.

Errori e rimpianti

In quest'epoca pervasa di ambizione, è comune coltivare il sogno di poter realizzare una vita piena e appagante; essere convinti di poter prendere le decisioni migliori in ogni aspetto primario della vita: l'amore, il lavoro, i figli... Ma il saggio si rende conto che è impossibile non commettere mai errori; ciascuno farà sbagli anche clamorosi, imprevedibili e con serie conseguenze, in ogni settore della vita. A volte:
  • Sposiamo qualcuno che poi diventa un estraneo, o un nemico
  • Scegliamo una carriera che poi ci svuota l'anima
  • I figli crescono distanti, incomprensibili e sofferenti
E questo accade nonostante il nostro impegno e la convinzione di fare la scelta giusta. Il perfezionismo è un'illusione ingannevole: ritrovarsi con dei rimpianti è inevitabile. Per questo è fondamentale perdonarsi quando - fatalmente - compiamo degli errori (il che non esclude la responsabilità per le nostre azioni).

Il rimpianto si ridimensiona se osserviamo che fare errori è comune a tutta la nostra specie. Se osserviamo la vita di chiunque troviamo errori devastanti che l'hanno segnata. Sbagliare non è riservato alle persone meno capaci o meno attente: è intrinseco all'esistenza stessa. Sbagliamo perché non abbiamo mai tutte le informazioni necessarie per fare scelte corrette, e perché ci è impossibile prevedere dove quelle scelte ci porteranno. Per molti versi, navighiamo nella vita in modo approssimativo, a volte quasi alla cieca.

Accogliere il dolore

Infine, spesso il modo migliore per diminuire la sofferenza è non combatterla, ma accoglierla e sentirla - che è esattamente il contrario di quel che ci viene da fare. Quando proviamo del dolore, la nostra reazione istintiva è di opporci: vogliamo allontanarlo o annullarlo, facciamo di tutto per non sentirlo. Ma questo non lo elimina: tutto quel che otteniamo è distrarci temporaneamente, oppure nascondiamo quel dolore in qualche angolo del nostro inconscio - dove continua a influenzarci.
E' per questo che i traumi dell'infanzia, le ferite che nascondiamo, la rabbia non espressa, continuano a covare in noi e ci provocano malesseri (a volte emotivi, a volte fisici): le emozioni represse non spariscono, vengono "congelate" dentro di noi. Salvo poi esplodere - spesso in modo esagerato e incomprensibile - quando siamo stanchi o stressati, o se qualcuno va a toccare un nostro punto debole.
Per non sentire le emozioni negative o spiacevoli, usiamo varie strategie difensive (alcune identificate da Freud sono la negazione, la dissociazione, la rimozione), oppure scivoliamo in qualche dipendenza (cibo, alcol, sesso, lavoro, shopping... i comportamenti compulsivi ci distraggono e ci "anestetizzano").
Molti concentrano la propria vita sull'allontanare o eliminare la sofferenza, nella convinzione che ciò li farà stare bene o li renderà felici: ma questa è un'illusione che non funziona, anzi finiamo con lo stare peggio.

Le emozioni sono come onde

L'emozione è energia, e si muove come un'onda: se la accogliamo e lasciamo che passi, l'emozione raggiungerà un picco e poi diminuirà, fino a scomparire. Se invece ci opponiamo, continuerà a premere sulla nostra psiche (come la massa d'acqua arginata da una diga), generando disagio. Paradossalmente, molte persone continuano a soffrire tutta la vita per evitare il dolore: lo tengono a distanza invece di affrontarlo, e in questo modo non se ne liberano mai. Invece, se accogliamo le nostre emozioni (per quanto spiacevoli), le abbracciamo e ci permettiamo di ascoltarle, pian piano l'emozione si attenuerà fino a passare, lasciandoci liberi (nel caso di problemi complessi o dolori radicati nel passato, però, liberarsene può essere più difficoltoso). E' come quando abbiamo voglia di piangere: se ci permettiamo di scoppiare in un pianto dirotto, poi ci sentiamo un po' meglio.

Cambiare il mondo, cambiare se stessi

Alla fine di questo elenco, qualcuno potrebbe obiettare che parla solo di come cambiare se stessi; magari sperava di trovare suggerimenti per attenuare la sofferenza cambiando le altre persone, o le situazioni. Ma il problema è che non possiamo mai cambiare gli altri, e spesso non possiamo nemmeno cambiare le situazioni, o il mondo: per quello è importante capire quando è possibile cambiare una situazione, e quando invece è il caso di accettarla.
Per tutti gli eventi che ci recano sofferenza, ma in cui non è possibile cambiare le altre persone o la situazione, coltivare gli atteggiamenti elencati sopra può aiutarci a vivere meglio.

Essere spontanei od ottenere dei risultati

Si potrebbe osservare che tutti questi suggerimenti vanno contro la spontaneità; qualcuno potrebbe lamentarsi "Perché dovrei essere così saggio? Io voglio solo essere me stesso". Naturalmente siamo tutti liberi di comportarci come meglio preferiamo; non siamo però liberi di scegliere le conseguenze.
Lo scopo di questo post non è di insegnare ad essere delle "brave persone", ma di suggerire degli strumenti che permettono di vivere con maggior serenità e piacere, anche quando ci troviamo ad affrontare la sofferenza che la vita - inevitabilmente - porta sul nostro cammino. Lo scopo è "egoistico": è per stare meglio noi, non per far stare meglio gli altri (quello, semmai, è solo una conseguenza)
Se qualcuno vuole comportarsi come gli viene, è liberissimo: ma se questo lo porta ad arrabbiarsi, entrare in conflitto, e non ottenere i risultati voluti, pare evidente che non è un comportamento funzionale. Poiché si raccoglie ciò che si semina, se vogliamo certi risultati ne consegue che dobbiamo "seminare" in modo adeguato. Dipende da dove vogliamo dirigere la nostra vita.

L'importanza della pratica e della ripetizione

Conoscere atteggiamenti saggi non garantisce, ovviamente, che riusciremo a metterli in pratica. La conoscenza è semplicemente un punto di partenza: sarà il praticarli, e il riconoscere quando invece cadiamo in comportamenti meno fruttuosi, che ci porterà pian piano a incorporare atteggiamenti saggi nel nostro modo di vivere. E' la ripetizione che trasforma un'azione in un'abitudine.


(parte di questo post è liberamente adattata da "Cheerful despair", The School of Life)


"Se potessimo leggere la storia segreta dei nostri nemici, troveremmo, nella vita di ognuno di loro, abbastanza dolore e sofferenza da disarmare ogni ostilità."
(Henry Wadsworth Longfellow)

"Niente abbellisce il carattere, l'aspetto fisico o il comportamento quanto il desiderio di diffondere gioia anziché sofferenza."
(Ralph Waldo Emerson)

"Chi conosce così poco il valore umano da cercare la felicità cambiando qualcosa che non sia il proprio atteggiamento personale, sprecherà la vita in sforzi infruttuosi e moltiplicherà la sofferenza che vorrebbe eliminare."
(Samuel Johnson)


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A volte nessuno ha torto o ragione

Quando viviamo situazioni problematiche, di conflitto o di sofferenza, il più delle volte tendiamo a cercare un "colpevole": ci chiediamo chi ha sbagliato, chi è in torto, chi deve cambiare. Questo accade specialmente nelle relazioni (in particolar modo quelle sentimentali), ma anche a livello politico, religioso o internazionale.
Ma il fatto è che, molto spesso, in queste situazioni nessuno ha realmente torto o ragione, nessuno ha sbagliato (almeno intenzionalmente): quello che succede è che ognuno è diverso, ha esigenze diverse, o vede le cose in modo diverso dall'altro. Il conflitto quindi nasce dalle differenze, non da un errore oggettivo o da un torto reale:
  • se io desidero passare le vacanze al mare e tu in montagna, nessuno è in torto;
  • se io ho sempre voglia di fare sesso e tu no, nessuno è colpevole;
  • se io intendo avere dei figli e tu no, nessuno è sbagliato.
Semplicemente, abbiamo bisogni diversi o diverse priorità.

L'errore di cercare sempre il bene e il male

Purtroppo la nostra cultura "occidentale" ci insegna a giudicare in modo dicotomico, ovvero a vedere due parti in opposizione di cui solo una può essere "giusta" (è il "bene", ha ragione, ecc.), mentre l'altra è per forza "sbagliata" (è il "male", ha torto, è in errore, ecc.). Questa visione ci impedisce di vedere che, in molti conflitti, ognuno ha le sue ragioni, ognuno agisce secondo quello che a lui sembra giusto, ognuno fa il meglio che può; in questi casi:
  • non ha senso cercare un colpevole, perché nessuno ha colpa (cioè, nessuno sta creando il conflitto intenzionalmente);
  • non serve a nulla decidere chi ha torto o ragione, perché ciascuno ha le sue ragioni per agire in quel modo;
  • è inutile individuare chi è sbagliato o deve cambiare, perché nessuno è giusto o sbagliato, e nessuno dovrebbe cambiare (se non per propria libera scelta).

Oppure, a volte semplicemente qualcosa va storto, senza che che le persone coinvolte abbiano alcuna colpa, perché la vita va così: un imprevisto, un incidente, un evento naturale avverso. La vita non è equa, e il mondo non è fatto per renderci felici (è uno dei motivi per cui, a volte, la sofferenza è inevitabile).

A volte c'è chi ha ragione; altre volte hanno tutti ragione

In altre parole, è vero che in alcune situazioni c'è chi è oggettivamente in torto (per esempio chi ha violato la legge) oppure ha veramente sbagliato (p.es. chi intenzionalmente fa del male o danneggia un altro); ma negli altri casi, ci sono semplicemente bisogni e opinioni diverse. In questi casi, cercare un colpevole (che non c'è) o giudicare chi ci sembra essere in errore, ci porta a condannare chi non ha colpe e ci impedisce di risolvere il conflitto. L'unica via per uscire da questi conflitti è riconoscere le esigenze di ogni parte, e cercare una soluzione che possa accontentare tutti, o un compromesso ragionevole. E se questo risulta impossibile, è meglio ammettere questo "blocco", invece di voler dichiarare per forza un vincitore e uno sconfitto.
Per esempio, se io voglio dei figli e la mia partner no, e non riusciamo a trovare un punto d'incontro, è meglio riconoscere questa fondamentale incompatibilità (ed eventualmente separarsi), piuttosto che forzare uno dei due a vivere in un modo che vìola la sua natura, e che lo renderebbe frustrato, infelice e risentito.

Le esigenze contrastanti

La maggior parte dei conflitti nasce da bisogni o esigenze contrastanti: siccome siamo tutti diversi, è del tutto normale volere cose diverse (anche nelle coppie più affiatate, o nelle comunità più strette). E siccome tutti tendiamo a credere di avere ragione (vedi paragrafo successivo), svalutiamo le esigenze altrui, o ci appaiono prive di senso.
Ma questo atteggiamento è simile a quello di un bambino che pesta i piedi, e pretende che il mondo giri a modo suo. Quando sono gli altri a farlo con noi, li troviamo irragionevoli e oltremodo irritanti; proviamo a ricordarlo, quando siamo noi a fare altrettanto e vogliamo "dettar legge" (come ci ricorda una canzone degli anni '80, "Tutti vogliono governare il mondo" - "Everybody wants to rule the world", Tears for Fears).

Tutti pensiamo di avere ragione - e quasi sempre ci sbagliamo

Uno dei maggiori ostacoli all'avere una prospettiva aperta alle esigenze altrui, è l'umana tendenza a credere che la nostra personale opinione sia la migliore possibile, e/o che sia oggettivamente giusta. In realtà:
  • I fatti possono essere oggettivamente giusti oppure sbagliati, le opinioni no: preferire il rosso al verde, le donne agli uomini, la sicurezza alla libertà, sono solo inclinazioni personali e soggettive.
    Sui fatti oggettivi e dimostrabili si può arrivare a una posizione unanime (per esempio nelle verità scientifiche), sulle opinioni ci sarà sempre diversità e discordia.
  • Quindi nessuna opinione è "giusta" o migliore in assoluto, ma è solo uno dei tanti possibili modi di vedere le cose; lo dimostra il fatto che quasi sempre esiste una pluralità di opinioni, e che queste cambiano nel tempo e nelle diverse culture.
  • Inoltre, la nostra opinione agisce da "filtro" che "colora" la realtà a seconda di quello che crediamo; pensiamo di vedere la realtà per come è, in modo oggettivo, ma invece la interpretiamo a seconda delle nostre convinzioni.
Questo accade anche perché tendiamo a fidarci delle nostre emozioni: quando sentiamo qualcosa di potente dentro di noi, crediamo che indichi qualcosa di reale; diciamo "Me lo sento!" come se fosse una prova concreta, invece di una pura sensazione. Come spiega anche lo psicologo Daniel Gilbert nel suo libro "Stumbling on happiness" ("Felici si diventa", info nella Bibliografia), le nostre emozioni spesso ci fuorviano: ci fanno credere cose improbabili o non vere, ci portano a fare scelte sbagliate, e/o rafforzano i nostri pregiudizi e convinzioni.
Gran parte delle convinzioni comuni - come "Le donne dovrebbero...", "Gli uomini sono...", "Il vero amore è...", così come quelle su etnie, religioni o sistemi politici - che molte persone vedono come verità indubitabili, sono in realtà opinioni soggettive e arbitrarie, tanto è vero che sono sempre mutevoli nel tempo e fra le varie nazioni.

Credere che la propria opinione sia la migliore, o addirittura l'unica accettabile, è il (tragico) errore alla base di molte violenze, atti di terrorismo e guerre. Si tende a dividere le persone in due campi opposti, quelli che sono "con me" e quelli che sono "contro di me", senza possibilità intermedie. Si aggredisce chi non la pensa come noi, perché non si riconosce che la sua opinione - ancorché diversa - può valere quanto la nostra, e lo si vede come una minaccia, un nemico della (nostra) verità.

Ricorda, nessuno è normale

Un'altra convinzione che contribuisce a questo problema, è credere che esista una normalità oggettiva, e chi non vi rientra sia in qualche modo sbagliato. In realtà quella che chiamiamo "normalità" è semplicemente il comportamento più comune, o quello più tradizionale; ma tutto questo cambia col tempo e nelle varie culture, quindi non vi è nulla di oggettivo. Quello che a noi può sembrare disgustoso (per esempio mangiare insetti) altrove risulta delizioso; quello che oggi vediamo come inaccettabile (p.es. la schiavitù o il genocidio) un tempo era considerato normale.
In altre parole, la normalità non esiste realmente, è solo un'idea arbitraria, e le persone che ci sembrano "normali" lo sono solo perché non le conosciamo a fondo (visto da vicino, ognuno è un microcosmo unico di complessità e contraddizioni).

Tutti i gusti sono gusti

Infine, ricordiamoci che già i Latini dicevano "De gustibus non est disputandum" ("I gusti non sono argomento su cui dibattere"). Nel senso che è inutile discutere (per far cambiare idea agli altri) su argomenti di preferenze personali od opinioni soggettive: ognuno vede le cose a modo suo, e opinioni diverse non cambieranno ciò. Nel caso migliore, si può confrontare le diverse opinioni per comprendere le altre ed allargare la propria visione; ma discutere per imporre la propria, sarà solo fonte di scontri ed incomprensioni.

Dal conflitto alla comprensione

Quindi, quando ci scontriamo con posizioni ed opinioni diverse dalla nostra, non facciamoci sedurre dalla convinzione di essere "nel giusto" e potere (o dovere) prevalere sull'altro. Piuttosto, ricordiamoci che l'altro ha sicuramente delle ragioni per sostenere la sua posizione (anche se magari non le ha chiare in mente), e cerchiamo di capirle; una volta compresa la sua posizione, potremo mediare le diverse esigenze e cercare una soluzione accettabile per tutti.
Nel caso peggiore potremmo arrivare a capire che non ci sono soluzioni possibili (almeno al momento); ma lo faremmo riconoscendo ad entrambi il diritto alla propria posizione, vedendo l'altro come nostro pari, invece di vederlo come un nemico da sottomettere o annientare.
E questa sarebbe già una grande vittoria. :-)


"Per ragionare deve esserci indifferente l'avere ragione."
(Maurizio Fogliato)

"Si può considerare 'l'aver ragione' la 'malattia terminale dell'Occidente'."
(Wayne W. Dyer)

"Un vero uomo di cultura non crede mai d'aver ragione fino in fondo."
(Giansiro Ferrata)


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Preghiera della serenità

Mi sembra che la serenità sia spesso sottovalutata, e non si colga il suo legame con la felicità. La felicità viene da molti associata a uno stato di "eccitazione" (l'innamoramento, il fare cose, il muoversi...), mentre la serenità suona come uno stato "fermo", inerte.
A mio parere, invece, serenità e felicità sono in stretto rapporto: certo non sono la stessa cosa ma, se non sono sereno, difficilmente potrò sentirmi felice. Se mi sento in guerra col mondo, con la realtà intorno a me, nulla potrà farmi sentire veramente bene. Quindi sentirsi in pace, non in conflitto, appare come un elemento necessario alla felicità.
Ma che cosa ci impedisce di sentirci sereni? Di solito, tutte quelle cose che non sono come vorremmo:
  • Dal nostro aspetto fisico, al carattere
  • Dalle persone che abbiamo intorno, al partner (o la sua mancanza), ai genitori
  • Dal nostro lavoro, al reddito
  • Dalla società in cui viviamo, alla politica
  • Dalla situazione del mondo, alle ingiustizie, alle guerre...
Insomma, se ci concentriamo su tutto quello che - secondo noi - potrebbe o dovrebbe essere diverso, ci sentiamo in uno stato di insoddisfazione, tensione e conflitto con la realtà; per cui sembra impossibile essere sereni (e, quindi, anche felici).
Oppure no?
Il breve brano che ora vi propongo parla proprio di questo, e fa una distinzione fondamentale:
Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare quelle che posso,
e la saggezza per comprendere la differenza.

(Reinhold Niebuhr - Preghiera della Serenità)

Il potere di cambiare

Quando ci facciamo prendere dall'ansia del "le cose dovrebbero essere diverse", dimentichiamo un fattore chiave:
  • Se non ho il potere di cambiare qualcosa, allora è anche inutile che me ne preoccupo. Perdo solo energia e creo malumore.
  • Se, invece, posso far qualcosa per cambiare una situazione, anche in quel caso è inutile preoccuparsene; piuttosto, è il caso di agire e creare il cambiamento.
Come ci ricorda il buon Confucio:
"Se c'è soluzione, perché ti preoccupi?
E se non c'è soluzione, perché ti preoccupi?"
;-D

Meno preoccupazione, più azione

L'atteggiamento comune, invece, va proprio in senso inverso: si tende alla preoccupazione senza produrre risultati; a lamentarsi senza agire. Ma questo atteggiamento, anche se può sembrare una valvola di sfogo, ci porta solo ad alimentare frustrazione, negatività e senso di impotenza.
Se vogliamo coltivare realmente la felicità, invece, in noi e nel mondo, bisogna capire che la preoccupazione è un'influsso solo distruttivo: genera ansia e spreca energia. Bisogna smettere di preoccuparsi, ed invece agire quando è possibile (o accettare, quando non c'è nulla da fare). Insomma:
"Provvedere senza preoccuparsi,
invece di preoccuparsi senza provvedere."

(Edoardo Boncinelli)

Dall'ansia alla pace

Naturalmente, come puntualizza la terza frase della preghiera, è fondamentale avere chiara la differenza tra ciò che posso cambiare e cosa no. Per poter scegliere consapevolmente l'azione o l'accettazione. Niebuhr parla giustamente di "saggezza": perché il saggio non strepita inutilmente contro l'inevitabile, né si limita a lamentarsi quando può agire costruttivamente; è questa una delle differenze primarie tra chi desidera soltanto la felicità, e chi la sceglie attivamente.
In alre parole, chi raggiunge questa saggezza:
  • Accetta con serenità la sorte avversa su cui non può influire (anche perché sa che il mondo non è fatto per compiacerlo); in questo modo non perde la pace interiore.
  • Quando vede che è in suo potere creare un miglioramento, investe tutte le sue energie nell'azione; in questo modo guadagna in risultati e soddisfazione di sé.
Una precisazione necessaria: alcuni rifiutano il concetto di "accettazione", perché la confondono con la rassegnazione, che sono invece atteggiamenti ben diversi.

Dalla pace alla felicità

Ecco perché la serenità di cui parla questa "preghiera" ha molto a che fare anche con la felicità: il modo con cui ci approcciamo al mondo determina come ci sentiamo (più che il mondo per come è). Buona parte dello stress e della sofferenza comuni, infatti, derivano dallo scontrarsi con la realtà come è, e che non possiamo cambiare; consumando le energie che potremmo impiegare per cambiare le cose.
Adottando l'atteggiamento suggerito dalla "preghiera", invece, ci lasciamo alle spalle l'ansia, la preoccupazione inutile, l'angoscia, la tensione e il conflitto. Diventiamo in grado sia di sentirci in pace anche nei momenti avversi, che di creare più felicità (quando possibile).

Paradiso o inferno, qui e ora

Quando pensiamo che tutto dovrebbe essere diverso da come è, ci sentiamo all'inferno: l'intero mondo ci appare ostile e assurdo. Ma se siamo in grado di apprezzare (o accettare) la vita intera per come è, ci sentiamo in paradiso.
Sentirci in un modo o nell'altro non dipende tanto dalle circostanze (che spesso non possiamo cambiare), quanto dalla nostra attitudine (che è una scelta).


"Nulla può recarti pace se non te stesso."
(Ralph Waldo Emerson)


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Integrazione e armonia tra luce e ombra: il Tao

Nell'intestazione di questo blog, l'immagine in alto a sinistra è quella del Tao. E' uno dei principali simboli nella filosofia orientale (vedi "Tao" in Wikipedia).
Esprime al tempo stesso l'unità e la dualità: il Tao è il "Tutto", ed è formato dall'unione inscindibile tra il principio maschile (Yang) e quello femminile (Yin). Le due "virgole" - bianca e nera - si "rincorrono" (come il giorno e la notte), e si abbracciano: l'una non può esistere senza l'altra. I due punti di colore opposto, ci ricordano che ogni cosa contiene anche il suo contrario:
  • Anche nell'uomo più buono vi è un potenziale malvagio; anche nella persona più abietta c'è un potenziale di bontà.
  • Nel colpo di fortuna possono nascondersi delle insidie; nella disgrazia possiamo trovare delle opportunità.
  • Ugualmente, ogni maschio ha anche un aspetto psichico femminile, e viceversa.

Simbolo di armonia

Amo questo simbolo. Non solo perché ho trovato nelle filosofie orientali molto di quello che, nella cultura occidentale razionale e materialistica, abbiamo perduto; ma soprattutto perché esprime in modo perfetto il concetto di integrazione, l'unione armoniosa delle parti, l'incontro complementare di quello che - solo in apparenza - sembra opposto.
Nella nostra cultura, siamo abituati a pensare in termini di opposizione e conflitto:
  • bene contro male
  • vita contro morte
  • maschile contro femminile
  • razionalità contro istinti
  • luce contro oscurità...
Non ci rendiamo conto che, in effetti, ognuno di questi termini esiste solo grazie al suo opposto: senza la notte non concepiremmo il giorno; senza il freddo o la pioggia, non apprezzeremmo una bella giornata; senza la morte, la vita perderebbe di significato (finirebbe col diventare una noiosa ripetizione). Senza gli opposti, tutto resterebbe uguale a se stesso e mortalmente monotono.

“Siamo abituati a pensare in termini
di opposizione e conflitto”

Limiti del pensiero lineare

Il pensiero lineare occidentale ci induce a una visione unidimensionale della realtà, per cui solo una posizione è giusta, e il suo opposto inevitabilmente sbagliato. Ma così si diventa ciechi alla molteplicità dell'esistenza, alle sue innumerevoli sfumature!
Inoltre, finché rimaniamo in questa visione univoca, viviamo in uno stato di conflitto con la realtà: siamo convinti che "il bianco deve sempre vincere" (il bene, la vita, la ragione...), ma poiché la realtà è intrinsecamente duale (include entrambi gli opposti) ne restiamo frustrati e delusi. Ci angosciamo pensando che sia il mondo ad essere fatto male, perché non corrisponde alle nostre aspettative... mentre siamo noi che ne abbiamo una visione distorta e ingannevole.

Ed è questo inganno che ci fa vivere male, che causa tanta sofferenza: ogni volta che ci opponiamo alla realtà, alla natura delle cose, creiamo la nostra stessa sofferenza. Diventiamo come un nuotatore che si ostina a nuotare contro una corrente poderosa: si affanna e si esaurisce, senza arrivare da nessuna parte; mentre, se fluisse con la corrente, si godrebbe una bella nuotata. Invece di fluire con l'esistenza (di cui siamo una parte), vogliamo controllarla: siamo come pesci che vorrebbero dominare il mare... :-o

“Quando ci opponiamo alla realtà,
creiamo la nostra stessa sofferenza”

Dalla lotta alla pace

La continua lotta con l'esistenza ci fa sentire separati da essa. Questo ci fa vivere nella paura e nell'angoscia; ci sentiamo soli, isolati, sperduti. Come un pesce fuori dal mare, ci sentiamo soffocare e cerchiamo disperatamente l'acqua. Cerchiamo la serenità ovunque, senza accorgerci che la serenità viene dall'accettazione di "ciò che è" (e che non possiamo cambiare, quantomeno nel momento). Questo vale anche verso se stessi: solo quando accetto me stesso per come sono, posso sentirmi in pace e sereno.
Ma per tornare al "mare", per sentirci pienamente immersi nell'esistenza, è necessario smettere di combatterla. Uscire dai pensieri di separazione, di opposizione, di conflitto; abbracciare l'esistenza nella sua interezza, imparare a fluire con essa. Ritrovare l'integrazione, l'unione col Tutto; smettere di muovergli guerra, e riconoscere che ne facciamo parte.

Ritrovarsi nel Tutto

Il simbolo del Tao ci ricorda la vera natura dell'esistenza: bianco e nero non sono "nemici", sono le due facce del Tutto, che si abbracciano come amanti inseparabili. Poiché il Tutto è omnicomprensivo, include necessariamente ogni possibilità (altrimenti non sarebbe il Tutto, ma solo una parte). La natura stessa della Realtà è inclusiva e omnicomprensiva.
E' la nostra mente limitata che vede separazione e opposizione dove non esistono. Esiste il Tutto, che comprende infinite manifestazioni e infinite possibilità; inclusi noi umani. :-)

"Il maestro Tung Kwo chiese a Chuang: 'Mostrami dove trovare il Tao'.
Chuang Tzu rispose: 'Non c'è alcun luogo in cui non si possa trovare'."

("La via di Chuang Tzu")

"Il dissidio fra giusto ed ingiusto
E' la malattia della mente."

(Poesia Zen)


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