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Come prendersela meno quando gli altri ci feriscono

Scrivo questo post in risposta ad un commento pubblicato di recente su "Il rapporto con la realtà plasma il tuo mondo". Il lettore osserva come i comportamenti altrui (specie se maleducati) influenzino negativamente i nostri stati d'animo; mi chiede se sia il caso di imparare a fregarsene, o forse di sviluppare una sorta di imperturbabilità in stile "saggio orientale".

Perché siamo influenzati dagli altri - ed è inevitabile

La domanda è ottima, perché riguarda praticamente chiunque: siamo tutti sensibili a come gli altri ci trattano. Uno sgarbo, una critica, una battuta tagliente, un insulto, od anche solo un'occhiata malevola, possono rovinarci l'umore o abbassarci l'autostima. Vediamo quindi di comprendere perché ci sentiamo così e come imparare a difenderci, o quantomeno a minimizzare gli effetti di questi eventi.

Spesso le persone o le situazioni ci toccano, anche quando non vorremmo. Questo accade principalmente perché siamo "animali sociali", cioè la nostra specie è abituata a vivere in comunità dove tutti siamo collegati e dipendiamo gli uni dagli altri. Anche se oggi è relativamente più facile vivere in modo isolato, per milioni di anni invece ogni essere umano ha dipeso dal suo gruppo per sopravvivere: isolato dalla sua tribù o respinto dal villaggio, un individuo da solo sarebbe quasi certamente morto. Questo stile di vita sociale ci ha resi molto attenti agli umori altrui, proprio perché inimicarsi le persone intorno poteva rivelarsi assai pericoloso.
Oltre a questo, alcune persone hanno ferite emotive o certe fragilità che le rendono particolarmente sensibili alle reazioni altrui (vedi Punto 5).

Prenderla con filosofia

Poiché il più delle volte non possiamo controllare le persone o le situazioni, è inevitabile essere toccati da essi. E' però possibile imparare, o "allenarsi", a non farcene turbare eccessivamente.
Come menzionato dal commento, diverse filosofie orientali hanno considerato questo problema e come affrontarlo (per esempio il buddismo e le sue "Quattro Nobili Verità", di cui la prima riconosce che "la vita comporta sofferenza"), ma non sono le sole. Un esempio occidentale è la filosofia Stoica nata nell'antica Grecia.

In pratica, potremmo così sintetizzare certi insegnamenti: "Poiché il mondo è imperfetto e certe sofferenze inevitabili, se io lo riconosco posso adattare le mie aspettative ed esserne così meno colpito, imparando ad accettare quello che non controllo". Ciò non cancella le cause, ma diminuisce la mia sofferenza o il mio stress a riguardo.
Anche la "Preghiera della Serenità" di Reinhold Niebuhr espone un concetto simile: "Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che posso, e la saggezza per comprendere la differenza."

In concreto, questo si traduce in un atteggiamento che io definisco "da adulto", ovvero di chi si assume la responsabilità della propria vita e del proprio benessere - invece di pretendere che il mondo sia "su misura" e pestare i piedi quando si rimane delusi (atteggiamento infantile).


Come prendersela meno

Ma come applicare tutto ciò in pratica? Di seguito elenco alcuni principi e strategie.
  1. Non prendere gli eventi sul personale
  2. Non metterti al centro del mondo
  3. Non fissarti sull'aver ragione
  4. Non aspettarti troppo dalle persone
  5. Riconosci le tue "ferite" e le tue reazioni personali

1. Non prendere gli eventi sul personale

Se un giorno il vicino è scorbutico, o una collega ti ignora, è facile che non abbia nulla a che fare con te; la spiegazione più probabile è che stiano attraversando una giornata storta o un periodo difficile, per cui sono assorbiti dal loro malumore e poco disponibili (ovviamente è diverso se fanno sempre in tal modo). Allo stesso modo, il guidatore che ti supera in modo avventato o l'autista dell'autobus che parte senza aspettarti è probabile che non ti abbiano nemmeno notato.
Invece noi tendiamo a pensare che le persone si comportino male in modo intenzionale, e/o che ce l'abbiano con noi. "Oggi il mondo sembra avercela con me!" è una frase che si ode spesso. Ma la realtà è che il mondo va per la sua strada, e così le altre persone. Il più delle volte, le persone sono concentrate su se stesse - o i loro pensieri - e a malapena ci notano (ricordarlo può aiutarci quando abbiamo paura che tutti siano intenti a giudicarci).

---> Come superarlo
Se credo che le persone ce l'abbiano con me, se penso che mi trattino male apposta, coltiverò sentimenti di angoscia, rabbia e magari vendetta. Mi sentirò vittima della cattiveria altrui e tenderò a vedere "nemici" anche dove non ci sono. Poiché inoltre tutti abbiamo bisogno di approvazione e sentirci benvoluti, queste convinzioni mi porranno in una condizione di malessere.
Se invece riconosco che ognuno va per la sua strada, e certe cose mi succedono solo perché "passavo di lì in quel momento" (cioè per caso), mi sarà più facile lasciar perdere, o dar poco peso ad eventi di importanza minima. Magari noterò che può capitare anche a me di comportarmi così, e sarò quindi più tollerante - e rilassato - verso i passi falsi altrui.

2. Non metterti al centro del mondo

Alcuni si aspettano che il mondo "giri intorno a loro": che persone ed eventi corrispondano ai loro desideri o aspettative, che nessuno li contraddica o li deluda, ecc. Questo accade specialmente a chi:
  • ha un Ego esagerato (vedi al fondo);
  • oppure è cresciuto in famiglie "figlio-centriche", dove i genitori sono al servizio dei figli e li assecondano sempre;
  • o magari è rimasto coinvolto nell'ondata di individualismo iniziata negli anni '90 (alimentata anche dal marketing: "Tu sei speciale", "Perché tu vali"; "Ti meriti il meglio"...);
  • oppure è una persona particolarmente fragile o insicura, che per compensare cerca di controllare tutto e tutti (è il caso di molti idealisti o attivisti ossessionati dalle loro cause).
Immagino che nessuno ammetta di essere in tal modo; ma se reagisci abitualmente agli eventi spiacevoli con furore, indignazione o senso di "lesà maestà" ("Come si permettono...!", "E' intollerabile!"...), è possibile che sia il tuo caso.
Il fatto è che tu sei uno su una popolazione di oltre otto miliardi di persone (> 8.000.000.000!), il che vuol dire che conti meno del due di coppe a briscola ;-) e così chiunque altro. Per cui aspettarsi che il mondo si adatti a te, o che ti riservi un trattamento di favore, è un'illusione che può solo portare a cocenti delusioni.

---> Come superarlo
E' più saggio adottare la mentalità esposta dal protagonista del film "Z la formica" (1998): "Quando sei il figlio di mezzo in una famiglia di cinque milioni, non ricevi nessuna attenzione". Cioè restare consapevole di essere creature piccole in un mondo sconfinato, e moderare le proprie aspettative.
Questo non vuol dire rassegnarsi o pensare di essere "nessuno". Certo va bene inseguire i propri sogni e cercare la felicità (proprio come fa la formica Z nonostante la sua condizione svantaggiata). Però è anche necessario rendersi conto che il mondo è tanto più immenso di noi, che il più delle volte siamo noi a doverci adattare ad esso, non viceversa.

3. Non fissarti sull'aver ragione

A volte hai tutte le ragioni del mondo... ma questo non cambia i fatti. La vita non è "giusta" o equa, e spesso accadono cose senza senso (bambini che muoiono, brave persone a cui capitano cose cattive, Paesi già poveri colpiti da catastrofi naturali...). Quindi se ti fissi sul fatto di aver ragione, o che ogni cosa dovrebbe accadere nel modo che ritieni "giusto", ti bloccherai in un ruolo di "vittima" sempre arrabbiata. Il che è un ben triste modo di vivere, sia che tu abbia ragione o meno.
Infatti in psicologia esiste questo concetto: "Preferisci aver ragione o essere felice?". Spesso questi due aspetti si contrappongono, ed è necessario fare una scelta. Per esempio se la mia partner mi ferisce ed io ritengo lei sia in torto, posso fare due cose:
  1. Incaponirmi sul fatto di aver ragione e pretendere che lei si scusi e faccia ammenda (ma lei potrebbe vederla diversamente).
  2. Oppure decido che l'aver ragione non ha molta importanza, archivio l'evento come "Tutti sbagliamo", e faccio pace con la mia partner senza insistere su chi ha sbagliato cosa.
E' ovvio che la prima opzione blocca la relazione in uno stallo di conflitto e infelicità, mentre la seconda aiuta a ritrovare l'armonia di coppia.

---> Come superarlo
Viviamo in un modo imperfetto popolato da persone imperfette. Quindi è del tutto normale che accadano cose ingiuste, o che chi ha ragione possa perdere. L'unico modo di mantenere una certa serenità o pace interiore, è di accettare questo fatto e lasciar perdere l'orgoglio che ci dice "Ho ragione, quindi resterò furioso finché verrà fatta giustizia".
Certo va bene rivendicare le proprie ragioni e diritti, quando possibile. Ma nei casi in cui ci proviamo e realizziamo che non serve, l'ostinazione servirà solo ad alimentare il nostro malessere: il risentimento ci corroderà dentro, e non ne ricaveremo nulla.

Anche se sei convinto di aver ragione, potresti sbagliarti

  • Inoltre, a volte non c'è un torto o ragione: a volte le cose accadono e basta, per caso o fatalità. A che scopo cercare un colpevole?
  • Altre volte la situazione può essere considerata da diversi punti di vista: così magari Tizio la vede blu, Caio azzurra e Sempronio celeste. In questi casi nessuno ha torto, bensì ciascuno ha le proprie ragioni (ma di solito ognuno tende a vedere solo la sua). Pensiamo ai concorsi di bellezza, dove ognuno è convinto dell'esattezza del proprio giudizio, ma in realtà ogni giudizio è altamente soggettivo (altrimenti ci sarebbe l'unanimità).
  • Infine, delle volte ci ostiniamo su opinioni che sono semplicemente errate (ma per ignoranza, cocciutaggine od orgoglio non vogliamo riconoscerlo). Ammettere almeno in teoria che potrei essere in errore non è debolezza, bensì richiede forza di carattere e coraggio.

Se ho abbastanza apertura mentale da considerare le ragioni altrui (anche se non le condivido), posso passare da uno stato d'animo di opposizione e conflitto ad uno di educato disaccordo, in cui opinioni diverse possono convivere civilmente. Potrei persino empatizzare con l'altro, ovvero comprendere quello che sente e che lo porta a quella posizione, anche se diversa dalla mia.

"La tragedia di questo mondo è che ognuno ha le sue ragioni."
(Jean Renoir, nel film "La regola del gioco")

4. Non aspettarti troppo dalle persone

Molti hanno aspettative idealistiche verso gli esseri umani: ritengono che tutti dovrebbero essere sempre onesti, gentili, corretti e rispettosi (forse perché loro stessi si sforzano di esserlo, quindi si aspettano altrettanto). Certo sarebbe molto bello... ma purtroppo la vita non funziona così. Le persone tendono ad essere opportuniste, ovvero spesso fanno quello che gli conviene invece di quello che sarebbe giusto (da notare che questo vale per entrambi i generi allo stesso modo, a dispetto della propaganda femminista e delle sue pretese di una "superiorità morale" femminile).
La verità è che siamo tutti imperfetti e spesso irrazionali, per cui a volte capita di sbagliare, di mentire, di approfittarci delle situazioni, di essere egoisti, cocciuti o menefreghisti; e magari ce ne rendiamo conto solo dopo (o mai). Non vuol dire che siamo malvagi, ma solo che quella è la natura umana. Se non sei d'accordo con me, ti invito a considerare la storia umana con tutte le sue meschinità, follie e tragedie: mi sembra che comprovi quanto ho detto.

---> Come superarlo
Perciò avere aspettative elevate verso le persone non potrà che portare a frequenti delusioni e malumori. Invece, mantenere aspettative moderate ci aiuterà a non prendercela troppo, e persino a piacevoli sorprese quando capita che gli altri si dimostrino migliori di quanto ci aspettiamo.
Un trucco che uso quando qualcuno mi delude con un'azione criticabile (per esempio una manovra azzardata in auto, una risposta poco garbata, una battuta infelice), è di chiedermi: "Succede anche a me di fare così?". Se sono onesto, la risposta è quasi sempre "Beh sì, a volte mi è capitato". Così facendo mi rendo conto che, appunto, tutti possiamo sbagliare e agire male; e che non è il caso di prendersela per questo (ovviamente non parlo di azioni davvero gravi o pericolose).

Uniti nell'imperfezione

Questo può anche diventare un esercizio di empatia: se invece di aspettarmi la perfezione vedo gli altri come essere fallibili (proprio come me, in fondo), quando le cose vanno storte mi sarà più facile perdonarli e sentirmi connesso con loro. Passando quindi da una mentalità di conflitto ad una di "fratellanza" (siamo tutti accomunati dalle nostre imperfezioni e debolezze).

5. Riconosci le tue "ferite" e le tue reazioni viscerali

A volte quello che ci fa stare male non è tanto l'evento in sé, bensì il fatto che esso va a sollecitare qualche "ferita emotiva" del passato che non abbiamo mai superato, oppure qualche convinzione negativa che giace nel nostro inconscio. Possiamo riconoscere questi casi dal fatto che la nostra reazione è esagerata rispetto alla causa, o particolarmente viscerale:
  1. Qualcuno fa una battuta od un'osservazione neutra (senza intenzione di offendere), ma tu ti senti aspramente criticato e parti al contrattacco (in casi del genere è bene ricordare che la nostra percezione dei fatti può essere errata).
  2. Un'auto ti sorpassa con una manovra imprevista, e ti ritrovi ad urlare "Ti ammazzo bastardo! Se ti prendo ti faccio a pezzi...!!!".
  3. Ad una festa vedi un amico e gli vai incontro per salutarlo, preparandoti ad abbracciarlo; ma lui sta corteggiando qualcuno, per cui ti saluta distrattamente e subito si gira verso la nuova fiamma. Ti viene una vampata alle guance, ti senti mancare, e ti riprometti di non guardarlo mai più in faccia.
  4. Tuo figlio gioca entusiasta con un giocattolo, che gli sfugge di mano e candendo va in frantumi, e tu sbotti "Ma sei deficiente? Non hai nessun rispetto per le cose! Non ti compro più niente!".
Chi ci sta intorno rimane stupito e persino sconvolto da queste reazioni, che ai loro occhi appaiono inspiegabili. E in effetti la vera spiegazione è nascosta nella psiche, e la persone stessa spesso ne è ignara: interrogata a riguardo sa solo balbettare delle vaghe giustificazioni.

Ma cos'è successo davvero? Naturalmente ci possono essere molteplici spiegazioni, ma ne ipotizzo una per ciascuno dei casi sopra esposti:
  1. Se siamo cresciuti in mezzo a persone critiche, esigenti o severe, potremmo esserci abituati a prendere ogni osservazione come rimprovero. Ovviamente da piccoli un ambiente del genere ci ha provocato grave sofferenza, che torna a galla ogni volta che incontriamo qualsiasi cosa che ci sembra una critica.
  2. Se un bambino non è stato rispettato o è stato punito senza motivo, magari da genitori nervosi o litigiosi, questo può creargli una "ferita del rispetto" o una "ferita di ingiustizia". Per cui ogni volta che qualcuno si comporta scorrettamente nei suoi confronti, questo sollecita la ferita ancora aperta e scatena una rabbia esagerata.
  3. Un bambino può essere stato ignorato o trascurato, magari da genitori freddi o troppo indaffarati. Questo ha creato nella sua mente una convinzione del tipo "Tu non conti ed a nessuno importa di te"; poiché questo è un pensiero molto doloroso, è stato nascosto nell'inconscio e lui non ne è consapevole. Ma quando qualcuno a cui lui vuole bene sembra ignorarlo o metterlo da parte, quel dolore viene riattivato e si manifesta con una lacerante tristezza ed una chiusura difensiva.
  4. Se uno è cresciuto in una famiglia severa e dalle scarse risorse, può avere assorbito la convinzione che ogni piccolo spreco è inaccettabile, e chi lo compie va inevitabilmente punito. Così quando suo figlio rovina senza volerlo un gioco da pochi euro, sorge in lui una severità fuori luogo ed un impulso a punirlo (perché è così che lui è stato trattato da piccolo).

---> Come superarlo
Quando ci rendiamo conto (o ci viene fatto notare) che abbiamo reazioni eccessive rispetto alle cause, possiamo guardarci dentro e cercare se abbiamo una ferita che ha guidato la nostra reazione. Magari c'è una parte del nostro passato che teniamo nascosta anche a noi stessi, o con cui non abbiamo ancora fatto i conti. Forse c'è in noi una parte dolente che ha bisogno di attenzione e comprensione.
Riconoscendo e accettando che abbiamo una ferita emotiva, possiamo imparare a prendercene cura e col tempo sanarla (o almeno attenuare la sua intensità). Questo ci aiuta a non prendercela con gli altri quando non c'è un reale motivo, e quindi anche a vivere più sereni ed in pace. Può anche essere utile imparare a non dare peso ai giudizi altrui.

Negazioni categoriche

Certe persone negano vigorosamente la possibilità di queste spiegazioni inconsce, o le ridicolizzano, o affermano con decisione che non può essere il loro caso. In genere questo tipo di negazioni categoriche è un segno del contrario: che la persona ha realmente una qualche ferita emotiva, ma ne è così spaventata da respingerla. Di nuovo, una reazione viscerale indica che c'è sotto qualcosa che ci è ignoto, o che non vogliamo vedere.

Piccoli conflitti o gravi scontri?

Quanto esposto finora riguarda i piccoli conflitti quotidiani: screzi, giudizi, incomprensioni, atti sgarbati, battute fuori luogo, ecc. Eventi su cui spesso è meglio non prendersela troppo, oppure lasciarseli scivolare addosso.

Diverso è il discorso per comportamenti ben più seri, come aggressioni, violenze (fisiche o psicologiche), bullismo, mobbing, gravi mancanze di rispetto o persone che cercano di "calpestarci". In questi casi la pazienza, l'accettazione o la comprensione possono non essere la risposta più adeguata, anzi possono incoraggiare l'aggressore o legittimarlo nel suo atteggiamento inaccettabile.
Qui non posso approfondire, ma direi che è bene opporsi a questi comportamenti con fermezza, respingendoli con decisione e dichiarando apertamente che non siamo disposti a tollerarli (quando gli altri ci maltrattano, spesso è perché siamo noi a permettere loro di farlo). In certi casi è utile chiedere il supporto di amici e familiari, oppure di figure di autorità (insegnanti, superiori) e forze dell'ordine.

E' forse il tuo Ego che se la prende?

Dedico infine una sezione all'Ego (*), che spesso ci rende vulnerabili: quando ce la prendiamo molto, è possibile che sia proprio perché il nostro Ego si è sentito attaccato (è un problema simile a quello del Punto 2, ma qui è più radicale). La missione dell'Ego è farci sentire "grandi", speciali, cioè di valore. Per cui ogni volta che ci sentiamo sminuiti o invalidati da qualcuno o qualcosa, esso reagisce vigorosamente, di solito con un senso di irata indignazione o di "lesa maestà": "Come si permettono... Io sono importante... Tutti dovrebbero fare X... Nessuno dovrebbe mai fare Y...".

Più o meno tutti abbiamo un certo Ego, ma in misura ragionevole non crea particolari problemi. Qui però mi riferisco ad Ego "esagerati", che tendono a dominare la personalità. Chi ha un Ego "ingombrante" si atteggia come se fosse il "padrone del mondo", ma in realtà ha toni e atteggiamenti simili a quelli di un bambino tirannico e capriccioso. Costoro si riconoscono da frequenti atteggiamenti del tipo:
  • E' convinto di avere sempre ragione. Non considera mai l'idea di essere in errore: solo gli altri sbagliano.
  • Cerca sempre occasioni di mettersi in mostra o primeggiare, o di apparire migliore degli altri.
  • Quando le cose gli vanno male, non se ne assume la responsabilità ma tende a fare la vittima d'abitudine, fino al punto di assumere una mentalità paranoide: "Ce l'hanno tutti con me. Non ci si può fidare di nessuno. Sono tutti stronzi. Tutti gli uomini / donne sono...", ecc.

---> Come superarlo
Chi ha un Ego del genere non può semplicemente liberarsene, ma può però prenderne consapevolezza e quindi "tenerlo a bada": imparare a riconoscere le "sparate" del proprio Ego e dargli poco peso, o vederne la scarsa fondatezza. Se una persona si riconosce in questa tipologia (e non è facile), potrebbe riuscire a rendersi conto che, il più delle volte, non è il mondo ad essere sbagliato, ma piuttosto che spesso è lui ad essere troppo suscettibile o con pretese troppo elevate.
Magari potrebbe anche indagare cosa nasconde il suo Ego: le ferite che ha ricevuto nell'infanzia (è stato ignorato, trascurato, deriso, disprezzato...?), il fatto che non si accetta per come è, il suo disperato bisogno di attenzione e approvazione, ecc.

(*) Cos'è l'Ego

"Ego" è un termine che può indicare diverse parti della psiche. Qui lo intendo come una parte "fasulla" della nostra personalità, che serve a coprire insicurezze e fragilità. In pratica, l'Ego cerca di farci sentire "grandi" anche se in realtà ci sentiamo "piccoli". Ma poiché è solo una "facciata", una recita (ovvero non corrisponde ad un valore reale), non fornisce mai una reale sicurezza di sé, ma è sempre alla ricerca di conferme.

"Non sono i fatti a turbare gli uomini, ma le opinioni intorno ai fatti."
(Epitteto)

"Tutto ciò che ci irrita negli altri può portarci a capire noi stessi."
(Carl G. Jung)

"Per raggiungere la pace mentale, smetti di voler fare il direttore generale dell'universo."
(Larry Eisenberg)


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Perché il "bravo ragazzo" non attrae e fallisce

Molti uomini (e non poche donne) si sforzano di "comportarsi bene", di essere gentili e disponibili verso gli altri, sperando di risultare gradevoli ed apprezzati, ma spesso incontrano risultati deludenti: vengono ignorati o svalutati, non vengono desiderati ed altri vengono preferiti a loro, oppure si ritrovano usati e poi accantonati.
Questo lascia particolarmente perplessi - e frustrati - quegli uomini che seguono i consigli sentimentali delle donne, o del femminismo, che incoraggiano gli uomini a comportarsi in modo "sottomesso": gentile, paziente, remissivo, disponibile, altruista, mai sessualmente audace, ecc. Costoro sperano di suscitare in tal modo l'interesse ed il desiderio femminile, ma questo raramente accade. Anzi, molte donne sembrano interessarsi proprio agli uomini di tipo opposto, che si comportano da "bastardi" o "stronzi".
Sembra privo di senso, ma purtroppo è normale: spesso le donne dicono una cosa ma ne fanno un'altra. In particolare, la maggioranza delle donne è attratta dagli uomini di tipo Alfa, e non trova invece attraente quelli di tipo Beta (simili ai Bravi Ragazzi), che di solito vengono visti come "solo amico". In questo post spiego perché comportarsi da "bravo ragazzo" (o ragazza) non attrae e può essere controproducente.

Bravo ragazzo o brava persona?

N.B.: Quando parlo di "bravo ragazzo", intendo una cosa diversa da una "brava persona":
  • Quest'ultima è qualcuno che opera in modo corretto, etico e responsabile, ma rispettando se stesso e le proprie esigenze.
  • Il "bravo ragazzo", invece, è "bravo" solo in apparenza: in realtà tende a "recitare" la parte del buono per ottenere qualcosa (spesso senza rendersene conto). In genere è una persona insicura, fragile e sottomessa, che può risultare insincera e manipolativa.

La sindrome del "bravo ragazzo"

Uno dei meccanismi che maggiormente portano un uomo a risultare poco attraente e ad avere scarso (o nullo) successo col sesso opposto (e non solo), è proprio il comportamento da "bravo ragazzo". Questo fenomeno è talmente diffuso da essere stato descritto dallo psicologo americano Robert Glover nel libro "No More Mr. Nice Guy" ("Smetti di fare il Bravo Ragazzo"; info nella Bibliografia).

L'autore ha osservato una gran quantità di casi di "sindrome del bravo ragazzo" tra i suoi pazienti, nonché in lui stesso. Ritiene che questa sindrome si sia molto diffusa in Occidente negli ultimi 60 anni, e sia all'origine di molte frustrazioni degli uomini moderni (nell'approccio con le donne, nelle relazioni, sulla sessualità, sul lavoro, ecc).
Dall'introduzione:
I bravi ragazzi cercano di ricevere approvazione e fare ciò che è "giusto". Sono più felici quando stanno facendo felici gli altri. I bravi ragazzi evitano i conflitti come la peste e fanno di tutto per evitare di irritare chiunque. I bravi ragazzi sono particolarmente attenti a compiacere le donne e ad apparire diversi dagli altri uomini. In poche parole, i bravi ragazzi credono che se saranno buoni, generosi e attenti agli altri, in cambio saranno felici, amati ed appagati.
Le esperienze dell'infanzia del "bravo ragazzo" l'hanno convinto che, se farà di tutto per rendere felici gli altri (e specialmente le donne), trascurando se stesso, gli altri poi lo ameranno e gli daranno quello che desidera. Peccato che non funzioni, e specialmente con le donne non funzioni affatto. Similmente l'educazione che riceviamo spesso ci inganna, insegnandoci a sminuirci, a metterci da parte, a fare contenti tutti tranne noi stessi.
Queste convinzioni operano a livello inconscio, creano aspettative inespresse e comportamenti disfunzionali, e finiscono col generare relazioni fallimentari.

“I bravi ragazzi credono
che se saranno buoni,
in cambio saranno amati”

Il lato oscuro del "bravo ragazzo"

Inoltre, il "bravo ragazzo" non è mai autentico, sia per il bisogno di compiacere gli altri, che per la paura di conflitti e di perdere l'approvazione. In pratica, è disonesto, manipolativo, e cerca di controllare gli altri (seppure inconsciamente). Le persone lo percepiscono, e risulta quindi una persona che non ispira fiducia o apertura.
Poiché nasconde la sua vera personalità (per paura dei giudizi altrui o di perdere l'approvazione), risulta banale o insipido, mai interessante. Chi si mostra apertamente può piacere ad alcuni e dispiacere ad altri, ma chi cerca di piacere a tutti finisce col non piacere a nessuno. E' amorfo, senza carattere.

Infine, il "bravo ragazzo" tende ad essere passivo-aggressivo e pieno di rabbia. Dietro la "maschera" di affabilità, gentilezza e disponibilità, cova una grande frustrazione e risentimento, perché si fa in quattro per gli altri ma non ottiene comunque quello che voleva (in genere non ci relazioniamo per puro altruismo, ma per soddisfare i nostri bisogni).

Possiamo notare che, per molti versi, la figura del "bravo ragazzo" assomiglia al "maschio Beta" descritto nel post sui maschi Alfa e Beta. Non solo il "bravo ragazzo" manca di tutte le caratteristiche di un Alfa, ma ne è addirittura l'opposto: nella lista seguente, ogni tratto risulta l'antitesi del comportamento Alfa (che corrisponde ad una personalità più "vincente" ed attraente per le donne).

Caratteristiche dei "bravi ragazzi"

  • Cercano sempre l'approvazione altrui.
  • Cercano in ogni modo di evitare i conflitti.
  • Credono di dover nascondere i loro difetti ed errori.
  • Mettono i bisogni e desideri altrui prima dei loro.
  • Reprimono i loro veri sentimenti ed emozioni.
  • Sacrificano il loro potere personale e spesso adottano il ruolo di "vittima".
  • Tendono ad essere separati dagli altri uomini e dalla propria energia maschile.
  • Spesso cercano di essere diversi dai loro padri.
  • Creano relazioni insoddisfacenti.
  • Non riescono ad ottenere il sesso che vorrebbero.
  • Spesso non riescono ad esprimere appieno il loro potenziale.

“Chi cerca di piacere a tutti
finisce col
non piacere a nessuno”

Perché i "bravi ragazzi" non attraggono

A livello sentimentale, il limite principale dei "bravi ragazzi" è che, per via del loro sforzo di compiacere tutti e non dispiacere a nessuno, appaiono deboli, sottomessi e per nulla virili. Questo è del tutto anti-erotico per le donne, in quanto esse generalmente sono attratte da uomini forti, sicuri e dominanti (l'archetipo del "vero uomo"), nonché dall'energia mascolina (così come gli uomini sono attratti dalle donne femminili). Inoltre i "bravi ragazzi":
  • Solitamente sono dominati dalla paura (di non piacere, dei conflitti, dei giudizi, di essere respinti, di "non essere abbastanza", ecc). Le donne sono attratte dal coraggio e disprezzano un uomo pauroso (perché hanno sempre avuto bisogno di uomini forti che le proteggano).
  • La mancanza di autenticità li rende "insipidi" o anonimi agli occhi altrui. Invece le donne vogliono un uomo che si distingua, che abbia "qualcosa di speciale".
  • Tendono a negare o nascondere il proprio desiderio sessuale, o ad esprimerlo in modo timido ed esitante. Di nuovo, questo è anti-erotico: le donne possono giudicare un uomo disinvolto e spregiudicato, ma ne sono colpite. La passione altrui le accende, ed un uomo che esprime un erotismo "selvaggio" le eccita - anche se magari le spaventa.
Tra un uomo rispettoso e "tiepido", od uno passionale e audace, quasi tutte le donne proveranno più interesse per quest'ultimo (notare che questo è esattamente il contrario di ciò che viene insegnato agli uomini in epoca moderna: "Sii rispettoso e trattenuto, e le donne ti apprezzeranno").

La gentilezza è apprezzata ma non attrae

Anche se molti suggeriscono che le donne vogliano partner gentili, buoni e sensibili, quello che non viene detto è che le donne apprezzano quelle qualità, ma non le trovano attraenti di per sé. Cioè non suscitano in loro desiderio erotico né di relazione sentimentale (per quanto molti lo neghino, quasi tutte le relazioni partono dall'attrazione fisica).
  • Quindi un uomo con quelle qualità ma che non risulta attraente, non viene voluto.
  • Mentre un uomo attraente viene voluto anche senza quelle qualità, e se le possiede viene apprezzato ancor di più.
In sintesi, le qualità da "bravo ragazzo" vengono apprezzate come "aggiunta" ad altro, ma di per sé non suscitano interesse. Questo spiega perché ai "bravi ragazzi" solitamente le donne dicono "Ti vedo solo come amico".

In amore conta l'attrazione, non le qualità interiori

Questa contrapposizione tra "bravi ragazzi" e uomini attraenti (o tra maschi Beta e Alfa), è ben rappresentata dalla seguente citazione:
"A volte incontri un uomo davvero buono e gentile, ma non importa quanto ci provi, non riesci a convincerti a desiderarlo. Ma non è così terribile come quando incontri l'uomo sbagliato, e non puoi fare a meno di desiderarlo."
(Lisa Kleypas, autrice di romanzi d'amore)

La Kleypas (che come autrice di storie romantiche conosce cosa muove le donne) osserva che per quanto una donna possa razionalmente apprezzare un uomo gentile (ma che non le suscita attrazione), non può forzarsi ad esserne attratta. Viceversa, quando incontra un uomo che l'attrae visceralmente non può fare a meno di desiderarlo, anche quando sia consapevole che quell'uomo è sbagliato per lei.
In poche parole sono l'attrazione ed il desiderio erotico istintivo che dominano le scelte sentimentali (*), e non le qualità interiori - e questo vale per entrambi i sessi. Quando ci raccontano che se ci comportiamo da "bravi ragazzi" verremo desiderati e amati, ci stanno ingannando (e molti passano buona parte della vita senza rendersene conto).
E' una delle tante "favole romantiche" irreali che vengono dette, non corrispondenti al vero. In realtà le donne vogliono molte cose diverse, anche in contraddizione, e spesso neanche loro sanno quali sono (per cui i loro consigli sentimentali vanno presi con le pinze).

(*) E' bene specificare che l'attrazione non nasce solo dalla bellezza, come molti invece credono. Anche altri fattori possono suscitarla - ma non le caratteristiche tipiche dei "bravi ragazzi", purtroppo.

I "bravi ragazzi" sono passati di moda

Infine, va osservato che la tipologia del "bravo ragazzo" poteva essere più apprezzata in epoche passate, quando le donne vivevano in una condizione più debole, subordinata e faticavano a mantenersi. Per cui un uomo buono, gentile e affidabile risultava assai più appetibile. In epoca moderna le donne, con la parità di diritti e l'indipendenza economica, in genere non hanno più bisogno di questi "bravi ragazzi", per cui raramente li scelgono.

“A volte incontri un uomo
davvero buono e gentile,
ma non riesci a desiderarlo”

Perché il "bravo ragazzo" risulta perdente

E' importante capire che non sono la bontà o la gentilezza, in sé, ad allontanare le donne. Ciò che spegne il loro interesse è che l'atteggiamento del "bravo ragazzo" lo fa apparire come un "perdente" (e nessuna donna desidera un perdente). Il "bravo ragazzo" resta in disparte invece di primeggiare, non sa difendersi (e quindi nemmeno difendere chi gli sta vicino), esita invece di osare, quindi nella competizione della vita tenderà a perdere.
Poiché egli è ansioso di compiacere e terrorizzato all'idea di fare brutte figure o di contrariare qualcuno, tenderà a bruciarsi ogni opportunità:
  • Se sul lavoro c'è da presentare un progetto o guidare un gruppo, lascerà che altri lo facciano o che se ne prendano il merito.
  • Non si proporrà per una promozione, non chiederà un aumento.
  • Non oserà invitare fuori la persona che gli piace, non esprimerà apertamente il suo interesse.
  • Se anche ci riesce, si comporterà in modo impacciato, timido, passivo, sessualmente inerte (e dopo una prima uscita del genere, difficilmente ce ne sarà una seconda).
All'opposto, una personalità vincente sarà invece audace: coglierà ogni occasione, chiederà ciò che gli spetta, si proporrà a potenziali amanti o clienti, esprimerà apertamente i suoi desideri e le sue capacità, lotterà per ottenere ciò che vuole, si farà rispettare. Tale persona potrebbe essere criticata da molti, ma raccoglierà molti più risultati di un "bravo ragazzo"; e la maggioranza delle donne lo ammirerà per i suoi successi.

Il "bravo ragazzo" fa lo "zerbino"

Quando il "bravo ragazzo" (o ragazza) viene trascurato, maltrattato o ci si approfitta di lui, tenderà ad assecondare quei comportamenti perché ha scarsa considerazione di sé, e spera in tal modo di farsi amare. Esempi classici:
  • Viene cercato solo quando qualcuno ha bisogno di un favore o di essere accompagnato da qualche parte, o per ascoltare l'altro/a che parla dei propri problemi.
  • Una donna cerca lui solo quando non ha di meglio da fare, o per parlare delle sue pene d'amore con altri uomini.
  • Un uomo cerca lei solo quando ha voglia di fare sesso, o per lamentarsi dell'eterna fidanzata (che però non lascia mai).
In questo modo lui è al servizio di tutti ma raramente ottiene ciò che vuole, poiché antepone sempre gli altri a se stesso. Invece di contestare simili trattamenti, tenderà a dire "Non c'è problema" o addirittura a scusarsi se chiede qualcosa, invece di rivendicare i suoi diritti.

Il "bravo ragazzo" nelle relazioni

Naturalmente è possibile che questi uomini abbiano relazioni di coppia (perché i tratti da "bravo ragazzo" non sono eccessivi, o perché presentano altre qualità significative). Quell'aspetto però porta problemi anche nella relazione, per cui facilmente:
  • Non comunicano apertamente o nascondono parti di sé, rendendo difficile l'intesa di coppia, la connessione emotiva e l'intimità.
  • Evitano discussioni e conflitti, per cui non risolvono i problemi di relazione (e accumulano risentimento).
  • Sono troppo accondiscendenti o sottomessi (il che può far comodo alla partner, ma le abbassa la stima verso il compagno).
  • Si sforzano di compiacere la partner nel tentativo di "comprare" il suo amore: ciò rende la relazione sbilanciata e li fa sentire stremati o sfruttati.
  • Trascurano i loro bisogni, ponendo la partner e/o i figli sempre al primo posto (*), per cui finiscono col sentirsi sempre più frustrati, alienati ed infelici.
  • Infine, questo sforzo di "fare i bravi" e la repressione che applicano a se stessi può portare a disfunzioni sessuali: calo del desiderio, problemi di erezione, fuga nella pornografia, ecc.
(*) Questa può sembrare una forma di amore ma è in realtà un comportamento squilibrato, in quanto manca del necessario amore per se stesso e risulta deleterio anche per gli altri: se mi trascuro e divento infelice o depresso, non sarò in grado di essere un buon partner, marito o padre; e darò un pessimo esempio ai miei figli.

Anche all'interno della coppia il comportamento da "bravo ragazzo" non porta i risultati sperati, ed anzi tende ad inquinare il rapporto - oltre a rendere infelice chi lo persegue. Perché una relazione prosperi è necessario che entrambi i partner si sentano liberi, rispettati ed appagati; ma fare il "bravo ragazzo" rende questo impossibile (se io non rispetto me stesso, nemmeno gli altri o faranno; se io non mi curo di me, chi lo farà al mio posto?).

“Se mi trascuro e divento infelice,
non sarò in grado di essere
un buon partner, marito o padre”

Dal "bravo ragazzo" al maschio integro

Uscire dalla "sindrome del bravo ragazzo" e diventare una persona integra, equilibrata, è un percorso complesso che non può essere sintetizzato qui. Consiglio, per chi sia interessato, la lettura del libro del dott. Glover.
Riporto dal libro una lista di tratti propri del maschio integro:
  • Ha un forte senso del Sé. Si piace così com'è.
  • Si assume la responsabilità di soddisfare i suoi bisogni.
  • E' a suo agio con la sua mascolinità e la sua sessualità.
  • Ha integrità. Fa quello che è giusto, non ciò che gli conviene.
  • E' un leader. E' disposto a proteggere e occuparsi di coloro a cui tiene.
  • E' chiaro, diretto, ed esprime i suoi sentimenti.
  • Sa come porre dei limiti e non ha paura di affrontare il conflitto.

E' anche utile considerare che molti "bravi ragazzi", o in genere chi ha una vita sentimentale infelice, spesso risente di esperienze negative dell'infanzia che li hanno segnati e li condizionano. In questi casi può essere difficile uscirne da soli: è quindi utile un percorso psico-terapeutico o comunque l'aiuto di un esperto, che li aiuti a comprendere l'origine delle proprie difficoltà e come superarle.

Esistono anche le "brave ragazze"

Nel libro citato all'inizio l'autore si è focalizzato sui maschi, ma ritengo che questa sindrome (e buona parte del libro) possa valere sia per uomini che per donne. In fondo, una gran parte di noi vengono educati a "fare i bravi" e imparano presto che, se non lo fanno, ne patiscono le conseguenze. Senza contare che, storicamente, le donne sono state addestrate per secoli a "fare le brave" (e guai altrimenti).
Quindi quando nel post parlo di situazioni al maschile, una donna può immaginare se una versione al femminile potrebbe corrispondere al suo caso. Nel libro citato, quando l'autore parla dei condizionamenti che gli uomini hanno subìto negli ultimi 50 anni, una lettrice può pensare ai condizionamenti che lei ha ricevuto dalla famiglia o dall'ambiente.

"Ho trascorso la maggior parte del mio tempo sforzandomi di essere un bravo ragazzo, in modo da piacere alla gente."
(Elia Kazan)

"Non vengono desiderate per una relazione le persone buone, o quelle amorevoli, o quelle virtuose; bensì le persone da cui gli altri vogliono qualcosa."
(Orion Taraban, psicologo)

"Quando faccio la brava, sto bene, ma quando faccio la cattiva, sto meglio."
(Mae West)


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Come imparare ad accettarsi?

Come posso accettare me stesso?

Come posso imparare ad accettare i miei difetti?


Accettare se stessi non è facile, perché in genere l'ambiente in cui viviamo ci spinge in direzione opposta:
  • Ci viene detto come dobbiamo essere e comportarci.
  • Veniamo criticati se non corrispondiamo alle aspettative altrui (a partire dai nostri genitori).
  • Spesso veniamo manipolati dalle altre persone, che ci fanno sentire sbagliati per ottenere qualcosa da noi (inclusi i partner).
  • A questo aggiungiamo che in Italia - con una cultura cattolica ancora diffusa - viene incoraggiato lo spirito di sacrificio, e il prendersi cura di se stessi viene visto con sospetto.
Raramente riceviamo messaggi che ci incoraggiano a rispettare noi stessi, ad accettarci, ad amarci per quello che siamo.

Puoi esserti amico

Forse il primo passo per andare in quella direzione, è vedere me stesso come il mio migliore amico; e trattare me stesso come tale. In ogni situazione, specialmente difficile o di sofferenza, posso chiedermi:
  • Cosa mi direbbe il mio migliore amico?
  • Come mi tratterebbe?
  • Cosa farebbe per me?
Usando questo modello dell'amico come "bussola", ecco che diventa più facile imparare a:
  • trattarsi con gentilezza e pazienza;
  • essere meno esigente o critico;
  • perdonare i propri errori;
  • accettarsi con le proprie mancanze e imperfezioni (che tanto hanno tutti, in quanto umani).
Un buon amico non pretende che siamo perfetti o che non sbagliamo mai, e non si aspetta da noi una continua "performance" ai massimi livelli. Conosce i nostri difetti, ma ci vuole bene comunque. Se un amico ci tratta bene, ci accetta e ci apprezza, perché mai non possiamo farlo anche noi?

La relazione più importante

E' anche importante rendersi conto che la persona più importante della mia vita sono io. Io sono l'unico che mi sarà sempre vicino, che si prenderà cura dei miei bisogni, quello che meglio mi conosce e mi capisce. Altre persone possono essere preziose, certo, ma gli altri vanno e vengono: solo io sarò sempre con me ogni giorno della mia esistenza.
E' per questo che la relazione più importante è quella con se stessi:
  • Se sto male con me stesso, starò sempre male (mica posso sfuggirmi!).
  • Ma se sto bene con me stesso, gli altri problemi saranno secondari.
Infatti chi cerca ossessivamente l'amore dagli altri, spesso è una persona che si detesta; non sapendo dare amore a se stesso, ha disperatamente bisogno che qualcuno lo faccia al posto suo.

Non accettarsi è un inferno

Chi non si accetta vive in uno "stato di guerra" continuo con se stesso - che può anche durare tutta la vita. E' una buona definizione di "inferno in Terra".
Inoltre, chi è in guerra con se stesso si troverà spesso in conflitto con gli altri; il conflitto interiore genera altri conflitti. In effetti è molto probabile che le persone irose, sempre arrabbiate con tutti, siano in realtà soprattutto arrabbiate con se stesse.

"La persona che non è in pace con se stessa, sarà in guerra con il mondo intero."
(Mohandas K. Gandhi)

Per esplorare meglio l'argomento dell'accettazione, ho scritto un post in cui lo spiego da vari aspetti: "Accetta quello che sei, ama te stesso".


Questo post fa parte di una serie di risposte brevi a domande frequenti sull'amore, le relazioni e la vita (clicca sul link per leggere l'elenco di tutte le domande e risposte).

"Essere belli significa essere se stessi. Non hai bisogno di essere accettato dagli altri. Hai bisogno di accettare te stesso."
(Thich Nhat Hanh)

"Senza l'amore di se stessi la vita non è possibile, neppure la più lieve decisione, soltanto immobilità e disperazione."
(Hugo Von Hofmannsthal)

"Abbi cura del tuo amico come di te stesso. "
(Levitico)


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Perdonare ci aiuta a vivere meglio

In questo post parlo dell'importanza di perdonare non da un punto di vista "morale" ("Perdonare è giusto"), bensì "funzionale" ("Perdonare ti fa vivere meglio"). Questo perché la morale spesso non serve: tutti sappiamo cosa sarebbe giusto fare, eppure molto spesso non lo facciamo.

"Vedo la strada migliore e l'approvo; ma poi scelgo la peggiore."
(Aristotele)

Perdonare per noi stessi, non per l'altro

Per cui continuare a dirci "Dovrei perdonare... Dovrei non prendermela..." non serve a nulla; anzi, aumenta lo stato di tensione dentro di noi (perché crea conflitto tra la parte che pensa di doverlo fare, e quella che si oppone). In effetti, mi sembra che nel 99% dei casi l'uso del verbo "Dovrei..." aumenti solo lo stress.

Invece, capire l'utilità pratica del perdono può magari aiutarci ad uscire dalla "prigione del risentimento", ed a vivere con un maggior senso di pace. E' un dono che facciamo prima di tutto a noi stessi, più che all'altra persona.
Di seguito elenco quindi alcuni punti essenziali per comprendere il significato del perdono (in senso funzionale invece che morale - appunto), e la sua necessità per vivere bene.
  1. Perdona per la tua "sanità mentale"
  2. Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle
  3. L'elemento chiave è l'accettazione
  4. Rinuncia al bisogno di "fare giustizia"
  5. Prima di perdonare, bisogna scaricare la negatività
  6. Comincia col perdonare te stesso


1. Perdona per la tua "sanità mentale"

Spesso il perdono non si dà per "nobiltà d'animo" o generosità di cuore (magari a volte, ma non in genere), quanto per la propria sanità mentale, per stare meglio noi stessi, per uscire da una spirale negativa. Lo si fa perché, anche se faticoso e impegnativo, poi stiamo meglio. Un po' come quando medichi una tua ferita: è difficile perché al momento fa più male, ma sai che poi col tempo la ferita guarirà e ti sentirai meglio.

2. Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle

Abbiamo ben poco controllo sulle nostre emozioni, ma possiamo averlo sulle nostre azioni. Dipende dal tuo stato mentale: bambino o adulto. Il bambino reagisce, l'adulto decide. Se ti va bene che siano le tue emozioni a comandare la tua vita, oppure non sai fare altrimenti, è probabile che tu sia ancora in uno "stato psicologico bambino", in cui non sei padrone di te stesso (l'adulto è "responsabile", nel senso etimologico di "capace di rispondere": cioè in grado di scegliere consapevolmente una risposta adeguata, invece di reagire istintivamente).

Facciamo un esempio pratico. Poniamo che mi abbiano fatto un'ingiustizia: mi rode, ci sto male, ho cercato se c'è un modo per risolvere, ho capito che non ne esistono... Posso decidere che ok, amen ("Così sia"), non mi piace ma mi metto il cuore in pace. Tanto se non ci posso fare nulla, perché continuare a starci male? Mi lascio alle spalle la cosa, e guardo avanti; ho di meglio da fare che rodermi il fegato.

3. L'elemento chiave è l'accettazione

L'accettazione degli eventi negativi non ci viene naturale (l'istinto, la nostra parte animale, reclama vendetta), ma può essere una scelta razionale, consapevole: accetto che la cosa mi fa rabbia, accetto che ce l'ho con quella persona, accetto che non ci posso fare nulla, accetto che il passato non si cambia, accetto che a volte la vita fa schifo*... ed arrivando ad accettarlo, non combatto più contro i "mulini a vento" (contro cose che non posso cambiare), ma trovo un certo senso di pace. Perché non sto più a fare la guerra all'impossibile.
* (questo accade perché la vita non è equa né morale, e non è al nostro servizio)

Quando smetto di combattere ("Dovrebbe essere diverso! Lei dovrebbe amarmi! Lui non doveva trattarmi così! Il mondo fa schifo...!"), esco da uno "stato di guerra" mentale e trovo una - relativa - pace. "Relativa" perché non è che improvvisamente sono sereno al 100% (quello è roba da Buddha, Gesù e Dalai Lama), ma sono molto più sereno di quando sono in conflitto con l'inevitabile.
Lascio cadere la pesante zavorra del rancore (il passato), e mi sento più leggero, vitale e positivo (nel presente). Non è che me ne dimentico, ma guardo in avanti, non all'indietro.

Per molti è difficile lasciar andare le proprie emozioni negative: poiché ci fanno sentire che "abbiamo ragione" (vedi punto successivo), ci sembrano preziose. Purtroppo però ci avvelenano lentamente: restare attaccati alla rabbia è un po' come bere del veleno, e aspettarsi che sia l'altro a morire. Invece l'altro non se ne cura, ma la rabbia corrode noi stessi (è provato che certe emozioni negative danneggiano la salute).

4. Rinuncia al bisogno di "fare giustizia"

Spesso, quando non sappiamo perdonare è perché restiamo tenacemente attaccati ad un "senso di giustizia". Perdonare, o lasciar andare il passato, ci appare come un legittimare quello che ci hanno fatto, come giustificare l'ingiustizia. Invece vorremmo tanto che il mondo fosse giusto, e che i "cattivi" venissero puniti. Quindi reiterare il rancore è come continuare a "ricorrere in appello", nella speranza che venga fatta giustizia al torto subìto (ma ovviamente non funziona: la vita va avanti e il passato è passato).
Chi soffre di questo "bisogno di giustizia" rimane attaccato al risentimento. Magari cerca razionalmente di perdonare, ma sotto sotto non lo vuole veramente, perché la "ferita da ingiustizia" alimenta il rancore - che rimane vivo e bruciante. La nostra parte animale, istintiva, non vuole ragionare o perdonare, vuole vendetta (questo vale anche in chi si convince razionalmente di avere perdonato, ma visceralmente è ancora in preda al risentimento).

Un principio spirituale chiede: "Vuoi avere ragione, o vuoi essere felice?". Ci sono situazioni in cui non puoi avere entrambi, specialmente nelle relazioni. Se ti attacchi all'avere ragione (senso di giustizia), continuerai ad alimentare il tuo risentimento ("Sono arrabbiato ed ho ottime ragioni per esserlo!"). Se invece vuoi essere felice (o stare meglio, più sereno e positivo), è necessario che accetti l'ingiustizia e te la lasci alle spalle.

L'errore di molti è vedere il perdono, o il lasciar andare il passato, come un "dono" immeritato che facciamo a chi ci ha ferito, e quindi come un'ingiustizia: "Perché dovrei perdonarti? Sarebbe come assolverti, ma tu sei colpevole! Quindi continuerò a 'punirti' col mio rancore!". Peccato però che il rancore danneggia te stesso molto più che l'altro (che magari se ne frega altamente). Vediamo il rancore come una spada che dovrebbe ferire l'altro, ma in realtà siamo noi a stringere la lama, e così facendo continuiamo ad aprire la nostra ferita e sanguinare (infatti quando siamo nel rancore non ci sentiamo mai bene, sereni o in pace).
Invece - e ritorno al primo punto sulla "sanità mentale" - il perdono lo si sceglie prima di tutto per se stessi, per amor proprio, per vivere meglio. L'altra persona è secondaria. Quindi il perdono ha poco a che fare con la giustizia - appunto - ma ha molto a che fare col volere vivere sereni (o stare meglio). Per fare questo, però, è necessario essere padroni di noi stessi, e non schiavi delle nostre emozioni (vedi secondo punto).

5. Prima di perdonare, bisogna scaricare la negatività

Prima di riuscire a perdonare qualcuno, può essere necessario scaricare il dolore, la rabbia e la frustrazione che proviamo verso quella persona. Finché non ci liberiamo in qualche modo da queste emozioni negative, esse rimangono dentro di noi e ci condizionano - rendendo il perdono più difficile o persino impossibile (come posso perdonare o lasciar andare il passato, se sono tutt'ora arrabbiato come una furia?).

Da notare che scaricare queste emozioni negative può essere fatto anche in modo indiretto. Cioè non dobbiamo per forza sfogarci con la persona che ci ha ferito (cosa spesso difficile, sconsigliabile o persino impossibile: pensiamo al nostro capo, o ad un genitore ormai defunto). Possiamo per esempio:
  • Scrivere tutte le emozioni negative in una lettera che poi bruceremo.
  • Oppure - mentre siamo da soli - prendere a pugni un cuscino mentre diciamo ad alta voce tutto quello che vorremmo dire a quella persona.
  • O ancora gridare oscenità mentre siamo chiusi nella nostra automobile su una strada solitaria.

6. Comincia col perdonare te stesso

Un altro motivo per cui fatichiamo a perdonare gli altri, a volte, è perché non perdoniamo noi stessi. Quando veniamo feriti o subiamo ingiustizie, spesso siamo noi stessi a permetterlo*: non ci difendiamo, non ci facciamo rispettare, non diamo dei chiari limiti agli altri. In genere agiamo così per paura, per debolezza, per pigrizia, per bisogno di approvazione, per bassa autostima, per "comprare" l'amore altrui... Così a volte veniamo abusati, e lo lasciamo accadere.
* (parlo di situazioni in età adulta, non da bambini; nell'infanzia siamo impotenti, quindi incapaci di difenderci e non responsabili per quello che ci accade)

Questo genera in noi una rabbia enorme: "Come ho potuto lasciarlo accadere! Perché non ho fatto nulla? Ma che razza di idiota smidollato sono?!?", che però è difficile riconoscere. E' molto più facile riversare tutta la colpa - e la responsabilità - sull'altro. In questi casi alimentiamo la rabbia verso l'altro come "copertura" della rabbia verso noi stessi: se perdonassimo l'altro, o se riconoscessimo che non ha tutta la responsabilità, dovremmo anche riconoscere quanto abbiamo mancato verso noi stessi, e quanto siamo furiosi per questo.

In questi casi, per "guarire" dobbiamo compiere una serie di passi:
  1. Prima di tutto ci serve accettare che non ci siamo rispettati, che abbiamo lasciato che altri ci facessero del male senza difenderci (anche se, in teoria, forse avremmo potuto opporci).
  2. Poi dobbiamo riconoscere pienamente quanto siamo rabbiosi verso noi stessi, per averlo permesso.
  3. Poi abbiamo bisogno di perdonare la nostra debolezza o paura, che ci ha frenato dal farlo.
  4. Infine, possiamo usare quella esperienza negativa per imparare dai nostri errori, in modo da non ripeterli (per non ricascarci, però, sarà necessario affrontare la causa del nostro comportamento - paura, debolezza, scarsa autostima... - e superarla).

Se invece non riconosciamo il risentimento che proviamo verso noi stessi, non potremo nemmeno vedere la cor-responsabilità che abbiamo negli eventi che ci sono accaduti, quanto vi abbiamo contribuito*. E quindi, non riconoscendo il nostro errore, ci capiterà di ricaderci di nuovo.
Chi ripete abitualmente questo schema di "Gli altri mi fanno sempre del male, ma non è colpa mia!", è in genere preda di una mentalità vittimista che lo porta a non prendersi mai cura di se stesso, ed invece a trovare sempre dei colpevoli all'esterno (atteggiamento che, portato all'estremo, conduce a personalità paranoiche e complottiste, che vedono nemici ovunque).

* Riconoscere di avere responsabilità ci dà potere: responsabilità e potere sono legati a doppio filo. Se sono responsabile di un evento (anche solo in parte), se vi ho contribuito in qualche modo, allora ho anche la possibilità (cioè il potere) di comportarmi diversamente, e quindi di contribuire a risultati diversi. Questa consapevolezza ci fornisce la possibilità di cambiare, di affrontare le stesse situazioni in modo differente.

Perdonare significa liberare noi stessi

Quando perdoniamo (e/o accettiamo che le cose sono come sono e non possiamo farci niente), è come dire "Smetto di concentrarmi sul mio 'nemico': gli ho già dedicato troppo tempo ed energia. Torno a dedicarmi a me stesso, e alla mia vita". Coltivare il risentimento è come vivere in una prigione (fatta dei nostri stessi pensieri); perdonare è uscirne, è liberare noi stessi, per andare nel mondo e tornare a vivere più serenamente. ​

"Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu."
(Lewis B. Smedes)

"Lo stupido non perdona nè dimentica; l'ingenuo perdona e dimentica; il saggio perdona, ma non dimentica."
(Thomas Szasz)

"Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura."
(Voltaire)


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Il mondo va sempre meglio

Regolarmente qualcuno se ne esce lamentandosi per il preoccupante declino della specie umana, o con qualche bizzarra nostalgia per un passato ideale che non è mai esistito:
  1. "Non ci sono più i valori di una volta"
  2. "Viviamo in tempi terribili"
  3. "Oggi gli uomini guardano solo la bellezza"
  4. "Oggi le donne badano solo al portafoglio"
  5. "Le cose vanno sempre peggio..."

Ma queste opinioni sono fondamentalmente scollegate dalla realtà. Anzi, è piuttosto vero il contrario; generalmente parlando:
  1. I valori umani sono migliorati (cose come schiavismo, colonialismo o lapidazione sono fortunatamente "passati di moda").
  2. Sotto quasi ogni aspetto, viviamo meglio che in passato.
  3. Si è sempre data molta importanza alla bellezza; ma oggi le donne vengono apprezzare anche per altre qualità.
  4. Le donne sono sempre state sensibili alla ricchezza e/o al potere; ma oggi meno di un tempo (anche grazie alla raggiunta indipendenza economica).
  5. Le condizioni di vita sono migliorate quasi ovunque rispetto al passato (per esempio, la povertà nel mondo è in costante diminuzione)*.
* Naturalmente accadono crisi periodiche, come nel 2020, in cui la situazione tende a peggiorare; oppure passiamo attraverso dei cicli storici, per cui avviene una fase di declino prima di migliorare nuovamente. Ma sul lungo periodo, quasi tutti i fattori tendono al miglioramento.

Quindi, chi esprime queste lamentele è solitamente piuttosto ignorante (nel senso letterale di scarsa conoscenza), o abbastanza stupido (capisce ben poco di come funzionano le cose), oppure molto egocentrico (sta male o è infelice, e ritiene che sia colpa del mondo che è "sbagliato"; oppure crede che la sua esperienza negativa rifletta l'intera realtà).

“I valori umani sono migliorati
e viviamo meglio che in passato”

Un viaggio a ritroso nel tempo

Come sempre, non vi chiedo di credermi sulla parola. Invece, valutate i fatti e decidete voi cosa è vero. Facciamo insieme un piccolo esperimento: torniamo indietro nel tempo, e vediamo come andavano le cose in tempi passati...
  • 1960-70: anni di grandi cambiamenti sociali e politici, ma anche di forti conflitti e scontri per le strade (spesso repressi in modo violento). In Italia, in particolare, avvengono numerosi atti criminali e di terrorismo (verranno infatti chiamati "gli anni di piombo"). Gli USA portano avanti l'insensata e fallimentare guerra in Vietnam; il presidente Nixon è costretto a dimettersi in seguito allo scandalo Watergate.
  • 1945-1960: siamo nel dopoguerra, e c'è un grande sviluppo economico. Però sono anche gli anni della "guerra fredda", e si vive con l'incubo di essere annientati da un conflitto nucleare. Razzismo e discriminazioni sono pervasivi.
  • Passiamo alla prima metà del XX secolo: in pochi decenni scoppiano due guerre mondiali, nel 1918 si scatena una pandemia di "influenza spagnola" che uccide più persone della guerra appena finita (50 milioni), e nel 1929 avviene la Grande Depressione economica. In Italia la dittatura fascista domina il Paese dal 1925 al 1943.
  • XIX secolo: un periodo con decine di guerre, colonizzazioni brutali in Asia ed Africa, rivoluzioni sanguinarie. Per buona parte del secolo, le donne sono ancora considerate proprietà del marito, e soggette alla sua volontà.
  • XVIII secolo: qualche altra decina di guerre. Lo schiavismo si espande a livello globale. Con la Rivoluzione Industriale, le persone lavorano per 14-16 ore al giorno, bambini inclusi.
  • XVII secolo: ancora decine di guerre (tanto per cambiare). La colonizzazione delle Americhe porta al massacro delle popolazioni indigene.
  • Con l'Inquisizione cattolica (svoltasi in varie forme dal XII al XVII secolo), persone comuni ed innocenti potevano essere arrestate, torturate ed uccise (magari bruciate vive), solo perché vivevano in modo non convenzionale o avevano idee autonome, stavano antipatiche a qualcuno, o possedevano beni che facevano gola ad altri.
  • Medioevo: per tutto questo periodo (dal V al XV secolo circa) si vive nel costante timore di aggressioni e invasioni. Per questo motivo, ovunque sorgono castelli e città fortificate.
  • XIV secolo: una pandemia di peste nera arriva a sterminare circa metà della popolazione europea.
  • Per diversi secoli la Chiesa Cattolica, che dovrebbe essere la guida spirituale del mondo, è afflitta da corruzione morale e materiale a tutti i livelli, dal Papa in giù.
  • Nei primi secoli dopo Cristo, una serie di invasioni barbariche, operate da numerose tribù e popolazioni nomadi, attraversa buona parte dell'Europa con azioni di saccheggio e conquista.
  • Con l'Editto di Tessalonica (380 D.C.), il cristianesimo diventa religione ufficiale dell'impero romano, per poi generare proibizioni e persecuzioni (anche violente) contro ogni altra forma di culto.
  • L'Impero Romano, che molti italiani vedono con orgoglio come nostro progenitore, ha sempre attuato una politica di espansione bellicosa; le popolazioni invase potevano scegliere tra la sottomissione o l'annientamento. Questo espansionismo non appare molto diverso da quello della Germania nazista.
  • La cultura Greca, e la democrazia di Atene in particolare, sono ritenute la culla della civiltà occidentale. Tendiamo però a dimenticare che tale società era basata sullo schiavismo, il diritto di voto era riservato al 10-20% della popolazione, e le donne erano escluse dalla vita pubblica.

Aspetti positivi e negativi

Ovviamente questo lungo elenco di eventi deprimenti non esclude che siano avvenute anche cose positive. Onestamente, però, nessuno dei periodi sopra elencati mi fa venire voglia di viverci, o di ritenere le condizioni di vita migliori di quelle odierne.

Inoltre ogni medaglia ha sempre due facce: quindi per ogni aspetto positivo del passato (mancanza di inquinamento, vita più sana, ritmi più naturali), va ricordato anche l'aspetto negativo (scarsità di beni e di cibo, assenza di farmaci e cure efficaci, mancanza di ogni comfort).
Basti pensare che un impiegato moderno vive una vita più comoda e abbondante, per molti versi, di un sovrano di qualche secolo fa: quest'ultimo infatti pativa il freddo e il caldo, aveva una scelta limitata di cibi, spesso era afflitto da parassiti, in caso di malattia aveva poche chances di sopravvivere, viveva nel costante timore di intrighi di corte od attacchi di nemici, e non poteva nemmeno scegliere il coniuge che preferiva (i matrimoni erano quasi sempre organizzati in base ad interessi politici ed economici).

“Un impiegato moderno
vive una vita più comoda
di un sovrano del passato”

Perché non apprezziamo quello che abbiamo

Ma se la vita dell'uomo medio oggi è tanto migliore che in passato, come mai di solito non ce ne rendiamo conto, e non lo apprezziamo? Uno dei motivi è che non valutiamo la nostra vita in modo oggettivo, bensì comparativo: cioè ci paragoniamo con le persone che conosciamo, o che abbiamo intorno. Per cui se tante persone hanno la stessa abbondanza che abbiamo noi, la diamo per scontata e la apprezziamo poco; se invece fossimo gli unici ad averla, ci farebbe sentire speciali e privilegiati.
In altre parole, non è quello che abbiamo a farci sentire soddisfatti; ma è la sensazione di avere più degli altri, o che stiamo meglio della maggioranza. Uno dei motivi per la diffusa infelicità moderna, infatti, sono i social network che ci mostrano persone che sembrano più felici di noi - e con cui ci paragoniamo.

Valori immaginari

Al di là delle condizioni di vita scomode e sgradevoli del passato, non vedo traccia nemmeno dei valori morali che tanti gli attribuiscono. Dov'erano tutti questi "valori", queste presupposte virtù?
  • Nelle continue guerre?
  • Nel mandare al massacro migliaia di uomini senza alcun riguardo per le loro vite?
  • Nell'obbligare le donne ad un ruolo subordinato?
  • Negli abusi dell'aristocrazia e del clero?
  • Nella pratica frequente dello schiavismo?
  • Nel mantenere la stragrande maggioranza della popolazione in condizioni di povertà e sottomissione?
  • In sistemi di governo basati sulla legge del più forte, invece che sul dialogo e sul consenso?
  • Nell'oppressione e repressione di idee, preferenze personali e religioni?

A me pare che di qualsiasi problema ci si possa lamentare oggi (diseguaglianza, disparità di diritti, ingiustizia, povertà, violenza, corruzione...), in passato era più grave e più esteso.
Forse l'unico male odierno che era minore in passato, è la solitudine (semmai in passato esisteva il problema opposto: raramente potevi stare da solo, o godere di una privacy personale). I legami familiari e di comunità erano sicuramente più numerosi e più stretti. Il che, però, implicava anche una libertà individuale molto più ristretta e condizionata.

Luci ed ombre

Attenzione: non voglio dire che oggi vada tutto bene, o che tutto sia meglio che in passato. Come già detto, ogni situazione presenta pro e contro. Quindi oggi abbiamo problemi che un tempo non esistevano, ma in genere si accompagnano ad aspetti positivi importanti:
  • Il capitalismo ha permesso uno sviluppo economico senza precedenti, che ha ridotto la povertà globale in modo eclatante; ma ovviamente ha anche aspetti negativi. Nessun altro sistema alternativo ha però prodotto altrettanta abbondanza, benessere e libertà di scelta. Quindi è possibile - ed auspicabile - migliorarlo, ma non ha senso credere che con il comunismo o il feudalesimo le condizioni fossero migliori.
  • L'industrializzazione ha portato a fenomeni dannosi come inquinamento e riscaldamento globale, ma ben pochi vorrebbero tornare ad un'economia di sussistenza od al vivere solo con lo stretto indispensabile; alle capanne di tronchi ed ai campi arati con vomere e bue.
  • Anche a livello sociale e relazionale, possiamo lamentarci della fragilità del matrimonio, dell'infedeltà diffusa e dell'eccesso di individualismo - e con ragione. Ma quanti sceglierebbero di tornare a tempi in cui la libertà personale era cosa da ricchi, in cui si era legati ad un lavoro umile tutta la vita, con ruoli rigidi per uomini e donne (inclusi quelli sessuali), con la paura di esprimere le proprie idee, dove viaggi, cultura e musica erano per pochissimi?
  • Per quasi tutta la storia umana, il problema principale è stato procurarsi il cibo. Oggi invece abbiamo il problema opposto: mangiamo così tanto da diventare obesi. Il che può essere grave, ma è comunque preferibile al morire di fame.

Quindi - ripeto - non sto dicendo che il mondo oggi sia ottimale. Dico che, tutto sommato, è meglio che in passato sotto quasi ogni aspetto. E "migliore" non vuol dire "perfetto": ci saranno sempre problemi e sofferenza, perché l'esistenza non è fatta per renderci felici, e gli esseri umani sono limitati e imperfetti.

“Ben pochi vorrebbero tornare
alle capanne di tronchi
ed ai campi arati col bue”

La natura umana non cambia

Fondamentalmente, gli esseri umani hanno limiti e difetti che restano uguali nei secoli. E' consolatorio credere che una volta le persone fossero più buone, oneste o rispettose, ma è illusorio. La natura umana rimane essenzialmente la stessa: infatti le storie e i personaggi dei grandi autori (come Shakespeare, 4 secoli fa) risultano attuali ancora oggi.
Altrettanto costante è la tendenza a lamentarsi per il comportamento altrui, e per la "decadenza dei valori"; infatti più di 2000 anni fa Cicerone già esclamava "O tempora o mores!" ("Che tempi, che costumi!").

Violenze, omicidi, stupri, abusi, ingiustizie ed oppressioni sono sempre accaduti; anche più di adesso, anche in modo più feroce (barbarie, torture e punizioni che oggi ci appaiono inconcepibili, erano un tempo la norma). Però lo si sapeva meno, mentre oggi tutto è più visibile, al punto che un fenomeno può essere in diminuzione ma l'insistenza mediatica ce lo fa apparire in aumento!
Per esempio la criminalità è in declino da molto tempo; l'Italia è tra i Paesi europei con meno omicidi (anche di donne). Spesso gli eventi criminosi vengono amplificati per ideologia o demagogia, per influenzare l'opinione pubblica, per ottenere consenso o deviare l'attenzione da altri problemi. Perciò molte persone si sentono minacciate anche se siamo più sicuri che in passato.
Bisognerebbe guardare dati e statistiche, non fidarsi della propria percezione emotiva (che per sua natura è soggettiva, parziale ed influenzabile).

Ma cultura e costumi sì

Se la natura umana resta uguale (o cambia in milioni di anni), quella che evolve è però la cultura: cioè l'insieme delle idee, valori, morale e costumi che indicano cosa fare, cosa è giusto o sbagliato. Anche nella cultura vediamo un'evoluzione in meglio (per quanto lenta); nel corso dei secoli siamo passati:
  • Dallo schiavismo alla libertà per ogni individuo, e alla Dichiarazione universale dei diritti umani.
  • Dalle monarchie e aristocrazie alla democrazia (nella maggior parte dei Paesi).
  • Dalle guerre alla diplomazia (quanto meno in buona parte del mondo).
  • Dalle vendette e faide ("occhio per occhio") alla risoluzione dei conflitti per via giudiziaria.
  • Dall'imposizione della forza ("La legge del più forte", "Might makes right") all'uso della ragione e del consenso.

Ovviamente non sempre questi progressi vengono applicati (siamo sempre e comunque umani), e certamente c'è spazio per tanti ulteriori miglioramenti. Ma il passaggio dalle epoche dominate dalla spada, all'esortazione di fratellanza "Abbracciatevi, moltitudini!" dell' "Inno alla Gioia" di Beethoven (inno ufficiale dell'Unione Europea), è un balzo gigantesco.

“La natura umana resta uguale,
o cambia in milioni di anni”

Perché il mondo migliora, ma molti non lo vedono

Anche dopo questa carrellata, immagino che ad alcuni continuerà a sembrare che il mondo odierno sia pessimo, o peggiore del passato. Di solito questa convinzione nasce da uno dei seguenti atteggiamenti mentali.

1. Visione soggettiva ("Il mondo mi assomiglia")

Persone che stanno male, che soffrono, che sono infelici; che patiscono ingiustizie; la cui vita è molto problematica... e credono che la propria condizione personale rispecchi lo stato del mondo. Quindi anche di fronte ad argomenti validi, ribattono "Se il mondo è migliorato, o non è mai stato migliore, com'è possibile che io - o le persone a me vicine - soffriamo così tanto?".

Immersi nel loro malessere, non sanno vedere oltre. Ma quello che succede ad uno non riflette lo stato del mondo. Bisogna saper distinguere il personale dal collettivo, e l'eccezione dalla regola. Se io sono su un aereo che precipita, ma quello è stato l'unico incidente aereo degli ultimi dieci anni, vuol dire che volare è molto sicuro - anche se io ho avuto sfortuna.

2. Visione negativa ("Il mondo fa schifo")

Alcuni hanno la tendenza a concentrarsi sugli aspetti negativi, ed ignorano quelli positivi (per esempio pessimisti o disfattisti). Sono quelli che in un prato ricolmo di fiori vedono solo il cespuglio rinsecchito, o l'escremento di vacca; quelli che, di fronte ad una giornata splendida, ribattono "Tanto domani pioverà!".

Nella loro mente il male è sempre superiore al bene, e non riescono a riconoscere di potersi sbagliare, anche di fronte all'evidenza (il pessimista è sempre convinto di essere realista). E' come se indossassero degli "occhiali neri", per cui a loro tutto appare oscuro e minaccioso.

3. Visione idealistica ("Il mondo dovrebbe essere perfetto")

Un'altra obiezione frequente è "Se il mondo è migliorato così tanto, come mai ci sono ancora così tanti problemi e dolore?". Ho già risposto prima: problemi e dolore esisteranno sempre, perché è nella natura dell'esistenza e di noi esseri umani (come insegna il buddismo: "La vita è sofferenza").
La realtà è imperfetta, ci fa soffrire, e non va come vorremmo - così è sempre stato, così sempre sarà. Come abbiamo visto nel nostro "viaggio nel passato", non c'è mai stato un periodo ideale od un'epoca armoniosa in cui tutto andava bene.

Costoro si attaccano alla speranza utopica di un mondo perfetto da "regno dei cieli", invece che terreno ed umano. Con questa idea fissa, il mondo reale non gli andrà mai bene. Tenderanno ad una visione negativa (vedi sopra), perché per loro niente è mai abbastanza.

4. Aspettative personali esagerate

Alcuni hanno aspettative irrealistiche rispetto ai propri meriti, e si aspettano di ottenere di più di quanto valgano. Hanno quello che chiamo "il complesso del principino", o "della principessa": si illudono di essere "speciali", e che gli altri li tratteranno di conseguenza.
Credono di poter essere sempre felici, di avere una relazione ottimale senza sforzi, di essere amati e stimati solo perché esistono, di diventare ricchi o famosi. Inevitabilmente si ritrovano delusi, ma faticano a riconoscere di esserne la causa. Paradossalmente più una persona è limitata - come intelligenza, cultura, maturità - più fatica a valutarsi correttamente (non ha gli strumenti per un'analisi obiettiva; vedi l'effetto Dunning-Kruger). Quindi concluderà che i suoi insuccessi sono dovuti a cause esterne: al mondo che è fatto male, o che va peggiorando.
  • Per esempio una persona ambiziosa, ma senz'arte né parte, facilmente si convincerà che "In giro non c'è lavoro", o che "Si trova impiego solo nei call-center" - anche se non è affatto così (molte aziende cercano personale, però con determinate competenze).
  • Oppure una persona romantica, che crede al "grande amore" in modo favolistico, giustificherà i suoi fallimenti relazionali dando la colpa al sesso opposto, o alla perdita di valori.

Ma naturalmente la colpa non è del mondo. Essenzialmente, la realtà funziona in modo meritocratico e "darwiniano": prospera chi è più adatto, mentre i meno adatti stentano o periscono. Le aspettative scollegate dai propri meriti sono spesso create dai genitori che viziano i figli, ma anche alimentate dai media (le pubblicità ti dicono che "tu vali" e "meriti il meglio", in modo da sedurti e vendere) e dai social network (dove tutti appaiono più belli e felici di quanto siano realmente).

Saper vedere la realtà, saperla apprezzare

Quindi per apprezzare il progresso ed i benefici della propria epoca, è necessario sganciarsi da queste mentalità fuorvianti:
  1. Saper vedere oltre il proprio ristretto "orticello".
  2. Saper valutare tutti i pro e contro.
  3. Non pretendere la perfezione.
  4. Avere aspettative realistiche e saper riconoscere i propri limiti.
Ed inoltre, saper apprezzare tutti gli aspetti positivi, invece di darli per scontati. Facendo questo, diventa chiaro che - per molti versi - non siamo mai stati meglio!

Attenzione: quando faccio notare che il mondo non sarà mai perfetto, o che una certa sofferenza è inevitabile, non intendo incoraggiare la rassegnazione; è sempre possibile fare progressi. Suggerisco però di apprezzare tutto quello che c'è di buono, e di cercare di migliorare quello che non va. Ricordando che lamentarsi è soltanto uno spreco di energia che non produce cambiamenti.


"E' un dato di fatto che le persone amano lamentarsi, specialmente di quanto sia terribile il mondo moderno rispetto al passato.
Ma si sbagliano quasi sempre."

(Steven D. Levitt e Stephen J. Dubner, "SuperFreakonomics")

"E' meglio essere ottimisti ed avere torto piuttosto che pessimisti ed avere ragione."
(Albert Einstein)

"Invece di lamentarsi dell'oscurità è meglio accendere una piccola lampada."
(Lao Tzu)


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8 ragioni per cui tutti soffriamo

Spesso capita di chiedersi le ragioni della propria sofferenza, o di stupirsi nel vedere quanto comune sia vedere persone che soffrono.
  • Molti non si capacitano di tutto questo dolore, forse perché ritengono che sia naturale essere felici, e vedono il dolore come una "anomalia".
  • Alcuni si sentono confusi o smarriti, specialmente se credono ad una figura divina amorevole ed onnipotente: "Se Dio ci ama, com'è possibile che questo accada?".
  • Certi sono convinti che tutto questo sia dovuto a "figure oscure", a qualche personaggio malevolo come rappresentato nei film popolari o di supereroi - dove il "cattivone" viene sconfitto e tutto ritorna in pace.

La vita comporta sofferenza

Sull'argomento della sofferenza io concordo con il buddismo, che afferma: "La vita è sofferenza" (o, per meglio dire, nella vita sono inevitabilmente inclusi sofferenza, impermanenza e cambiamento). Quindi la sofferenza è naturale, è parte dell'esistenza stessa, ed è per molti versi inevitabile.
Se crediamo che così non sia, è perché ci hanno "raccontato delle favole", cioè instillato convinzioni che non corrispondono alla realtà (per esempio l'idea di un dio per cui siamo creature privilegiate, o che siamo tutti buoni ma qualche malvagio rovina tutto, o che la felicità sia un diritto, o che ci venga naturale - tutte cose smentite dai fatti).

Capisco che le mie affermazioni possano lasciare increduli: dopo tutto, se vi siete sentiti dire certe cose da una vita, è difficile metterle in discussione. Quindi elenco otto ragioni che dimostrano come la sofferenza sia "normale", spesso inevitabile, e parte della vita stessa.
Naturalmente non vi chiedo di credermi sulla parola. Considerate ognuna di queste ragioni e confrontatela con la realtà, con i fatti concreti; e decidete voi se corrisponde al vero.


Otto ragioni per cui tutti soffriamo

1. Il mondo non è fatto per renderci felici

Pensare che la realtà sia "al nostro servizio" è una forma di egocentrismo clamorosa. Il mondo esisteva molto prima che noi umani entrassimo in scena (siamo "appena arrivati", in tempi cosmici), e continuerà ad esistere molto dopo che ci saremo estinti. Quindi credere che il mondo esista per farci contenti è una follia, che porta inevitabilmente ad aspettative illusorie, delusione e rabbia.

La felicità non è scontata, è un'arte. L'arte non accade di default, per conto suo: va creata con talento, impegno, sacrificio e un pizzico di (o molta) fortuna. La felicità idem. Se uno non coltiva e mette in atto le sue capacità di creare felicità, questa non avverrà (o avverrà di rado, per colpi di fortuna).

2. Non siamo progettati per essere felici - ma per sopravvivere e riprodurci

La felicità è per noi un sottoprodotto, una casualità, un dono dal cielo. L'amigdala, parte del cervello che domina le nostre scelte istintive e viscerali (reazioni "fight or flight", di lotta o fuga), dà una priorità assoluta alla sopravvivenza, e ben poca alla felicità (semmai favorisce il piacere temporaneo, che è cosa diversa).
Potremmo pensare che la nostra parte razionale (neo-corteccia) compensi. Ma nel nostro cervello le parti istintive ed emozionali (come pure l'inconscio), che puntano alla sopravvivenza e a difenderci molto più che alla felicità, sono preponderanti. La neo-corteccia è, sia in termini evolutivi che funzionali, "l'ultima arrivata".

Similmente, per lo più le nostre scelte sentimentali sono guidate da istinti e pulsioni innati, che non hanno come scopo la felicità o il benessere, ma la riproduzione dei propri geni. Essere attratti da qualcuno non dà garanzie di una relazione felice: è un "trucco" della Natura per indurci a procreare.

"Il sesso è una trappola della natura per evitare l'estinzione."
(Friedrich Nietzsche)

Non c'è quindi da stupirci se le nostre relazioni sono spesso così complicate, insoddisfacenti e deludenti. Il Romanticismo ci dice che lo scopo dell'amore è essere felici insieme, ma la Natura ha priorità ben diverse.

3. Abbiamo aspettative elevate e illusorie, e che diamo per scontate

A molti sembra naturale essere felici, si aspettano che gli altri li rendano felici (i partner), o che si prendano cura di loro (la famiglia, lo Stato). Di conseguenza vivono come bambini passivi, in attesa della "manna dal cielo".
Non si prendono attivamente la responsabilità della propria vita (o lo fanno solo in parte), delegando ad altri questo compito. Tutte le persone che si lamentano abitualmente, che fanno le vittime e si piangono addosso, ma non agiscono per migliorare la situazione, rientrano in questo schema.

Una differenza con epoche precedenti è che, in passato, le persone non si aspettavano di essere felici (il loro obiettivo primo era sopravvivere): vivevano esistenze ben più difficili, e avevano aspettative molto più basse. Oggi invece ci sentiamo in diritto di essere felici (aspettativa che conduce alla delusione). Molte persone soffrono perché si aspettano una vita a "livello 100", e non sanno godersi la loro vita a "livello 30".

4. I media alimentano le nostre illusioni

Pubblicità, social network, ma anche testate informative, continuano a mostrarci vite ideali e sogni in technicolor che ci fanno sentire inferiori, ed in cui tutti sono più belli e felici di noi. Questo alimenta aspettative irreali (la ragazza che vorrebbe un fisico da modella, l'uomo che vorrebbe il posto da manager...) e una continua rincorsa verso una ipotetica felicità futura ("Sarò felice quando...") che non si raggiunge mai (la felicità esiste solo nel momento presente).

Ma la responsabilità non è solo dei media falsi e manipolatori: spesso ci lasciamo ingannare perché vogliamo essere ingannati (sedotti, illusi). Poiché la realtà è sovente scomoda o deludente, rifiutiamo di riconoscerla ed invece siamo pronti a credere alle favole, ad ascoltare il "canto delle sirene".

Come detto nel punto precedente, la felicità (o sofferenza) è direttamente collegata alle aspettative: se io mi aspetto 25 ed ottengo 50, sarò felice; se mi aspetto 75 ed ottengo 50 sarò addolorato. Eppure in entrambi i casi ho ottenuto lo stesso risultato!
In certe culture (o in alcune epoche passate), dove non si esaltano ego ed individualismo, e dove si insegna la moderazione ("In medium stat virtus", la virtù sta nel mezzo), l'accontentarsi e l'adattarsi (Stoicismo), in media le persone sono meno stressate, più serene e più contente della loro vita.

5. Combattiamo con la realtà, invece di accettarla o di collaborare con essa

Se combatto contro l'inevitabile (come la morte) perderò sempre e comunque. Se mi aspetto che la realtà si adatti a me (invece che essere io ad adattarmi ad essa), avrò risultati scarsi o nulli. Invece di vederci - con umile realismo - come piccole particelle di un mondo sconfinato, spesso ci aspettiamo che sia il mondo a girare intorno a noi.

Questo tipo di mentalità "narcisista" ("Il mondo esiste per me, per servire me") è alla base di molte delle sofferenze moderne. Il narcisismo altrui ci fa arrabbiare, ma il nostro ci appare giustificato. Una tendenza egocentrica o narcisista è insita nell'essere umano, ma la società moderna l'ha alimentata a livelli mai visti prima.

6. I genitori sono incompetenti

Molte sofferenze e problemi nascono da esperienze infantili negative o traumatiche. I genitori sbagliano spesso, anche con le migliori intenzioni, perché:
  • A. Errare è umano e inevitabile
  • B. Praticamente nessuno insegna loro come fare
(da notare che B è rimediabile, mentre A no).

In aggiunta, le persone meno adatte a crescere figli (immature, nevrotiche, infelici, ignoranti, primitive...) sono quelle che più probabilmente fanno figli.
Le motivazioni a procreare sono per lo più irrazionali, e spesso sono reazioni a problemi personali (senso di vuoto, mancanza di scopo, insoddisfazioni, ambizioni irrisolte, solitudine e mancanza d'amore...). Raramente i figli crescono con intorno genitori saggi, sereni ed equilibrati.
Le conseguenze inevitabili sono moltitudini di persone problematiche, complessate e scarsamente capaci di affrontare l'esistenza.

7. La complessità della società aumenta continuamente.

Tecnologia, globalizzazione, legislazione, popolazione... la complessità è in continuo aumento, ovunque. Se da una parte questa complessità crescente ci offre sempre maggiori vantaggi (abbondanza di cibo, informazione, cultura, svago, sanità, comodità e lussi...), dall'altra la complessità ci genera ansia, inquietudine e frustrazione. Ci fa sentire smarriti e impotenti (tutto è sempre più complicato e meno comprensibile o gestibile).

Il contadino del 1300 viveva più sereno di noi, perché il suo mondo era circoscritto e statico; però un terzo dei contadini del 1300 sono stati sterminati dalla peste nera. Non si possono avere i vantaggi della modernità senza patirne gli svantaggi (e viceversa).

8. Il primo problema degli esseri umani, sono gli esseri umani stessi

Nel corso del tempo noi umani abbiamo eliminato, o fortemente ridotto, tutte le fonti di sofferenza esterne: malattie, scarsità, predatori, fattori ambientali (rimane la morte, però sempre più lontana). I problemi che ci creiamo noi stessi, però, rimangono i medesimi: siamo egoisti, miopi, insaziabili, concentrati sul breve periodo, litigiosi, vendicativi, prevaricatori. Dominiamo il pianeta, ma non sappiamo dominare noi stessi.

Di conseguenza, la maggior parte della sofferenza umana è creata da noi stessi: a mio parere, gli esseri umani sono fondamentalmente delle "teste di cavolo".
Disprezziamo le bestie, ma in realtà loro vivono più in pace, sereni e godendosi la vita di noi.


Considerazioni sulla sofferenza

Il mondo va sempre peggio?

Quando si parla di problemi e sofferenza, c'è sempre qualche "catastrofista" convinto di vivere in un mondo orribile che va sempre più decadendo, che la situazione non sia mai stata peggiore, e che in passato si stesse meglio.

Ma nonostante la loro forte convinzione, queste persone sono generalmente in errore:
  • La sofferenza è sempre esistita, e sempre esisterà (vedi citazione dal buddismo all'inizio).
  • Le lamentele sul decadimento della società, sulla perdita di valori, sui giovani che sono peggiori degli anziani, sono sempre esistite. Ne troviamo traccia già negli scritti degli antichi greci e romani.
  • Oggi abbiamo molta meno sofferenza materiale che in passato (il numero di persone in condizioni di povertà è in diminuzione da decenni).
    Però sembriamo avere più sofferenza emotiva e psicologica. Forse perché quando si era preoccupati per la sopravvivenza, non si aveva tempo per depressione o problemi esistenziali.

Quindi questo pessimismo è un errore di prospettiva, di solito dovuto ad ignoranza: chi crede di vivere in un'epoca peggiore del passato... di solito non conosce veramente com'era il passato.

La ricerca di un colpevole

Alcune persone sono convinte che i problemi del mondo siano causati da qualche individuo o gruppo di persone malvagi, che tessono trame oscure per rovinare o dominare le vite altrui. I complottisti rientrano in questa categoria.
Di fronte a problemi e sofferenze, quindi, costoro cercano un "colpevole". Ma esiste sempre un colpevole, un atto malvagio volontario?

Secondo me, a volte ci sono dei colpevoli e a volte no. A volte il dolore è semplicemente parte dell'esistenza. A volte gli eventi negativi succedono e basta, perché il mondo è caotico e non ordinato come vorremmo (vedi i concetti di caos e cosmos - disordine e ordine - nella filosofia greca). In inglese si dice "Shit happens", ovvero "Le cose brutte [merda] semplicemente accadono".

Quindi non sempre c'è un senso - o un colpevole - dietro gli eventi. Di nuovo, il mondo non gira intorno a noi o alle nostre esigenze: va per la sua strada.
Però ci sono sempre delle cause; e a volte noi stessi contribuiamo alle cause (per esempio se scelgo sempre un certo tipo di partner, o non affronto dei miei blocchi psicologici). Ma siccome riconoscere di essere parte del problema (essere con-causa) genera una responsabilità che la maggior parte delle persone rifiuta, costoro preferiscono dare la colpa all'esterno e cercare il colpevole in chiunque - tranne che in se stessi.
  • Chi cerca ossessivamente un colpevole, spesso è proprio chi rifiuta la responsabilità personale della propria sofferenza, quindi ha bisogno di trovare qualcun altro a cui attribuire la colpa.
  • Oppure è chi crede che la felicità sia il default (quello che accade di norma), e la sofferenza sia un'eccezione da eliminare. Quindi pensa "Dovrei essere felice, ma non lo sono, quindi qualcosa non va e dev'essere colpa di qualcuno".
Va anche detto che è normale (se non diventa ossessivo) voler identificare un colpevole, o una causa, per i propri problemi. Detestiamo sentirci all'oscuro, l'incertezza ed il caos, per cui cerchiamo istintivamente spiegazioni a quello che ci accade - anche quando non c'è una risposta logica o soddisfacente (per certi versi, le religioni nascono come tentativo di dare una risposta ai misteri dell'esistenza).

Affrontare la sofferenza, coltivare la felicità

Naturalmente, tutto questo non significa che dobbiamo rassegnarci alla sofferenza, o che dobbiamo subirla passivamente. Anche se l'esistenza non è "progettata" per renderci felici, abbiamo comunque la capacità di sentirci gioiosi, sereni ed appagati (basta non pretendere di esserlo sempre e comunque):
  • Possiamo partire dal distinguere tra quello che possiamo cambiare, e ciò che invece sfugge al nostro controllo e possiamo solo accettare (vedi "Preghiera della serenità").
  • Possiamo imparare ad affrontare la sofferenza - in modo da diventare capaci di subirla meno e gestirla meglio.
  • Quando certi eventi dolorosi si ripetono più volte in modo simile, è probabile che noi stessi contribuiamo ad essi (in qualche modo inconsapevole). Scoprire i meccanismi che ci portano a ripetere quei comportamenti, e capirne i motivi, può aiutarci ad uscirne.
  • Molta sofferenza non necessaria nasce dai conflitti con se stessi: questa può essere superata imparando ad accettarsi ed amarsi come siamo.
  • Infine, va ricordato che a volte la sofferenza può essere utile: può essere un sintomo che ci indica quello che non funziona nella nostra vita, od essere un'esperienza necessaria per imparare qualcosa, o contribuire alla nostra crescita come persona. Quindi a volte è benefico comprenderne il senso, invece di rifiutarla a priori.


"Un uomo che teme di soffrire, soffre già di quello che teme."
(Michel E. de Montaigne)

"Voler evitare ogni incontro col dolore significa rinunciare a una parte della propria vita umana."
(Konrad Lorenz)

"Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci."
(Hermann Hesse)


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