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Alla ricerca di certezze nella vita

Spesso ci facciamo domande a cui è difficile dare una risposta:
  1. (quando abbiamo dei dubbi su una relazione) E' la persona adatta a me? E' meglio lasciarci o stare insieme? E' amicizia o amore?
  2. Il mio partner mi ama veramente?
  3. Ho sposato la persona giusta?
  4. Qual è il lavoro che fa per me?
  5. Come posso evitare di sbagliare in una data situazione?
  6. Che senso ha la mia vita? L'esistenza - in generale - ha un senso?
  7. La vita è meravigliosa o terribile? Benevola o indifferente?
  8. Dio esiste?
  9. Abbiamo un'anima, oppure siamo solo materia?

Cerchiamo l'assoluto...

Queste domande ci risultano così importanti e urgenti perché gli esseri umani tendono a cercare quelli che chiamo "assoluti": situazioni che offrono certezze, sicurezza e stabilità, senza alcun dubbio, incertezza, ambivalenza o possibilità d'errore:
  1. La relazione idilliaca: senza conflitti, incomprensioni e frustrazioni
  2. Il "vero amore"
  3. La coppia che dura per sempre
  4. Il lavoro che ci fa sentire realizzati
  5. La scelta migliore e senza rischi
  6. Un senso definito alla nostra esistenza
  7. Vedere la vita come positiva e affidabile, che si prende cura dei nostri bisogni
  8. L'unico vero Dio
  9. La certezza di non essere solo "polvere", e che la morte del corpo non sia la fine di tutto

Troviamo il relativo

Purtroppo queste domande non trovano quasi mai risposte sicure (a meno di voler credere alle bugie che tendiamo a raccontarci). A volte è difficile rispondere perché certe questioni sono metafisiche o trascendenti (come quelle su Dio o sull'anima), per cui non esiste una risposta razionale e oggettiva. Molto spesso, però, non riusciamo ad arrivare a una risposta chiara e netta semplicemente perché la risposta è ambigua, incerta, molteplice.
In altre parole, molti aspetti della realtà non offrono certezze o "assoluti", bensì situazioni relative - ambivalenti, complesse o contraddittorie:
  1. In qualsiasi relazione ci saranno sempre dubbi e difficoltà:
    • nessuna relazione è ideale o perfetta (se non quelle descritte da film e canzoni romantiche), nessuna relazione è mai assoluta ma sempre relativa (con pregi e difetti, limiti e mancanze) - vedi "Relazioni relative" sotto;
    • l'idea di "anima gemella" (il partner su misura a me destinato) è un mito ingannevole;
    • amicizia e amore non sono opposti, ma possono sovrapporsi e coesistere.
  2. Anche se il nostro partner ci ama, ci saranno sempre alcune differenze e incomprensioni; per cui l'amore non sarà mai "totale" e assoluto.
  3. Allo stesso modo, il nostro coniuge avrà sempre delle mancanze e delle incompatibilità, perché non esiste l'uomo perfetto e neppure la donna ideale.
  4. Qualunque lavoro avrà sempre degli aspetti noiosi, frustranti o che richiedono compromessi.
  5. Qualsiasi scelta comporterà aspetti positivi e negativi, e presenterà un certo livello di rischio o di imprevisti.
  6. A meno di credere in un "piano divino" (di cui non si può avere certezza, vedi sotto il paragrafo su Dio), l'esistenza non sembra avere alcun senso preordinato. Rimane quindi ad ogni individuo cercare scopi e obiettivi che diano significato alla sua vita (sempre col dubbio di non trovarli o di sbagliarsi).
  7. La vita è un'esperienza complessa e molteplice: a volte è stupenda, a volte terrificante, inclusa ogni sfumatura intermedia. A volte ci offre supporto ed opportunità, ma spesso ci troviamo a competere in modo "darwiniano" per affermarci o sopravvivere.
  8. L'esistenza di Dio non può essere provata, ma nemmeno la sua assenza: infiniti dibattiti non sono mai giunti ad una conclusione. Rimane quindi una questione di fede, senza risposte certe.
  9. Ci sono molti "indizi" che fanno pensare a una dimensione spirituale, al di là del piano materiale, ma non esistono prove sicure.
In sintesi, ogni situazione ed ogni decisione presenterà sempre dei pro e contro, oppure degli aspetti incerti, ambigui o imprevedibili.
A causa di ciò, il nostro bisogno di certezze e "assoluti" rimane frustrato e inappagato; e ostinarsi a cercarli o pretenderli (criticando gli altri, lamentandoci delle situazioni, lottando contro l'esistenza) aumenta solo la nostra frustrazione.

Relazioni relative, mai assolute

Spiego estesamente questo concetto nel post Relatività Relazionale. Ma in sintesi, quando dico che ogni relazione è "relativa", intendo dire che ci sarà sempre un certo grado di incompletezza e ambivalenza; in altre parole, non esiste una relazione che ha tutto quello che desideriamo, e che è sempre positiva (tranne forse nel periodo iniziale dell'innamoramento, che però finisce al massimo entro 1-2 anni). In particolare, l'ambivalenza implica elementi come:
  • certi aspetti del partner ci piacciono ed altri no;
  • lo amiamo ma può capitarci di detestarlo (o di provare odio e amore allo stesso tempo);
  • in certi momenti ci sentiamo benissimo insieme, in altri fatichiamo a sopportarlo.
Provare queste contraddizioni non significa che l'amore è finito o la coppia non funziona: capitano a chiunque. Quando insoddisfazioni e frustrazione diventano elevate, quindi, piuttosto che mollare tutto e cercare la "persona giusta" (su misura) o la "relazione perfetta" (che non esiste), serve valutare i pro e contro della situazione che stiamo vivendo, e chiedersi se tutto sommato è comunque valida per noi - o se, invece, tendiamo a restarci per pigrizia o paura.

Quando ci confrontiamo con i nostri desideri e con il tipo di relazione che vorremmo, inoltre, può anche essere il caso di chiedersi se quello che sogniamo è "alla nostra portata": poiché ognuno ha una sorta di "valore di mercato relazionale" (che determina quanto interessiamo ad altri e cosa possiamo raggiungere), può accadere di volere risultati oltre le nostre possibilità; questo errore è molto probabile quando non troviamo mai partner che ci vadano bene.

Accettare la relatività dell'esistenza

Cosa fare quindi?
Credo che faccia parte della maturazione di un individuo accettare gli aspetti ambigui e imprevedibili della vita. Così come ad una certa età smettiamo di credere a Babbo Natale, e finiamo con l'accettare che le persone amate prima o poi moriranno, così la maturazione richiede di saper convivere con l'incertezza e la relatività dell'esistenza.

Una persona saggia prima o poi impara a "fare i conti con la realtà":
Allo stesso modo, la persona saggia (o semplicemente matura) arriva ad accettare che gli assoluti, per quanto seducenti, appartengono più al regno dei sogni e delle utopie che alla vita reale. E impara ad apprezzare tutto quello che arricchisce la sua vita, per quanto modesto o "imperfetto", invece di inseguire vanamente l'assoluto e la perfezione.

L'importanza delle piccole cose

A questo proposito, un atteggiamento che può aiutarci a livello pratico è imparare a riconoscere l'importanza degli elementi relativi, ambivalenti o semplici - ma comunque positivi - della vita. Esploro questa capacità nel post "La grande importanza delle piccole cose".


"Ciò che gli uomini vogliono realmente non è la conoscenza, ma la certezza."
(Bertrand Russell)

"Il dramma dell'uomo è di aver rinunciato alla felicità in cambio della sicurezza."
(Sigmund Freud)


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A volte nessuno ha torto o ragione

Quando viviamo situazioni problematiche, di conflitto o di sofferenza, il più delle volte tendiamo a cercare un "colpevole": ci chiediamo chi ha sbagliato, chi è in torto, chi deve cambiare. Questo accade specialmente nelle relazioni (in particolar modo quelle sentimentali), ma anche a livello politico, religioso o internazionale.
Ma il fatto è che, molto spesso, in queste situazioni nessuno ha realmente torto o ragione, nessuno ha sbagliato (almeno intenzionalmente): quello che succede è che ognuno è diverso, ha esigenze diverse, o vede le cose in modo diverso dall'altro. Il conflitto quindi nasce dalle differenze, non da un errore oggettivo o da un torto reale:
  • se io desidero passare le vacanze al mare e tu in montagna, nessuno è in torto;
  • se io ho sempre voglia di fare sesso e tu no, nessuno è colpevole;
  • se io intendo avere dei figli e tu no, nessuno è sbagliato.
Semplicemente, abbiamo bisogni diversi o diverse priorità.

L'errore di cercare sempre il bene e il male

Purtroppo la nostra cultura "occidentale" ci insegna a giudicare in modo dicotomico, ovvero a vedere due parti in opposizione di cui solo una può essere "giusta" (è il "bene", ha ragione, ecc.), mentre l'altra è per forza "sbagliata" (è il "male", ha torto, è in errore, ecc.). Questa visione ci impedisce di vedere che, in molti conflitti, ognuno ha le sue ragioni, ognuno agisce secondo quello che a lui sembra giusto, ognuno fa il meglio che può; in questi casi:
  • non ha senso cercare un colpevole, perché nessuno ha colpa (cioè, nessuno sta creando il conflitto intenzionalmente);
  • non serve a nulla decidere chi ha torto o ragione, perché ciascuno ha le sue ragioni per agire in quel modo;
  • è inutile individuare chi è sbagliato o deve cambiare, perché nessuno è giusto o sbagliato, e nessuno dovrebbe cambiare (se non per propria libera scelta).

Oppure, a volte semplicemente qualcosa va storto, senza che che le persone coinvolte abbiano alcuna colpa, perché la vita va così: un imprevisto, un incidente, un evento naturale avverso. La vita non è equa, e il mondo non è fatto per renderci felici (è uno dei motivi per cui, a volte, la sofferenza è inevitabile).

A volte c'è chi ha ragione; altre volte hanno tutti ragione

In altre parole, è vero che in alcune situazioni c'è chi è oggettivamente in torto (per esempio chi ha violato la legge) oppure ha veramente sbagliato (p.es. chi intenzionalmente fa del male o danneggia un altro); ma negli altri casi, ci sono semplicemente bisogni e opinioni diverse. In questi casi, cercare un colpevole (che non c'è) o giudicare chi ci sembra essere in errore, ci porta a condannare chi non ha colpe e ci impedisce di risolvere il conflitto. L'unica via per uscire da questi conflitti è riconoscere le esigenze di ogni parte, e cercare una soluzione che possa accontentare tutti, o un compromesso ragionevole. E se questo risulta impossibile, è meglio ammettere questo "blocco", invece di voler dichiarare per forza un vincitore e uno sconfitto.
Per esempio, se io voglio dei figli e la mia partner no, e non riusciamo a trovare un punto d'incontro, è meglio riconoscere questa fondamentale incompatibilità (ed eventualmente separarsi), piuttosto che forzare uno dei due a vivere in un modo che vìola la sua natura, e che lo renderebbe frustrato, infelice e risentito.

Le esigenze contrastanti

La maggior parte dei conflitti nasce da bisogni o esigenze contrastanti: siccome siamo tutti diversi, è del tutto normale volere cose diverse (anche nelle coppie più affiatate, o nelle comunità più strette). E siccome tutti tendiamo a credere di avere ragione (vedi paragrafo successivo), svalutiamo le esigenze altrui, o ci appaiono prive di senso.
Ma questo atteggiamento è simile a quello di un bambino che pesta i piedi, e pretende che il mondo giri a modo suo. Quando sono gli altri a farlo con noi, li troviamo irragionevoli e oltremodo irritanti; proviamo a ricordarlo, quando siamo noi a fare altrettanto e vogliamo "dettar legge" (come ci ricorda una canzone degli anni '80, "Tutti vogliono governare il mondo" - "Everybody wants to rule the world", Tears for Fears).

Tutti pensiamo di avere ragione - e quasi sempre ci sbagliamo

Uno dei maggiori ostacoli all'avere una prospettiva aperta alle esigenze altrui, è l'umana tendenza a credere che la nostra personale opinione sia la migliore possibile, e/o che sia oggettivamente giusta. In realtà:
  • I fatti possono essere oggettivamente giusti oppure sbagliati, le opinioni no: preferire il rosso al verde, le donne agli uomini, la sicurezza alla libertà, sono solo inclinazioni personali e soggettive.
    Sui fatti oggettivi e dimostrabili si può arrivare a una posizione unanime (per esempio nelle verità scientifiche), sulle opinioni ci sarà sempre diversità e discordia.
  • Quindi nessuna opinione è "giusta" o migliore in assoluto, ma è solo uno dei tanti possibili modi di vedere le cose; lo dimostra il fatto che quasi sempre esiste una pluralità di opinioni, e che queste cambiano nel tempo e nelle diverse culture.
  • Inoltre, la nostra opinione agisce da "filtro" che "colora" la realtà a seconda di quello che crediamo; pensiamo di vedere la realtà per come è, in modo oggettivo, ma invece la interpretiamo a seconda delle nostre convinzioni.
Questo accade anche perché tendiamo a fidarci delle nostre emozioni: quando sentiamo qualcosa di potente dentro di noi, crediamo che indichi qualcosa di reale; diciamo "Me lo sento!" come se fosse una prova concreta, invece di una pura sensazione. Come spiega anche lo psicologo Daniel Gilbert nel suo libro "Stumbling on happiness" ("Felici si diventa", info nella Bibliografia), le nostre emozioni spesso ci fuorviano: ci fanno credere cose improbabili o non vere, ci portano a fare scelte sbagliate, e/o rafforzano i nostri pregiudizi e convinzioni.
Gran parte delle convinzioni comuni - come "Le donne dovrebbero...", "Gli uomini sono...", "Il vero amore è...", così come quelle su etnie, religioni o sistemi politici - che molte persone vedono come verità indubitabili, sono in realtà opinioni soggettive e arbitrarie, tanto è vero che sono sempre mutevoli nel tempo e fra le varie nazioni.

Credere che la propria opinione sia la migliore, o addirittura l'unica accettabile, è il (tragico) errore alla base di molte violenze, atti di terrorismo e guerre. Si tende a dividere le persone in due campi opposti, quelli che sono "con me" e quelli che sono "contro di me", senza possibilità intermedie. Si aggredisce chi non la pensa come noi, perché non si riconosce che la sua opinione - ancorché diversa - può valere quanto la nostra, e lo si vede come una minaccia, un nemico della (nostra) verità.

Ricorda, nessuno è normale

Un'altra convinzione che contribuisce a questo problema, è credere che esista una normalità oggettiva, e chi non vi rientra sia in qualche modo sbagliato. In realtà quella che chiamiamo "normalità" è semplicemente il comportamento più comune, o quello più tradizionale; ma tutto questo cambia col tempo e nelle varie culture, quindi non vi è nulla di oggettivo. Quello che a noi può sembrare disgustoso (per esempio mangiare insetti) altrove risulta delizioso; quello che oggi vediamo come inaccettabile (p.es. la schiavitù o il genocidio) un tempo era considerato normale.
In altre parole, la normalità non esiste realmente, è solo un'idea arbitraria, e le persone che ci sembrano "normali" lo sono solo perché non le conosciamo a fondo (visto da vicino, ognuno è un microcosmo unico di complessità e contraddizioni).

Tutti i gusti sono gusti

Infine, ricordiamoci che già i Latini dicevano "De gustibus non est disputandum" ("I gusti non sono argomento su cui dibattere"). Nel senso che è inutile discutere (per far cambiare idea agli altri) su argomenti di preferenze personali od opinioni soggettive: ognuno vede le cose a modo suo, e opinioni diverse non cambieranno ciò. Nel caso migliore, si può confrontare le diverse opinioni per comprendere le altre ed allargare la propria visione; ma discutere per imporre la propria, sarà solo fonte di scontri ed incomprensioni.

Dal conflitto alla comprensione

Quindi, quando ci scontriamo con posizioni ed opinioni diverse dalla nostra, non facciamoci sedurre dalla convinzione di essere "nel giusto" e potere (o dovere) prevalere sull'altro. Piuttosto, ricordiamoci che l'altro ha sicuramente delle ragioni per sostenere la sua posizione (anche se magari non le ha chiare in mente), e cerchiamo di capirle; una volta compresa la sua posizione, potremo mediare le diverse esigenze e cercare una soluzione accettabile per tutti.
Nel caso peggiore potremmo arrivare a capire che non ci sono soluzioni possibili (almeno al momento); ma lo faremmo riconoscendo ad entrambi il diritto alla propria posizione, vedendo l'altro come nostro pari, invece di vederlo come un nemico da sottomettere o annientare.
E questa sarebbe già una grande vittoria. :-)


"Per ragionare deve esserci indifferente l'avere ragione."
(Maurizio Fogliato)

"Si può considerare 'l'aver ragione' la 'malattia terminale dell'Occidente'."
(Wayne W. Dyer)

"Un vero uomo di cultura non crede mai d'aver ragione fino in fondo."
(Giansiro Ferrata)


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La normalità non esiste (nessuno è normale)

Molte persone temono di non essere "normali", o si interrogano sulla propria "normalità", o ancora vengono criticate perché non rientrano in quello che altri ritengono sia il comportamento "giusto". Alcuni non riescono ad accettare se stessi, o parti di sé, perché troppo diversi da quello che viene considerato "normale". Tutto questo causa una significativa quantità di ansia, disagio e sofferenza.

Ma cosa vuol dire "normalità"? Ci sono due possibili interpretazioni:
  1. Ciò che definiamo "normale", spesso non è altro che una "media statistica", ovvero il caso più comune e frequente - ma questo non implica che sia quello migliore né il più morale.
  2. "Normale" deriva da "norma", ovvero regola. Quindi si può dire "normale" ciò che si conforma alle regole della società in cui viviamo.

La normalità cambia sempre

Il problema è che entrambi questi parametri cambiano: ciò che viene considerato normale cambia con i luoghi, le culture, le epoche; quindi non è mai un valore assoluto, bensì relativo e fluido. Come esempi bastino lo schiavismo, la lapidazione o il genocidio, pratiche considerate normali per secoli, ma che oggi riteniamo inaccettabili.
Quindi, la cosiddetta normalità è una serie di "standard immaginari" e arbitrari, soggetti a una serie di fattori in continua evoluzione. Questi standard dipendono anche dalle prospettive individuali soggettive: non troverete mai due persone per cui "normale" definisca esattamente le stesse cose. Questo perché tutto è relativo, quindi non esistono opinioni giuste in assoluto - e ritenere tali le proprie porta solo a conflitti (pensiamo ai fanatici o ai terroristi, che non tollerano posizioni opposte alle proprie).
Lo stesso vale per i presunti modelli di "vero" ("vero uomo", "vera donna", "vero amore", "vera famiglia"...): anche questi sono standard illusori, perché ci sono sempre molteplici modi di essere, più o meno validi per ciascuno (e mai nessuno è valido per tutti).

Essere strani è la normalità

Quello che consideriamo normale, molto spesso non corrisponde affatto alla realtà che ci circonda; molti comportamenti che ci appaiono come discutibili o anomali, sono in effetti molto diffusi e comuni:
  • Non ti piace il tuo aspetto
  • Temi di aver sposato la persona sbagliata
  • Pensi ad un'altra persona mentre fai sesso col tuo partner
  • Diventi invidioso per il successo di un amico
  • Ti viene da piangere o da infuriarti quando vieni criticato
  • Sei a disagio quando devi parlare con un estraneo
  • Sei impacciato quando parli con qualcuno di importante
  • Parlare in pubblico ti spaventa
  • Temi di essere molto meno capace di quanto sembri, e che gli altri lo scoprano
  • Provi desiderio per membri della tua famiglia
  • Ti senti attratto da personaggi famosi
  • Ti masturbi spesso
  • Inciampi mentre cammini, o sbatti contro i mobili
  • La possibilità di scoreggiare in pubblico ti terrorizza
  • Non sopporti che altri possano vederti nudo
  • Pensi ancora a una relazione conclusa anni fa
Se ti ritrovi in alcune o in molte voci di questa lista, rilassati: vuol dire che sei molto normale - e in buona compagnia. :-)
Sovente, ciò che viene considerato normale dalla società, è piuttosto qualcosa di ideale e vicino alla perfezione: è quello che dovremmo - o vorremmo - essere, invece di quello che siamo realmente. Non c'è quindi da stupirsi se una gran quantità di persone si sente sbagliata, o non all'altezza. Ma invece di farci condizionare continuamente da questi modelli irreali e irraggiungibili, sarebbe più sano ammettere che siamo tutti un po' matti, strambetti e contorti.

Siamo tutti diversi

La normalità non esiste anche perché siamo tutti diversi, e questo è il motivo per cui, nelle coppie e fuori, passiamo buona parte del tempo in discussioni e battibecchi. Questo smentisce già alla base l'idea che ci siano modi di essere normali che siano validi per chiunque; in realtà, ogni individuo è unico, ha gusti e inclinazioni particolari, e nessuno corrisponde in concreto ai criteri di normalità diffusi.
Per questo Oscar Wilde ha scritto che "Visto da vicino, nessuno è normale": quando conosciamo davvero qualcuno nella sua unicità, scopriamo una serie di aspetti che si discostano dall'idea di normalità - e questo vale per tutti. Le persone normali lo sembrano solo perché le vediamo da fuori, da lontano, o sono nascoste dietro maschere; chi sembra normale, di solito recita una parte perché teme di mostrare la sua "stranezza".

Chi ha bisogno della normalità?

Chi ha molto a cuore la normalità, sia nella sua ricerca di esserlo, sia nel tentativo di imporla agli altri, è probabilmente una persona spaventata, ferita, che si è sentita poco amata. Che esorcizza le sue paure e fragilità attaccandosi a un'idea immaginaria, nella speranza che se tutto intorno fosse "normale", allora si sentirebbe sicura e in pace. Spesso costoro sono persone in conflitto con se stesse, che
faticano ad accettarsi e ad amarsi per come sono.

Perché vogliamo sentirci normali

Ma se il concetto di normalità è così limitante e privo di senso, perché influenza così tanto le nostre vite? Almeno per due ragioni fondamentali:
  • Abbiamo tutti bisogno dell'accettazione e approvazione altrui.
    Al punto che molti danno più importanza all'opinione altrui, che a ciò che davvero è importante per loro; per queste persone, uscire dalla norma appare inaccettabile.
  • Abbiamo tutti paura - in varia misura - di essere giudicati e rifiutati.
    E non è solo conformismo, ma un potente impulso evolutivo: per gran parte della storia umana, essere respinti dal gruppo voleva dire ritrovarsi da soli a fronteggiare un mondo ostile, e morte quasi certa.


Temi su cui la normalità può farci del male

Di seguito esploro una serie di temi su cui l'idea di normalità pesa fortemente, ma che in realtà vengono vissuti da ciascuna persona in modi alquanto diversi.

Sessualità, desideri e fantasie

Partiamo da un'area dove la normalità è stata (e per molti versi è ancora) fortemente imposta e disciplinata. Un'area dove il concetto stesso di "normale" suona particolarmente privo di senso, vista l'enorme varietà di desideri e preferenze (dire che c'è "un modo di fare sesso normale" è come dire che c'è un colore normale, o un gusto di gelato normale). Peraltro, c'è da chiedersi per quale ragione la sessualità dovrebbe riguardare la società, invece che solo le persone coinvolte (almeno finché nessuno viene obbligato o leso).

Il concetto di normalità nel sesso è stato utilizzato in passato in modi francamente ridicoli:
  • Le numerose "crociate" contro la masturbazione.
  • La secolare condanna della Chiesa cattolica verso il sesso che non fosse per procreare.
  • Definire il sesso orale come immorale.
  • Considerare il sesso anale come illegale (ancora in effetti fino al 2003 in parte degli USA).
  • Il principio (nato nel XVIII secolo e trascinatosi fino al XX) per cui le donne sono creature "pure" e senza desideri sessuali.
Dopo secoli di queste scempiaggini, ogni tentativo di "normalizzare" la sessualità dovrebbe apparire come imbarazzante e insensato (nonché far dubitare sull'equilibrio mentale di chi ne sente la necessità).

A causa di tutta questa censura e repressione, sono molte le persone che non riescono a vivere la propria sessualità in modo sereno, positivo ed autentico. Se pensate che i vostri desideri o fantasie siano "strani" o "perversi", voglio rassicurarvi: quasi sicuramente non lo sono, e certamente non siete gli unici ad averli. Per ogni bizzarra pratica sessuale che possa venirvi in mente, state certi che c'è qualcuno - o molti - che la praticano con soddisfazione. Solo per citare alcune categorie, più diffuse di quanto si pensi:
  • Dominazione e sottomissione
  • Rapporti con due o più partner
  • Sadismo e masochismo
  • Esibizionismo
  • Sesso selvaggio e brutale
  • Venire legati e obbligati (con il proprio consenso)
Tutte queste pratiche contano centinaia di migliaia, se non milioni, di appassionati (uomini e donne). E se sono così tanti, come si può parlare di "anomalie"? La verità è che gli esseri umani sono creature fortemente sessuate e variegate (a dispetto dei tentativi secolari di negarlo). Nella sessualità, ancor più che in altri aspetti della vita, non esiste la normalità: i possibili gusti e inclinazioni sono praticamente infiniti, e quello che per alcuni è inconcepibile, per altri è delizioso.

Ma allora, ci si può chiedere, dov'è il confine? E' tutto legittimo? Ovviamente no: esistono limiti che vanno rispettati. La comunità BDSM ha approfondito le tematiche etiche (specialmente il consenso), producendo linee guida come lo SSC (Safe, sane and consensual) o il RACK (Risk-aware consensual kink). Uno dei concetti più semplici e diffusi tra chi vive la sessualità in modi non tradizionali, è questo: ogni pratica sessuale è ok, a condizione che sia fra adulti consenzienti.

Orientamenti sessuali, omosessualità

Anche qui vige una forte pressione normativa, che spinge ogni individuo a identificarsi col proprio sesso biologico, e considera accettabili solo le unioni fra un uomo e una donna. Tutte le altre identità (transgender, intersex, travestiti) e inclinazioni (gay, lesbiche, bisessuali, pansessuali, asessuali) vengono ignorate, svalutate o negate.
Ma chi sostiene che queste siano le uniche forme accettabili, sembra dimenticare che in altre epoche e culture ciò che oggi viene definito "innaturale" era comune e accettato: per esempio, tra gli antichi greci e romani i rapporti omosessuali erano considerati normali. Tra l'altro l'uso del termine "innaturale" è fuori luogo, visto che comportamenti omosessuali sono comuni tra gli animali - quindi in natura (sono stati osservati in oltre 1500 specie).

La normalità viene forzata anche su chi non prova desiderio sessuale (asessuale), o chi ha bassi livelli di libido. Anche queste persone vengono solitamente giudicate e criticate, perché fuoriescono dagli schemi comuni; specialmente i maschi, su cui pesa il luogo comune per cui un "vero maschio" ha sempre voglia di sesso. Invece anche queste sono manifestazioni della varietà umana, e come tali degne di rispetto.

Insomma, sia che ti piacciano le donne, gli uomini, entrambi, o qualsiasi combinazione, non c'è nulla che non va in te. Ama chi ti piace, e siate felici.

Unione romantica

Per molte persone la normalità in ambito sentimentale è il modello romantico dell'amore eterno con un solo partner che soddisfa tutti i nostri bisogni. Peccato che questo modello sia alquanto irrealistico e, peraltro, anche piuttosto recente (nasce circa 250 anni fa); una Utopia romantica che ben pochi riescono a realizzare (e comunque mai nel modo idealizzato che i media ci propongono).
E' una specie di "bugia mediatica", con cui veniamo spinti (specialmente le donne) a cercare la piena realizzazione della propria vita nella coppia - ma è un'illusione:
  • sia perché quel livello di appagamento estatico è una chimera (se non per un breve periodo iniziale);
  • sia perché nessuna relazione - nemmeno la migliore - può riempire una esistenza intera (ci sono molte altre parti di noi che necessitano altri tipi di nutrimento).
E' una bugia come peraltro tante altre falsità sull'amore a cui molti credono.

Il problema di crederci è che se non riusciamo a realizzare questa utopia, non solo ci sentiamo fortemente delusi e frustrati (perché, appunto, crediamo che sia normale arrivarci), ma tendiamo anche a sentirci sbagliati, incapaci, come se ci fosse in noi qualcosa che non va. Molti uomini e donne, ancora giovani, nel realizzare che le loro relazioni sono ben al di sotto del mito romantico che ritengono normale, le vedono come un fallimento e ne traggono la convinzione di non valere abbastanza.
Invece, quel che è veramente normale (perché accade praticamente a tutti) è vivere relazioni almeno in parte insoddisfacenti, incomplete, conflittuali, difficoltose; in una parola "relative" invece che assolute e ideali. Uomini e donne non sembrano fatti per vivere insieme a lungo e felicemente; quei pochi che ci riescono, è perché hanno una insolita maturità emotiva, una elevata compatibilità, una grande accettazione delle reciproche differenze, e - non ultima - un pizzico di fortuna: sarebbe saggio riconoscere che questo livello di relazione è più l'eccezione che la norma.

Essere single, in coppia o sposati

Il modello relazionale normale dice che tutti vogliamo (o dobbiamo) essere in coppia, e che le persone mature si sposano (e mettono su famiglia). Ma questa convinzione porta a giudicare le persone sole (che sia per scelta o per loro difficoltà) come inferiori o difettose; e le coppie che non intendono sposarsi come incomplete o manchevoli. Pensiamo ai giudizi sulle zitelle, o alle posizioni pubbliche importanti che quasi mai vengono affidate a persone non sposate.

Il desiderio di essere in coppia è umanissimo; ma degna del medesimo rispetto è anche la scelta di stare da soli (perché si sta bene con se stessi, per seguire un proprio percorso, per evitare la frustrazione di una coppia insoddisfacente); oppure la condizione di chi desidera una relazione ma non riesce a crearla (una sofferenza che dovrebbe ispirare compassione, non giudizio).
Così come degna di rispetto è la scelta di non sposarsi (perché non ci si sente pronti, perché non si crede nell'istituzione, perché i sentimenti cambiano...). Invece è alquanto penoso (oltre che frustrante) quando parenti e amici lanciano continui giudizi e pressioni su qualcuno (specialmente donna) che non si è ancora "sistemato"... e magari non ne ha nessun desiderio.

Famiglia e figli

Non tutti ambiscono a formare una famiglia, e non tutti desiderano avere dei figli. Invece la normalità dice che chi non vuole farsi una famiglia ha qualcosa che non va, e chi non desidera dei figli è un egoista o peggio. Ma poiché siamo tutti diversi, non tutti siamo fatti per la vita familiare (oppure potremmo non essere ancora a quel punto). Idem per i figli, che sono un impegno importante da non prendere mai alla leggera (e l'egoismo, semmai, sarebbe quello di procreare figli non pienamente voluti).
Come per altri aspetti dell'animo umano, anche famiglia e figli sono decisioni personalissime; per cui non devono mai diventare scelte forzate, dettate dall'opinione comune. Non è un caso che, con l'avanzare dell'eguaglianza fra i sessi e la disponibilità di contraccettivi efficaci, la natalità si sia ridotta praticamente in tutto il mondo: è un segno che le persone non sempre vogliono dei figli - ma quando li fanno, ora tendono a farli per scelta.

Non solo monogamia

Nelle relazioni sentimentali, la normalità è la coppia monogamica chiusa - che viene propagandata come naturale e tradizionale (oltre che l'unica giusta e morale). Questo modello va benissimo per quelli che vi si ritrovano felicemente, ma prescriverla come l'unico giusto non ha senso per una serie di ragioni: Per queste ed altre ragioni, la normalità di coppia (con i suoi limiti) non va presa come inevitabile, ma solo come una fra diverse possibilità; a ciascuno scegliere il modello più adatto a lui, quello che corrisponde al suo modo di relazionarsi.

Inoltre, consideriamo quando una relazione o matrimonio si interrompe, fallisce o incontra gravi problemi: di solito tendiamo a cercare un colpevole (noi stessi e/o il partner) e a sentirci incapaci. Fatto salvo che un esame di coscienza è necessario (potremmo avere delle responsabilità a riguardo), può anche essere che il grosso del problema stia nei limiti del modello normale; a cui magari abbiamo aderito passivamente, ma che si rivela inadatto al nostro modo di essere.
O, ancora, i partner potrebbero essere cambiati nel corso del tempo: e allora bisogna aggiornare i propri obiettivi e priorità, e magari scegliere nuove direzioni. Tutto scorre.

Tutto questo per dire che la normalità monogamica non va data per scontata, ma va messo in discussione se è adatta a noi, o se magari altri modelli alternativi di relazione ci offrono risposte più costruttive e appaganti. Amare è un'esperienza straordinaria, ma amare secondo regole inadatte a noi può trasformarla in un incubo.
Lo psicoanalista Luigi Turinese ha scritto un valido articolo ("Le nuove relazioni") che esamina i cambiamenti intervenuti nelle modalità di coppia, ed esplora le ragioni della diffusione di modalità alternative a quelle convenzionali.

Status, posizione economica e lavorativa

In quest'area il modello normale dice che dovremmo avere un lavoro stabile, ben remunerato, possibilmente prestigioso e che susciti l'ammirazione (nonché l'invidia) altrui. Questo modello implica anche (specialmente per gli uomini) che lo status lavorativo ed economico determina il tuo valore come persona, ed è per questo che molte persone dedicano gran parte della loro vita a raggiungere quello status - spesso a scapito di altre aree come le relazioni, la famiglia, i sogni personali.
A molti questo appare del tutto ragionevole... peccato che, giunti in punto di morte, nessuno dica "Avrei voluto passare più ore in ufficio", e si rimpiangano invece ben altre attività. Questo modello ignora tutte le persone che:
  • prediligono gli affetti o il proprio sviluppo personale alla carriera;
  • danno poca importanza ai beni materiali;
  • amano provare esperienze lavorative diverse;
  • trovano in attività diverse dal lavoro le loro motivazioni primarie.

Di nuovo, chi non aderisce alla normalità in questo campo può sentirsi inadeguato o di scarso valore agli occhi della società. Ricordiamoci che non si può piacere a tutti; e che non è saggio lasciare che sia l'opinione altrui (o le regole comuni) a definire il nostro valore. Possiamo essere persone meravigliose anche con un lavoro umile o senza soldi in tasca. Non sta agli altri definire chi sei o quanto vali, questo lo puoi decidere solo tu.

Bellezza, aspetto fisico

Uno dei criteri di normalità più pervasivi e opprimenti è quello di bellezza. L'aspetto forse più distruttivo è l'ossessione per la magrezza - ossessione abilmente alimentata da pubblicità e media. Forse influenzati dalla "normalità estetica" che i media ci propongono continuamente (cosa c'è di normale in una supermodella abbondantemente ritoccata, o in un giovanotto statuario e palestrato?), sono sempre di più le persone che vogliono modificare il proprio corpo: lifting, liposuzione, ingrandimento dei seni (anche in adolescenti), rimozione dei peli, persino rimodellamento dei genitali. Senza contare l'ambizione di rimanere sempre giovani.
Come in altri casi, tutti questi modelli che tendiamo a rincorrere sono essenzialmente degli "standard immaginari": le persone realmente normali non hanno quell'aspetto da statua greca. Peraltro, non è necessario averlo per piacere ed essere amati (come molti temono): ognuno ha gusti diversi, quindi non esiste un unico modello omologato di bellezza (anche se cercano di farcelo credere). Per esempio:
  • Ad alcuni uomini piacciono le donne minute, ad altri quelle in carne (nonostante il modello di magrezza sbandierata ovunque, in realtà gran parte degli uomini ama le donne prosperose e le curve; non va dimenticato che per tutta la storia umana, tranne gli ultimi 50 anni, il modello di bellezza femminile ideale è sempre stato curvilineo).
  • Certe donne preferiscono gli uomini robusti e muscolosi, altre quelli con un fisico più longilineo.
  • C'è chi preferisce i biondi, e chi i bruni.
  • Alcune donne sono attratte dagli uomini glabri, altre da quelli pelosi.
Senza contare che l'attrazione nasce da molteplici fattori, e il fisico conta solo in parte. Certo tutti apprezziamo la bellezza, ma una persona sana non desidera solo attori o le modelle (e chi vuole solo quelli, proprio sano magari non è).

Molti uomini, e la maggior parte delle donne, si dichiarano insoddisfatti del proprio aspetto fisico. Ma se quasi tutti si vedono come sbagliati, non è il loro aspetto (la realtà) il problema, ma l'idea di normalità (l'ideale) con cui si paragonano. Anche in questo settore, bisogna liberarsi dalla falsa idea di normalità che ci viene proposta, e rendersi conto che siamo normali come siamo, con i nostri difetti e imperfezioni. E che rincorrere una bellezza ideale e irraggiungibile non ci renderà più affascinanti, ma solo più frustrati.

Vivere senza normalità

Poiché siamo tutti diversi (ancorché simili nel nostro essere tutti umani), e poiché ognuno trova la felicità in un suo modo particolare (invece che seguendo modi standard e universali), l'idea di normalità - e che tutti dovrebbero aderirvi - è profondamente lesiva della dignità umana e del benessere individuale. E' una forma di "dittatura psicologica" (non dimentichiamo che la normalità è anche un mezzo che la società usa per farci pressione e manipolarci).
Ovviamente regole sociali comuni e modelli di riferimento sono necessari, ma questi non dovrebbero mai diventare schemi rigidi e imposti forzosamente (tranne, ovviamente, nei casi di comportamenti pericolosi o lesivi delle libertà altrui). Le regole sociali non dovrebbero riguardare i gusti e le preferenze personali, su cui dovrebbe esserci totale libertà.

Per chi si preoccupa che la normalità sia necessaria al buon funzionamento della società, o che teme per la perdita di valori, rammento che le regole e i valori sono sempre cambiati nella storia umana. Nonostante ciò la nostra specie non si è estinta, anzi ha prosperato, ed ha raggiunto condizioni sempre migliori che in passato (chi mai vorrebbe tornare ai tempi dei faraoni, o dei servi della gleba, o dell'inquisizione?).

Concludendo, occorre rendersi conto che perseguire la normalità conduce ad una grigia monotonia di piatta mediocrità. Anche per i credenti, è facile notare come Dio ami la diversità: basta osservare le infinite specie di piante e animali, o come ogni essere umano ha volto, occhi e impronte digitali uniche al mondo.
Insomma, la normalità non esiste realmente, e vivremmo tutti meglio senza.


Sul tema della (presunta) normalità, e su come invece sia importante vivere positivamente la propria soggettività, ho trovato interessante questa intervista allo psicoterapeuta Enrico Maria Secci.

Se avete un tema significativo su cui trovate che la pretesa di normalità produca effetti nocivi, potete proporlo nei commenti; vedrò se mi è possibile aggiungerlo al post.

"Visto da vicino, nessuno è normale."
(Oscar Wilde)

"Le uniche persone normali sono quelle che non conosci molto bene."
(Alfred Adler)

"Nessuno si rende conto che alcune persone spendono quantità incredibili d'energia solo per essere normali."
(Albert Camus)


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Il rapporto con la realtà plasma il tuo mondo

Riflettere sul rapporto che ognuno di noi ha con la realtà, il modo in cui la osserva e la interpreta, può sembrare un'attività filosofica o poco pratica... ma invece è estremamente pratica: la visione che abbiamo della realtà è vitale per quanto riguarda la nostra felicità e qualità della vita!
Questo rapporto influenza direttamente i nostri:
  • Risultati: avere una visione funzionale della situazione ci rende più efficaci.
  • Aspettative: quello che ci aspettiamo determina la nostra reazione agli eventi (e, quindi, soddisfazione e appagamento, piuttosto che frustrazione e insoddisfazione).
  • Stati d'animo: avere un rapporto sereno con la realtà ci infonde fiducia; viceversa, temere la realtà ci fa vivere nell'angoscia.
A questo punto alcuni potrebbero obiettare: "Ma la realtà è quello che è, va solo conosciuta". Il problema è che noi non conosciamo la realtà (o la verità): abbiamo solo opinioni su di essa. Dai filosofi greci a Kant alla fisica quantistica, questo limite è stato ribadito più e più volte. I nostri sensi sono così ristretti, la nostra mente così limitata, a fronte di una realtà talmente vasta, intersecata e complessa, che possiamo farcene solo un'idea approssimativa.
Anche concetti che ci appaiono del tutto oggettivi e indiscutibili (il sole è caldo; l'acqua è bagnata; la materia è solida...), se osservati da un differente punto di vista, cambiano (visto da Plutone il sole è freddo; allo zero assoluto l'acqua è asciutta; a livello subatomico la materia è rarefatta...).

Gli eventi hanno il significato che diamo loro

Ecco perché l'opinione che abbiamo sulla realtà è un elemento fondamentale. Come è ben rappresentato nella storia del contadino e dei cavalli (vedi post "Tutto è relativo"), ogni evento può assumere significati diversi ed opposti, a seconda di come lo osserviamo. In effetti, si può ben dire che ogni evento è, in sé e per sé, neutro, ed è l'osservatore che gli attribuisce un qualche significato o valore. In altre parole, non esistono opinioni oggettive, ma solo interpretazioni; e le interpretazioni che diamo agli eventi plasmano direttamente il modo in cui percepiamo la vita.
Einstein ha affermato che "La più importante domanda che ci si può chiedere è se l'Universo sia un luogo amichevole". Non tanto per trovare una risposta, quanto perché ritenere l'Universo amichevole oppure ostile, cambia radicalmente come ci approcciamo alla vita e agli altri.
E' ormai ampiamente riconosciuto quel fenomeno psicologico chiamato "la profezia che si auto-realizza" ("Self-fulfilling Prophecy" in inglese), per cui le cose di cui siamo convinti tendono a manifestarsi. In pratica, se crediamo in qualcosa è più probabile che accadrà:
  • se credo di fallire, probabilmente fallirò: perché mi saboterò inconsciamente;
  • se credo di farcela, avrò più possibilità di riuscirci: perché sarò aperto alle opportunità e non mi scoraggerò per gli insuccessi.

Osserviamo alcuni preconcetti sulla realtà che, se creduti, possono provocare conseguenze problematiche:
  • La realtà (il mondo) è al nostro servizio (come individuo, o come specie umana)
  • Il bene e il male sono concetti oggettivi e assoluti
  • Diritti e giustizia sono dovuti
(Una precisazione doverosa: il discorso che sto facendo è a livello di realtà universale, non sociale e politica. Ovviamente, i diritti e la giustizia sono cardini della società civile. Il piano su cui li sto mettendo in discussione non è, quindi, quello sociale o personale, ma quello della realtà nel senso più ampio, "cosmico", di cui gli umani sono solo una piccola componente. Anche la visione antropocentrica - che pone l'uomo come centro del Creato - è una interpretazione, che deforma il rapporto con la realtà).

La realtà (il mondo) è al nostro servizio?

Non esiste alcuna prova che sia così. Anzi, ce ne sono diverse a sfavore. Questa è un'antica illusione a cui piace credere, proprio come ogni bambino - in cuor suo - sogna di essere il figlio preferito dai genitori. In particolare, questa illusione è alimentata dalle religioni monoteistiche, che descrivono gli umani come creatura prediletta dal Creatore.
Consideriamo il Creato secondo le due grandi coordinate del Tempo e dello Spazio:
  • A livello temporale, gli umani esistono solo da 4 milioni di anni (un millesimo dell'esistenza del nostro pianeta), e come civiltà da circa 10.000 anni: in pratica, esistiamo da poche "ore" in senso cosmico, e siamo usciti da uno stato poco più che animale un battito di ciglia fa. L'Universo è esistito per miliardi di anni senza di noi, e continuerà ad esistere per altri miliardi dopo che saremo scomparsi.
  • A livello spaziale, esistiamo su un pianetino di una stella nana, in un angolo periferico di una fra (almeno) 100 miliardi di galassie: in pratica, siamo come una formichina su uno stelo d'erba, sperduto in un campo da calcio sterminato...
Da questa prospettiva, diventa inconcepibile pensare che tutto debba muoversi a nostro favore. Anzi, la nostra stessa esistenza ci appare quasi un benevolo miracolo.
Inoltre, va osservato che noi umani siamo soggetti alle stesse leggi di Natura di tutti gli altri esseri: siamo fragili, soffriamo e moriamo, esattamente come il topo e l'abete. La Natura non ci concede alcun privilegio (a meno di considerare come privilegio la nostra intelligenza, con cui spesso creiamo più danni che benefici).
Non c'è alcuna dimostrazione che siamo "speciali", tranne i racconti che abbiamo inventato noi stessi.

Perché è un problema crederlo?

  • Perché se mi aspetto che la realtà sia al mio servizio, ogni volta che verrò smentito mi sentirò tradito e angosciato. Invece di riconoscere che la realtà fluisce secondo un suo disegno (di cui noi facciamo parte, senza esserne i protagonisti), avrò continuamente l'aspettativa (delusa) di ricevere trattamenti di favore.

Il bene e il male sono concetti oggettivi e assoluti?

Semplicemente, no (anche se la questione si può discutere all'infinito). Come esposto prima, ogni evento è neutro in sé (semplicemente accade), il significato viene attribuito dall'osservatore. Come nell'aneddoto del leone e della gazzella, "bene" e "male" dipendono dal soggetto per cui parteggiamo. Per l'affamato che divora una bistecca il suo pranzo è "bene"... ma per la mucca macellata no di certo!
Insomma, bene e male ci appaiono oggettivi e assoluti solo se consideriamo il nostro personale punto di vista l'unico possibile. Se, invece, di una situazione riusciamo a considerare tutti i soggetti coinvolti, vediamo che ogni parte ha ragioni diverse per valutare il bene o il male.
Se adottiamo una prospettiva storica ampia, osserviamo che i valori morali variano a seconda delle culture e delle epoche (anche se alcuni tendono a permanere), proprio perché mai assoluti ma sempre relativi ai soggetti che li definiscono. Questa posizione è chiamata "relativismo culturale".
Naturalmente, in una società il bene e male sono valori che vanno definiti, condivisi e perseguiti. Questo relativismo non può mai essere una giustificazione per azioni arbitrarie che violino leggi e valori comuni. Tuttavia, riconoscere il relativismo aiuta ad evitare posizioni rigide e dialogare più facilmente con persone che hanno valori diversi dai nostri. Aiuta a passare da una posizione "Giusto contro sbagliato" ad una "Ognuno ha opinioni diverse, che vanno confrontate".

Perché è un problema crederlo?

  • Perché, se ritengo che bene e male siano oggettivi e assoluti, riterrò - di conseguenza - che la mia valutazione morale sia indiscutibile. Ma questo atteggiamento porta a fanatismi e fondamentalismi, a credere che "Noi abbiamo ragione e gli altri - inevitabilmente - torto", perciò a conflitti e guerre.

Diritti e giustizia sono dovuti?

Qui il distinguo tra società e natura è d'obbligo. Vivere in società comporta una serie di diritti e doveri stabiliti; è lecito aspettarsi che vengano rispettati, e provvedere quando ciò non accade.
Ben diverso è il discorso quando consideriamo la "natura", intesa come la realtà in senso esteso, non determinata dagli esseri umani; ovverosia l'esistenza, la vita in sé. Qui ha poco senso parlare di diritti e giustizia, perché la natura funziona secondo la legge darwiniana della sopravvivenza del più adatto. La giustizia è un'invenzione umana, non è mai esistita in natura. La vita non offre diritti o garanzie di sorta, a nessuno.
E' quindi fuorviante pensare che la vita abbia degli obblighi verso di noi, solo perché esistiamo. O giudicare "ingiusti" degli avvenimenti spiacevoli. Certo è umano sentirsi delusi e frustrati di fronte a catastrofi e disgrazie; ma, come già detto, la vita non offre certezze. Piuttosto, ci offre delle opportunità, che sta a noi cogliere. Una vita bruscamente interrotta a 40 anni, non è una vita "a metà", ma sono stati 40 anni di opportunità: 14.600 giorni (che non sono pochi) da vivere.
Rendersi conto di questo, diventare consapevoli che non ha senso estendere alla vita le aspettative che abbiamo nei confronti della società, rende tutto meno scontato (e quindi lo apprezziamo di più), e ci induce ad agire per realizzare ciò che riteniamo meglio (invece di aspettarsi che qualcuno provveda).
Se vediamo ogni cosa come opportunità, come dono mai scontato, impariamo a vivere più creativamente: ci rendiamo conto che tocca a noi impegnarci per creare i risultati che vogliamo. Partendo da questo principio, quei 40 anni sarebbero stati vissuti intensamente, ogni giorno. Sarebbe stata una vita piena, a prescindere dalla durata.

Perché è un problema crederlo?

  • Perché le cose che diamo per scontate (diritti), ci aspettiamo che ci vengano elargite; ci inducono alla passività. Quando ci vengono negate, sperimentiamo rabbia e frustrazione.
    Aspettarsi di essere trattati dalla vita come noi riteniamo giusto, ci espone a inevitabili delusioni; e, di conseguenza, ci sembra che la vita ci sia "nemica".

Dall'illusione all'efficacia

Una volta che realizziamo una visione obiettiva della realtà, viviamo senza aspettative irreali, pretese infondate, delusioni a proposito di eventi su cui non abbiamo alcun controllo. Ci viene più facile prendere la vita per come viene.
In altre parole, viviamo meglio, più serenamente e attivamente, e risultiamo più efficaci; agiamo in base alla realtà, invece che ai preconcetti che abitano la mente.


"Non sono i fatti a turbare gli uomini, ma le opinioni intorno ai fatti."
(Epitteto)


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Tutto è relativo

Uno dei principi essenziali per vivere meglio, è la consapevolezza di come ogni opinione sia relativa (ovvero è una "interpretazione soggettiva", invece che vera o falsa, giusta o sbagliata in assoluto). Il motivo è presto compreso se immaginiamo una persona per cui ogni opinione sia assoluta; costui avrà:
  • una mentalità rigida
  • un atteggiamento autoritario verso le persone (c'è un modo solo di fare le cose, ed è - ovviamente - il suo)
  • scarsa tolleranza
  • tendenza all'ansia e all'ossessione (quando tutto è assoluto non c'è margine di errore)
  • diffidenza verso le persone più rilassate di lui
  • e, soprattutto, vedrà come "nemici" tutti quelli che hanno opinioni diverse dalla sua: quando tutto è assoluto, esiste una sola opinione "giusta", e tutte le altre sono "sbagliate".
In poche parole, una persona che vive male e fa vivere male gli altri. Scommetto che avete già incontrato persone così, e non ne conservate un buon ricordo.

Ma, al di là delle inclinazioni personali, ci potremmo chiedere se gli eventi possano essere - oggettivamente - giusti o sbagliati, benefici o malevoli. Per rispondere a questo dubbio, vi racconto una classica storia orientale...

La storia del contadino e dei cavalli

Un contadino che abitava in un piccolo borgo sperduto, un giorno scoprì che il suo unico cavallo, che gli serviva per arare i campi, era scomparso. Mentre lo cercava s'imbatté nel vicino, che gli domandò dove stesse andando. Quando rispose che il suo cavallo era scappato, il vicino commentò scrollando il capo: "Che sfortuna".

"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" ribatté il contadino e proseguì la sua strada. Oltrepassati i campi coltivati, giunse sulle colline e qui trovò il suo cavallo, che pascolava tranquillamente insieme a un gruppo di cavalli selvaggi. Ricondusse il suo cavallo verso casa, e gli altri lo seguirono.
Il mattino seguente, il vicino venne per avere notizie del cavallo. Vedendolo di nuovo nel suo recinto insieme agli altri, chiese al contadino che cosa fosse successo. Quando gli spiegò che i cavalli gli erano venuti dietro, il vicino esclamò: "Che fortuna!".

"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" replicò il contadino e tornò alle sue faccende. Il giorno seguente suo figlio venne congedato dall'esercito e tornò a casa. Tentò di domare i nuovi cavalli, ma cadde a terra e si ruppe una gamba. Il vicino vide il giovanotto, seduto sulla veranda con la gamba ingessata mentre il padre zappava l'orto, e chiese che cosa fosse successo. Ascoltò scrollando il capo, e poi commentò: "Che sfortuna!".

"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" rispose il contadino riprendendo a zappare. L'indomani il reparto del giovanotto arrivò a passo di marcia per il sentiero. Nel corso della notte era scoppiata la guerra e gli uomini si recavano al fronte. Vedendo che il figlio non era in grado di andare con loro, il vicino si sporse oltre lo steccato e, rivolgendosi al contadino che si trovava nel campo, osservò che gli era stata risparmiata la sciagura di perdere il figlio in guerra: "Che fortuna!".

"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" replicò il contadino riprendendo ad arare. Quella sera, il contadino e suo figlio si sedettero a tavola per cena, ma dopo aver mangiato qualche boccone il figlio rimase soffocato da un osso di pollo e morì. Al funerale, il vicino mise una mano sulla spalla del contadino e disse tristemente: "Che sfortuna!".

"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" replicò il contadino, deponendo un fascio di fiori accanto alla bara. Qualche giorno dopo il vicino venne da lui con la notizia che l'intero reparto di suo figlio era stato massacrato al fronte. "Tu almeno hai potuto essere accanto a tuo figlio quando è morto. Che fortuna!" disse.

"Fortuna, sfortuna: chi può dirlo?" rispose il contadino e si avviò al mercato...

Il significato di ogni evento è soggettivo

Il messaggio appare evidente: il significato di ogni evento dipende da come lo osserviamo, dal nostro personale punto di vista. Quello che è positivo per noi, potrebbe essere negativo per altri, o da un altro punto di vista, o in una diversa circostanza. Inoltre, è arbitrario definire a priori il significato di un evento, perché lo svilupparsi della situazione potrebbe cambiare il valore o il significato dell'evento stesso (proprio come accade nella storia).
In altre parole, possiamo dire che ogni evento è - in sé e per sé - "neutro": in se stesso non è positivo né negativo. Il suo valore o significato dipenderà quindi dall'osservatore e dal suo atteggiamento.

Pensiamo ad un altro racconto famoso: quello del leone e della gazzella. "Ogni giorno una gazzella corre per sfuggire al leone, ed ogni giorno il leone corre per mangiarla": in qualunque modo vada a finire, è evidente che la valutazione sarà diversa a seconda che venga dal punto di vista della gazzella o del leone. Possiamo dire che uno dei due abbia torto, e l'altro ragione? Direi di no; un osservatore può parteggiare per l'uno o per l'altra, ma entrambi stanno semplicemente lottando per la propria sopravvivenza.

“Il significato di ogni evento
dipende da come lo osserviamo,
dal nostro personale punto di vista”

Ognuno ha opinioni e gusti diversi

Mi rendo conto che, per alcuni, possa risultare difficile accettare questa affermazione: ognuno tende a credere che la sua percezione della realtà (opinioni, valori, giudizi...) sia quella corretta, e non possa essere altrimenti.
Non è facile uscire da una istintiva visione "personale" (e quindi soggettiva) della realtà. Se però osserviamo quanto le persone possano essere variegate, avere opinioni e gusti diversi (e contrastanti!), accanirsi fino allo sfinimento (o alla guerra) sostenendo posizioni opposte; e quanto, nell'arco dei tempi e delle varie culture, gusti e valori siano cambiati... risulta evidente come non ci siano, in effetti, mai opinioni valide in modo assoluto.

Questione di punti di vista

Ogni opinione è, fondamentalmente, dipendente dal punto di vista. Adottando un differente punto di vista, vedremo le cose in modo diverso; proprio come la storia raccontata sopra ci dimostra.
Al tempo stesso, c'è nella natura umana il bisogno di certezze e punti fermi: la loro assenza ci inquieta; una realtà "fluida" e indeterminata può spaventare. Anche per questo tendiamo ad attaccarci alle nostre opinioni: credere che siano assolute ci rassicura; ci dà un punto di riferimento.
Per operare efficacemente nel mondo, però, è indispensabile saper uscire dal proprio personale punto di vista, e considerare quello altrui: altrimenti, entreremo sempre in conflitto con le altre persone o con le situazioni su cui non abbiamo controllo. Invece, accettare la relatività delle opinioni ci permette di relazionarci armoniosamente con gli altri, e fluire in ogni situazione senza esserne frustrati.

Difese e resistenze

Ostinarsi nel difendere l'assoluta validità della propria posizione, rifiutare la possibilità di opinioni diverse, è spesso indice di una difficoltà psicologica: per insicurezza o rigidità caratteriale, ciò che è diverso da noi spaventa e lo si respinge. Inoltre, la natura molteplice della realtà può disorientare (specialmente in mancanza di una identità solida), per cui si tende a rifiutarla: "Le cose stanno così, punto e basta".

Per quanto queste resistenze siano umane, superarle (o almeno riconoscerle) è importante: poiché il mondo raramente si adatta a noi, è la nostra capacità di adattarci ad esso che ci permette di vivere serenamente e con successo (inteso sia in senso economico, che esistenziale).
Mantenere un atteggiamento rigido verso la realtà (come dicevamo all'inizio), produce inevitabilmente una vita problematica e sofferta: si rischia di trovarsi in conflitto col resto del mondo.
Quando ci accorgiamo di rifiutare ogni opinione alternativa, o difendiamo a spada tratta le nostre posizioni, possiamo chiederci "Cosa mi fa paura?" (se non temessimo qualcosa, non dovremmo difendere nulla). Od anche "Cosa ci guadagno?": a volte è più importante mantenere una relazione positiva, piuttosto che avere ragione a tutti i costi.


Tutto è relativo, ma fino a un certo punto

N.B.: Quando affermo che "Tutto è relativo", mi riferisco alle idee, alle opinioni e alle interpretazioni - non ai fatti. Se nessuna idea od opinione può dirsi vera o falsa in assoluto (vedi Relativismo), sui fatti invece si può giungere a delle conclusioni oggettive e universali (per esempio nel caso delle scienze naturali).

Inoltre, il concetto di "Tutto è relativo" non va portato all'estremo, in una deriva anarchica senza regole e senza limiti. Altrimenti si rischia di finire in un caos dove tutto è incerto, l'etica si perde e nulla ha più senso. Quindi, anche se l'opinione personale è soggettiva e relativa, rimangono comunque necessari accordi e principi condivisi, sia per la stabilità sociale che per l'equilibrio dell'individuo.


"Quella che il bruco chiama la fine del mondo, il maestro la chiama una farfalla."
(Lao Tzu)


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