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Qual è la persona più importante della tua vita?

Esiste una persona più importante di tutti?


La persona più importante della tua vita sei tu :-)
  • Tutti gli altri possono andare e venire. Ma tu sei stato, sei ora, e sarai sempre, insieme a te stesso.
  • Gli altri possono fare e dire cose preziose, ma alla fine solo tu sai cos'è giusto per te.
  • L'amore che viene dagli altri ti nutre, ti dà gioia e ti migliora la vita... ma puoi vivere anche senza. Invece senza l'amore per te stesso esiste solo vuoto e disperazione.

Con questo non voglio inneggiare ad un egocentrismo sterile e chiuso: siamo creature sociali e le relazioni sono l'esperienza più preziosa della vita. Senza relazioni significative la propria esistenza rischia di rimanere povera e grigia.
Però la relazione più significativa rimane quella con se stessi:
  • Quando qualcuno accetta e ama se stesso tutto diventa possibile: può fiorire, svilupparsi ed evolversi. E' anche più capace di amare e donarsi agli altri (perché vive uno stato di pace e benessere interiore).
  • Mentre chi nega se stesso e disprezza ciò che è, chi si condanna ed è nemico di se stesso, vive costantemente nel suo inferno interiore (da cui ben poco amore può scaturire verso gli altri).

Anche la famosa esortazione evangelica "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Matteo 22,39), necessita dell'amore di se stessi per funzionare. Se non amo me stesso, infatti, non amerò gli altri nella stessa misura. Come potrei dare agli altri qualcosa che non ho dentro di me?

Prenditi cura del tuo giardino

In pratica, tu sei il centro del tuo mondo (il che è diverso dal sentirsi il centro del mondo in senso ampio, e pretendere che gli altri ti trattino come tale; o ritenersi al di sopra degli altri - che sono tendenze egocentriche e distruttive).
  • Quando ti prendi cura del tuo mondo interno, ti tratti bene e lo coltivi facendolo diventare come un bel giardino fiorito, allora tutti quelli che vi transitano si troveranno bene - e tu per primo. Le altre persone staranno bene in tua compagnia e ti apprezzeranno, perché come siamo dentro viene percepito all'esterno. Quindi se ho coltivato amore e benessere dentro di me, gli altri ne saranno istintivamente attratti.
  • Invece trascurare se stessi, criticarsi e punirsi, servirà solo a rendere il tuo mondo interno un deserto inospitale, disagevole e ostile, in cui nessuno vorrà rimanere - e da cui tu stesso vorrai fuggire (come fanno, per esempio, le persone che fuggono da stesse e cercano sollievo nelle dipendenze - di qualsiasi tipo).

Perciò, se vuoi cambiare la tua vita in meglio, comincia dal prenderti cura di te stesso. Trattati come farebbe il tuo migliore amico, come se tu fossi la persona più importante del mondo - perché nel tuo mondo, lo sei. :-)


Questo post fa parte di una serie di risposte brevi a domande frequenti sull'amore, le relazioni e la vita (clicca sul link per leggere l'elenco di tutte le domande e risposte).

"Senza l'amore di se stessi la vita non è possibile, neppure la più lieve decisione, soltanto immobilità e disperazione."
(Hugo Von Hofmannsthal)

"Non c'è amore sufficientemente capace di colmare il vuoto di una persona che non ama se stessa."
(Irene Orce)

"La persona che non è in pace con se stessa, sarà in guerra con il mondo intero."
(Mohandas K. Gandhi)


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Come imparare ad accettarsi?

Come posso accettare me stesso?

Come posso imparare ad accettare i miei difetti?


Accettare se stessi non è facile, perché in genere l'ambiente in cui viviamo ci spinge in direzione opposta:
  • Ci viene detto come dobbiamo essere e comportarci.
  • Veniamo criticati se non corrispondiamo alle aspettative altrui (a partire dai nostri genitori).
  • Spesso veniamo manipolati dalle altre persone, che ci fanno sentire sbagliati per ottenere qualcosa da noi (inclusi i partner).
  • A questo aggiungiamo che in Italia - con una cultura cattolica ancora diffusa - viene incoraggiato lo spirito di sacrificio, e il prendersi cura di se stessi viene visto con sospetto.
Raramente riceviamo messaggi che ci incoraggiano a rispettare noi stessi, ad accettarci, ad amarci per quello che siamo.

Puoi esserti amico

Forse il primo passo per andare in quella direzione, è vedere me stesso come il mio migliore amico; e trattare me stesso come tale. In ogni situazione, specialmente difficile o di sofferenza, posso chiedermi:
  • Cosa mi direbbe il mio migliore amico?
  • Come mi tratterebbe?
  • Cosa farebbe per me?
Usando questo modello dell'amico come "bussola", ecco che diventa più facile imparare a:
  • trattarsi con gentilezza e pazienza;
  • essere meno esigente o critico;
  • perdonare i propri errori;
  • accettarsi con le proprie mancanze e imperfezioni (che tanto hanno tutti, in quanto umani).
Un buon amico non pretende che siamo perfetti o che non sbagliamo mai, e non si aspetta da noi una continua "performance" ai massimi livelli. Conosce i nostri difetti, ma ci vuole bene comunque. Se un amico ci tratta bene, ci accetta e ci apprezza, perché mai non possiamo farlo anche noi?

La relazione più importante

E' anche importante rendersi conto che la persona più importante della mia vita sono io. Io sono l'unico che mi sarà sempre vicino, che si prenderà cura dei miei bisogni, quello che meglio mi conosce e mi capisce. Altre persone possono essere preziose, certo, ma gli altri vanno e vengono: solo io sarò sempre con me ogni giorno della mia esistenza.
E' per questo che la relazione più importante è quella con se stessi:
  • Se sto male con me stesso, starò sempre male (mica posso sfuggirmi!).
  • Ma se sto bene con me stesso, gli altri problemi saranno secondari.
Infatti chi cerca ossessivamente l'amore dagli altri, spesso è una persona che si detesta; non sapendo dare amore a se stesso, ha disperatamente bisogno che qualcuno lo faccia al posto suo.

Non accettarsi è un inferno

Chi non si accetta vive in uno "stato di guerra" continuo con se stesso - che può anche durare tutta la vita. E' una buona definizione di "inferno in Terra".
Inoltre, chi è in guerra con se stesso si troverà spesso in conflitto con gli altri; il conflitto interiore genera altri conflitti. In effetti è molto probabile che le persone irose, sempre arrabbiate con tutti, siano in realtà soprattutto arrabbiate con se stesse.

"La persona che non è in pace con se stessa, sarà in guerra con il mondo intero."
(Mohandas K. Gandhi)

Per esplorare meglio l'argomento dell'accettazione, ho scritto un post in cui lo spiego da vari aspetti: "Accetta quello che sei, ama te stesso".


Questo post fa parte di una serie di risposte brevi a domande frequenti sull'amore, le relazioni e la vita (clicca sul link per leggere l'elenco di tutte le domande e risposte).

"Essere belli significa essere se stessi. Non hai bisogno di essere accettato dagli altri. Hai bisogno di accettare te stesso."
(Thich Nhat Hanh)

"Senza l'amore di se stessi la vita non è possibile, neppure la più lieve decisione, soltanto immobilità e disperazione."
(Hugo Von Hofmannsthal)

"Abbi cura del tuo amico come di te stesso. "
(Levitico)


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Perdonare ci aiuta a vivere meglio

In questo post parlo dell'importanza di perdonare non da un punto di vista "morale" ("Perdonare è giusto"), bensì "funzionale" ("Perdonare ti fa vivere meglio"). Questo perché la morale spesso non serve: tutti sappiamo cosa sarebbe giusto fare, eppure molto spesso non lo facciamo.

"Vedo la strada migliore e l'approvo; ma poi scelgo la peggiore."
(Aristotele)

Perdonare per noi stessi, non per l'altro

Per cui continuare a dirci "Dovrei perdonare... Dovrei non prendermela..." non serve a nulla; anzi, aumenta lo stato di tensione dentro di noi (perché crea conflitto tra la parte che pensa di doverlo fare, e quella che si oppone). In effetti, mi sembra che nel 99% dei casi l'uso del verbo "Dovrei..." aumenti solo lo stress.

Invece, capire l'utilità pratica del perdono può magari aiutarci ad uscire dalla "prigione del risentimento", ed a vivere con un maggior senso di pace. E' un dono che facciamo prima di tutto a noi stessi, più che all'altra persona.
Di seguito elenco quindi alcuni punti essenziali per comprendere il significato del perdono (in senso funzionale invece che morale - appunto), e la sua necessità per vivere bene.
  1. Perdona per la tua "sanità mentale"
  2. Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle
  3. L'elemento chiave è l'accettazione
  4. Rinuncia al bisogno di "fare giustizia"
  5. Prima di perdonare, bisogna scaricare la negatività
  6. Comincia col perdonare te stesso


1. Perdona per la tua "sanità mentale"

Spesso il perdono non si dà per "nobiltà d'animo" o generosità di cuore (magari a volte, ma non in genere), quanto per la propria sanità mentale, per stare meglio noi stessi, per uscire da una spirale negativa. Lo si fa perché, anche se faticoso e impegnativo, poi stiamo meglio. Un po' come quando medichi una tua ferita: è difficile perché al momento fa più male, ma sai che poi col tempo la ferita guarirà e ti sentirai meglio.

2. Non puoi decidere che emozioni senti, ma puoi decidere come gestirle

Abbiamo ben poco controllo sulle nostre emozioni, ma possiamo averlo sulle nostre azioni. Dipende dal tuo stato mentale: bambino o adulto. Il bambino reagisce, l'adulto decide. Se ti va bene che siano le tue emozioni a comandare la tua vita, oppure non sai fare altrimenti, è probabile che tu sia ancora in uno "stato psicologico bambino", in cui non sei padrone di te stesso (l'adulto è "responsabile", nel senso etimologico di "capace di rispondere": cioè in grado di scegliere consapevolmente una risposta adeguata, invece di reagire istintivamente).

Facciamo un esempio pratico. Poniamo che mi abbiano fatto un'ingiustizia: mi rode, ci sto male, ho cercato se c'è un modo per risolvere, ho capito che non ne esistono... Posso decidere che ok, amen ("Così sia"), non mi piace ma mi metto il cuore in pace. Tanto se non ci posso fare nulla, perché continuare a starci male? Mi lascio alle spalle la cosa, e guardo avanti; ho di meglio da fare che rodermi il fegato.

3. L'elemento chiave è l'accettazione

L'accettazione degli eventi negativi non ci viene naturale (l'istinto, la nostra parte animale, reclama vendetta), ma può essere una scelta razionale, consapevole: accetto che la cosa mi fa rabbia, accetto che ce l'ho con quella persona, accetto che non ci posso fare nulla, accetto che il passato non si cambia, accetto che a volte la vita fa schifo*... ed arrivando ad accettarlo, non combatto più contro i "mulini a vento" (contro cose che non posso cambiare), ma trovo un certo senso di pace. Perché non sto più a fare la guerra all'impossibile.
* (questo accade perché la vita non è equa né morale, e non è al nostro servizio)

Quando smetto di combattere ("Dovrebbe essere diverso! Lei dovrebbe amarmi! Lui non doveva trattarmi così! Il mondo fa schifo...!"), esco da uno "stato di guerra" mentale e trovo una - relativa - pace. "Relativa" perché non è che improvvisamente sono sereno al 100% (quello è roba da Buddha, Gesù e Dalai Lama), ma sono molto più sereno di quando sono in conflitto con l'inevitabile.
Lascio cadere la pesante zavorra del rancore (il passato), e mi sento più leggero, vitale e positivo (nel presente). Non è che me ne dimentico, ma guardo in avanti, non all'indietro.

Per molti è difficile lasciar andare le proprie emozioni negative: poiché ci fanno sentire che "abbiamo ragione" (vedi punto successivo), ci sembrano preziose. Purtroppo però ci avvelenano lentamente: restare attaccati alla rabbia è un po' come bere del veleno, e aspettarsi che sia l'altro a morire. Invece l'altro non se ne cura, ma la rabbia corrode noi stessi (è provato che certe emozioni negative danneggiano la salute).

4. Rinuncia al bisogno di "fare giustizia"

Spesso, quando non sappiamo perdonare è perché restiamo tenacemente attaccati ad un "senso di giustizia". Perdonare, o lasciar andare il passato, ci appare come un legittimare quello che ci hanno fatto, come giustificare l'ingiustizia. Invece vorremmo tanto che il mondo fosse giusto, e che i "cattivi" venissero puniti. Quindi reiterare il rancore è come continuare a "ricorrere in appello", nella speranza che venga fatta giustizia al torto subìto (ma ovviamente non funziona: la vita va avanti e il passato è passato).
Chi soffre di questo "bisogno di giustizia" rimane attaccato al risentimento. Magari cerca razionalmente di perdonare, ma sotto sotto non lo vuole veramente, perché la "ferita da ingiustizia" alimenta il rancore - che rimane vivo e bruciante. La nostra parte animale, istintiva, non vuole ragionare o perdonare, vuole vendetta (questo vale anche in chi si convince razionalmente di avere perdonato, ma visceralmente è ancora in preda al risentimento).

Un principio spirituale chiede: "Vuoi avere ragione, o vuoi essere felice?". Ci sono situazioni in cui non puoi avere entrambi, specialmente nelle relazioni. Se ti attacchi all'avere ragione (senso di giustizia), continuerai ad alimentare il tuo risentimento ("Sono arrabbiato ed ho ottime ragioni per esserlo!"). Se invece vuoi essere felice (o stare meglio, più sereno e positivo), è necessario che accetti l'ingiustizia e te la lasci alle spalle.

L'errore di molti è vedere il perdono, o il lasciar andare il passato, come un "dono" immeritato che facciamo a chi ci ha ferito, e quindi come un'ingiustizia: "Perché dovrei perdonarti? Sarebbe come assolverti, ma tu sei colpevole! Quindi continuerò a 'punirti' col mio rancore!". Peccato però che il rancore danneggia te stesso molto più che l'altro (che magari se ne frega altamente). Vediamo il rancore come una spada che dovrebbe ferire l'altro, ma in realtà siamo noi a stringere la lama, e così facendo continuiamo ad aprire la nostra ferita e sanguinare (infatti quando siamo nel rancore non ci sentiamo mai bene, sereni o in pace).
Invece - e ritorno al primo punto sulla "sanità mentale" - il perdono lo si sceglie prima di tutto per se stessi, per amor proprio, per vivere meglio. L'altra persona è secondaria. Quindi il perdono ha poco a che fare con la giustizia - appunto - ma ha molto a che fare col volere vivere sereni (o stare meglio). Per fare questo, però, è necessario essere padroni di noi stessi, e non schiavi delle nostre emozioni (vedi secondo punto).

5. Prima di perdonare, bisogna scaricare la negatività

Prima di riuscire a perdonare qualcuno, può essere necessario scaricare il dolore, la rabbia e la frustrazione che proviamo verso quella persona. Finché non ci liberiamo in qualche modo da queste emozioni negative, esse rimangono dentro di noi e ci condizionano - rendendo il perdono più difficile o persino impossibile (come posso perdonare o lasciar andare il passato, se sono tutt'ora arrabbiato come una furia?).

Da notare che scaricare queste emozioni negative può essere fatto anche in modo indiretto. Cioè non dobbiamo per forza sfogarci con la persona che ci ha ferito (cosa spesso difficile, sconsigliabile o persino impossibile: pensiamo al nostro capo, o ad un genitore ormai defunto). Possiamo per esempio:
  • Scrivere tutte le emozioni negative in una lettera che poi bruceremo.
  • Oppure - mentre siamo da soli - prendere a pugni un cuscino mentre diciamo ad alta voce tutto quello che vorremmo dire a quella persona.
  • O ancora gridare oscenità mentre siamo chiusi nella nostra automobile su una strada solitaria.

6. Comincia col perdonare te stesso

Un altro motivo per cui fatichiamo a perdonare gli altri, a volte, è perché non perdoniamo noi stessi. Quando veniamo feriti o subiamo ingiustizie, spesso siamo noi stessi a permetterlo*: non ci difendiamo, non ci facciamo rispettare, non diamo dei chiari limiti agli altri. In genere agiamo così per paura, per debolezza, per pigrizia, per bisogno di approvazione, per bassa autostima, per "comprare" l'amore altrui... Così a volte veniamo abusati, e lo lasciamo accadere.
* (parlo di situazioni in età adulta, non da bambini; nell'infanzia siamo impotenti, quindi incapaci di difenderci e non responsabili per quello che ci accade)

Questo genera in noi una rabbia enorme: "Come ho potuto lasciarlo accadere! Perché non ho fatto nulla? Ma che razza di idiota smidollato sono?!?", che però è difficile riconoscere. E' molto più facile riversare tutta la colpa - e la responsabilità - sull'altro. In questi casi alimentiamo la rabbia verso l'altro come "copertura" della rabbia verso noi stessi: se perdonassimo l'altro, o se riconoscessimo che non ha tutta la responsabilità, dovremmo anche riconoscere quanto abbiamo mancato verso noi stessi, e quanto siamo furiosi per questo.

In questi casi, per "guarire" dobbiamo compiere una serie di passi:
  1. Prima di tutto ci serve accettare che non ci siamo rispettati, che abbiamo lasciato che altri ci facessero del male senza difenderci (anche se, in teoria, forse avremmo potuto opporci).
  2. Poi dobbiamo riconoscere pienamente quanto siamo rabbiosi verso noi stessi, per averlo permesso.
  3. Poi abbiamo bisogno di perdonare la nostra debolezza o paura, che ci ha frenato dal farlo.
  4. Infine, possiamo usare quella esperienza negativa per imparare dai nostri errori, in modo da non ripeterli (per non ricascarci, però, sarà necessario affrontare la causa del nostro comportamento - paura, debolezza, scarsa autostima... - e superarla).

Se invece non riconosciamo il risentimento che proviamo verso noi stessi, non potremo nemmeno vedere la cor-responsabilità che abbiamo negli eventi che ci sono accaduti, quanto vi abbiamo contribuito*. E quindi, non riconoscendo il nostro errore, ci capiterà di ricaderci di nuovo.
Chi ripete abitualmente questo schema di "Gli altri mi fanno sempre del male, ma non è colpa mia!", è in genere preda di una mentalità vittimista che lo porta a non prendersi mai cura di se stesso, ed invece a trovare sempre dei colpevoli all'esterno (atteggiamento che, portato all'estremo, conduce a personalità paranoiche e complottiste, che vedono nemici ovunque).

* Riconoscere di avere responsabilità ci dà potere: responsabilità e potere sono legati a doppio filo. Se sono responsabile di un evento (anche solo in parte), se vi ho contribuito in qualche modo, allora ho anche la possibilità (cioè il potere) di comportarmi diversamente, e quindi di contribuire a risultati diversi. Questa consapevolezza ci fornisce la possibilità di cambiare, di affrontare le stesse situazioni in modo differente.

Perdonare significa liberare noi stessi

Quando perdoniamo (e/o accettiamo che le cose sono come sono e non possiamo farci niente), è come dire "Smetto di concentrarmi sul mio 'nemico': gli ho già dedicato troppo tempo ed energia. Torno a dedicarmi a me stesso, e alla mia vita". Coltivare il risentimento è come vivere in una prigione (fatta dei nostri stessi pensieri); perdonare è uscirne, è liberare noi stessi, per andare nel mondo e tornare a vivere più serenamente. ​

"Perdonare è liberare un prigioniero e scoprire che quel prigioniero eri tu."
(Lewis B. Smedes)

"Lo stupido non perdona nè dimentica; l'ingenuo perdona e dimentica; il saggio perdona, ma non dimentica."
(Thomas Szasz)

"Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura."
(Voltaire)


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6 Consigli per accettare se stessi [Body Positivity]

Presentazione dell'autrice

Oggi pubblico un "articolo ospite" della blogger Ilaria, sull'argomento fondamentale dell'accettazione di sé.

Salve a tutti, lettori di Psico Felicità! Io sono Ilaria e scrivo solitamente sul mio blog Color Me Fall. Mi occupo di moda sostenibile, principalmente abbigliamento vintage, di seconda mano e brand etici, ma poiché da un po’ di tempo ho abbracciato la Body Positivity, sono qui a parlare con voi della mia esperienza, di come sono riuscita ad accettare i cambiamenti del mio corpo e per darvi qualche piccolo consiglio che spero possano essere utili.


Avere sicurezza e fiducia in se stessi

In questo post ti darò alcuni consigli per migliorare il tuo modo di vederti e di presentarti al mondo. Tutto ciò che troverai scritto nell’articolo è frutto della mia esperienza dopo il mio drastico aumento di peso, come mi sono sentita nel primo periodo di cambiamento e cosa ho fatto per risollevarmi. Accettare se stessi non è semplice, è un percorso che deve partire prima di tutto dalla tua volontà di cambiare assetto mentale, ma sono sicura che riuscirò a darti una mano per iniziare questo viaggio: immergiti nella riscoperta del tuo corpo!

Avere sicurezza e fiducia in se stessi è importante tanto quanto avere un bel vestito indosso, uno che ti valorizza al massimo; non è facile però avere sempre un approccio così positivo con la propria figura, ci sono giorni in cui è difficile accettare il proprio corpo. Succede anche a me, è parte della natura umana, e questo dipende da moltissimi fattori. Oggi vorrei raccontarti la mia storia e darti alcuni piccoli consigli, che spero possano aiutarti a migliorare la fiducia in te stessa e ad essere una body positive person

La mia storia

Ho preso e perso peso in maniera piuttosto ciclica, quindi per me non è mai stato un problema l’effetto "yo-yo". Tuttavia, dopo aver avuto dei problemi di salute e aver affrontato un intervento, ho iniziato a mettere su parecchi chili, nonostante avessi una dieta sana e facessi dell’esercizio fisico. C’erano (e ci sono tutt’ora) dei problemi di metabolismo su cui ancora adesso sto lavorando, ma all’inizio per me è stato un trauma. Sono passata da 45 kg a 75 kg nel giro di pochissimo tempo. Inutile dire che non vedevo via d’uscita, mi sentivo brutta, non riconoscevo più me stessa allo specchio.

Cosa è successo poi?

Il mio compagno, vedendomi in uno stato parecchio preoccupante, ha cercato di spronarmi in qualche modo: mi ha proposto di aprire un blog. Perché proprio un blog? Ha pensato che fare qualcosa che mi facesse uscire dalla mia zona di comfort, come vestirmi e prepararmi per fare delle foto da mostrare - praticamente - al mondo, potesse aiutarmi ed essere uno sprone per migliorare la mia condizione. Ero ovviamente riluttante, per me era impensabile farmi vedere in quelle condizioni e addirittura fare delle foto, non esiste!

Ma io sono una persona curiosa quindi, anche se non ero per niente attirata dalla sua idea, ho iniziato a cercare in rete vari blog che parlassero di personal style gestiti da blogger curvy e plus size. Ne ho trovato qualcuno e sono rimasta sbalordita da come quelle ragazze sembrassero così a loro agio nella loro pelle, mentre io avrei voluto soltanto strapparmela di dosso.

Dopo un po', ho deciso di fare anche io questo passo: è stato davvero difficile uscire da quella zona di comfort (figurati che le prime foto che ho scattato le ho fatte in casa, o al massimo davanti casa mia!), ma piano piano ci ho preso gusto, era divertente! Mi faceva piacere notare che le persone che leggevano i miei articoli si soffermassero sugli outfit, sull'abbigliamento, e non sulle mie misure. E allora, con costanza e pazienza, tra alti e bassi, ho studiato come migliorare il mio blog, le mie tecniche, e piano piano sono cresciuta. Sono passati più di due anni da quando ho iniziato a scrivere qui su Color Me Fall, e non smetterei per niente al mondo!

Ma come accettare il proprio corpo? Be', ho capito che ci sono dei metodi per sentirsi più positivi, per affrontare la giornata con più fiducia, e vorrei condividerli con te. Ma prima vorrei fare una riflessione insieme.

Cosa significa accettare se stessi?

Accettare il proprio corpo vuol dire prendere atto dei propri difetti, ma anche dei propri pregi; rendersi conto che tutte queste caratteristiche messe insieme creano una persona unica nel suo genere: TU! Per fare questo, per prendere atto delle mie peculiarità, ho fatto una cosa molto semplice, ovvero scrivere una lista. In realtà, fare questo tipo di elenco mi ha aiutato non solo in questa fase così delicata, ma anche durante le piccole sfide quotidiane della vita di tutti i giorni. Scrivere mi aiuta a visualizzare meglio su cosa lavorare, come evitare determinati errori e come migliorare ciò che deve essere migliorato. Ti consiglio di provare a farlo, se non lo hai mai fatto.

Inizia a piccoli passi, scrivendo una, due cose per volta, prenditi il tuo tempo. Una volta fatto ciò, prendi coscienza dei tuoi difetti, uno alla volta; parti dal primo e chiediti: "Posso cambiare questo aspetto? Come posso cambiarlo? E se non posso cambiarlo, come posso fare per accettarlo?" Non pensare però che la soluzione ti capiti fra le mani in un attimo, anche cercare di capire come risolvere un determinato problema può richiedere tempo; questo però non vuol dire che la soluzione non c'è. Vuol dire che ognuno ha i propri tempi, e vanno rispettati.

Come accettare se stessi?

Ci sono delle piccole cose che puoi fare quotidianamente per iniziare questo percorso di cambiamento; ricorda però che tutto deve partire dalla tua volontà di cambiare mentalità, trasformarti in una persona positiva, e ti garantisco che questo non influirà soltanto sull'accettazione di te stessa, ma anche sotto tutti gli aspetti della tua esistenza! Affrontare la vita con un atteggiamento negativo non aiuta a trovare la soluzione al tuo problema; pensare con positività al presente, giorno per giorno, invece sì!

1. Trova un hobby

Trova qualcosa che ti piace fare per riempire i vuoti. Ho notato che, nei miei momenti liberi, la mente girava sempre intorno agli stessi punti: "Non mi piaccio e non piaccio a nessuno", '"Non vedo vie di uscita", "Non riesco ad essere come vorrei". Riempiendo questi vuoti dedicandoti alle tue passioni, aiuterai la mente a distogliere il pensiero dalle cose negative, sostituendole con nuove idee, modi per migliorarti e creatività! Io ho trovato la mia "via di fuga"nel blogging, ma può essere qualsiasi cosa: leggere, disegnare, cantare, cucire, se hai il pollice verde puoi curare e crescere delle piante, quello che vuoi!

2. Via le persone negative!

E' una cosa che si dice sempre, io la ripeto spesso e non mi stancherò mai di ripeterlo! Via le persone portatrici di negatività dalla tua vita. Chiunque esse siano. Ne va della tua salute mentale e fisica. Durante l'ultimo anno ho fatto "pulizie" nel mio cerchio di conoscenze e non solo, anche sui social. Non puoi capire quanto la mia vita sia migliorata! Io voglio solo positività!

3. Focalizzati sui tuoi pregi

Quando sei davanti allo specchio, anche se so benissimo che l'occhio cade sempre sui difetti, sforzati di vedere i tuoi pregi! All'inizio è difficile, ti sembra di non averne, invece ci sono eccome! Prendi cinque minuti del tuo tempo ogni giorno, posizionati allo specchio, e guarda i tuoi pregi, elencali nella tua mente e cerca di capire come valorizzare quegli aspetti di te che ti piacciono tanto. Con il passare del tempo, diventerà sempre più facile. In questo, ti verrà sicuramente in aiuto anche la lista di cui ti ho parlato poco fa.

Se, per quanto ci provi, non riesci proprio a vedere i tuoi pregi e le tue qualità (anche se ti assicuro che sono lì, lo so :-P ), prova a chiedere alle persone che ami, agli amici (quelli veri), i tuoi affetti, di darti una mano con questo punto: chiedigli di elencarti alcune tue qualità. Non c’è nulla di male a chiedere aiuto.

4. Valorizzati

Anche per quanto riguarda l'abbigliamento, cerca di valorizzarti. Identifica la forma del tuo corpo e cerca di individuare quali stili e capi ti donano di più e ti aiutano a mettere in risalto i tuoi pregi. Liberati dagli abiti che non ti entrano più, di quelli che stai conservando da troppo tempo nella speranza di indossarli un giorno e scegli invece le taglie adatte a te. E liberati anche dalle convenzioni dettate dalla moda del momento. Pensa a come indossare i tuoi capi preferiti anche in altri modi, gioca con la fantasia. Non ti nego che ci saranno ancora i giorni "no", ma saranno pochi fra tanti giorni positivi, perciò non devi farti abbattere da questo.

5. La postura

E' importantissimo avere una postura corretta, e ne viene influenzato anche il tuo umore! Probabilmente questa è la parte più difficile da mantenere, io ho ancora qualche difficoltà a tenere la postura corretta: ho la tendenza a guardare a terra e camminare con il capo basso, e ho problemi con le spalle perché, complice lo stare sempre seduta per lavorare al pc, si incurvano in avanti. Tuttavia, giorno dopo giorno riesco a mantenere la postura sempre per più tempo. Busto eretto, spalle dritte e capo in alto quando si cammina, senza indugiare un passo dopo l'altro, e sembrerai una persona più sicura di sé. Quando sei seduta, invece, cerca di non incurvarti in avanti: mantieni la stessa postura di quando sei in piedi, magari aiutandoti con delle sedie dallo schienale adatto.

6. Migliorati

I consigli che ti ho dato fin'ora, non vogliono dire che devi smettere di migliorarti e lasciare andare le cose come stanno. Se non ti piaci c'è un motivo e bisogna fare qualcosa per migliorare la tua condizione. Però, piuttosto che impigrirti e piangerti addosso, prova a trovare una soluzione ai tuoi problemi. Adotta uno stato mentale più positivo, meno ansioso, e vedrai che piano piano, con i giusti tempi, arriverai ai risultati; tuttavia, lo farai con la mente chiara e organizzata, e con un aspetto più fresco e sicuro di te!

Provaci e vedrai che funziona

Questi consigli che ti ho dato sono pienamente frutto della mia esperienza, da persona che non voleva accettare il suo nuovo modo di essere e, vedi, adesso riesco addirittura a fare foto con i rotolini in bella vista e pubblicarle in un articolo! Ti garantisco che funzionano e se riuscirai ad applicarli con costanza al tuo quotidiano, ti aiuteranno a superare i momenti "no".

Ah, un ultimo consiglio: sorridi! Sorridi sempre! Non c'è niente di più bello che vedere una persona sorridere :-) Se sorriderai, anche le persone intorno a te ti sorrideranno.

Se vuoi approfondire l’articolo, puoi leggerlo per intero qui. Grazie mille ancora a Valter per l’ospitalità :-)


Per chi è interessato all'argomento dell'accettazione di sé, segnalo il post "Accetta quello che sei, ama te stesso".


"Essere belli significa essere se stessi. Non hai bisogno di essere accettato dagli altri. Hai bisogno di accettare te stesso."
(Thich Nhat Hanh)

"Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare."
(Carl Rogers)

"Far pace col proprio corpo, accettarlo così com'è, alimentarlo con le proprie cure, nutrirlo bene, mantenerlo in forma con l'esercizio, ammirarne gli aspetti più belli, onorarlo con vestiti comodi, trattarlo come se fosse un tempio, divertirsi in esso come se fosse una sala da ballo, essere in soggezione di fronte ad esso come se fosse un palazzo reale: tutte queste sono espressioni di gentilezza verso se stessi."
(Daphne Rose Kingma)


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Perché siamo spesso insoddisfatti o frustrati?

Perché è così raro sentirci felici o appagati?

Perché così tante persone si lamentano?


Secondo me, l'essere umano moderno (inteso quello occidentale, perché in altre parti del mondo può essere ben diverso) ha a disposizione una grande abbondanza, ma non se ne rende conto e quindi non sa apprezzarla. La maggior parte di noi ha a disposizione (a volte anche gratuitamente):
  • Acqua corrente potabile
  • Cibo a portata di mano (nei negozi e nella propria dispensa)
  • Riscaldamento quando fa freddo
  • Energia elettrica e illuminazione
  • Impianti sanitari e fognature
  • Mezzi di trasporto rapidi e comodi, individuali o pubblici
  • Ampia sicurezza (niente predatori, banditi o pirati)
  • Medicine e assistenza sanitaria
  • Possibilità di comunicare col mondo intero
  • Cultura e informazione su qualsiasi argomento
  • Musica di qualsiasi genere sempre disponibile
  • Intrattenimento a profusione

Stiamo meglio di un Re

In pratica, l'uomo medio moderno vive in modo più abbondante e confortevole di un monarca di qualche secolo fa - per non parlare dell'uomo comune di qualche secolo fa (o di tanti asiatici e africani odierni), che non aveva nulla di quanto elencato sopra. Siamo circondati da tanti piccoli piaceri e comfort, ma li diamo per scontati o non ci facciamo caso. Proviamo a pensare di vivere senza una sola delle risorse elencate sopra... e ci rendiamo subito conto di quanto la nostra vita diverrebbe più povera, scomoda o angosciante.
Quindi la maggior parte di noi occidentali vive immersa in un'abbondanza mai vista prima nella storia dell'umanità... eppure non ce ne accorgiamo e ci sentiamo spesso insoddisfatti e infelici. Io trovo questo un grandissimo spreco. Spesso siamo come una persona che ha a disposizione un enorme supermercato... ma si lamenta perché gli manca il caviale!

Dal negativo al positivo

L'errore che sovente compiamo è di concentrarci sul negativo, sulle mancanze o su quello che non funziona, invece di concentrarci sul positivo, notando l'abbondanza intorno a noi ed assaporandola appieno. Finché una persona si concentra sul negativo, si sentirà sempre frustrata, insoddisfatta e carente, a prescindere dalle condizioni oggettive (come nell'esempio del supermercato).

La gratitudine fa vivere meglio

Una delle chiavi più potenti e semplici per vivere meglio è la gratitudine: la capacità di riconoscere e apprezzare quanto abbiamo di positivo nella nostra vita, e di sentirci fortunati ad averlo, invece di darlo per scontato. Chi manca di gratitudine si sentirà sempre misero - in tutti i sensi.

Il vittimista si lamenta sempre

Un atteggiamento opposto alla gratitudine è quello di chi "fa la vittima". Ovvero chi si lamenta in continuazione, non si assume la responsabilità di sé e ha la pretesa che sia il mondo a renderlo felice:
Chi si comporta in tal modo dimostra una mentalità "infantile", ovvero da bambino incapace di occuparsi di sé, che si aspetta siano gli altri a risolvergli i problemi. Costui ha bisogno di diventare "genitore di se stesso": cioè imparare a prendersi cura di sé e dei propri bisogni - che è una capacità fondamentale dell'essere adulto.

La vita non è fatta per renderci felici

Infine, uno dei motivi fondamentali per cui soffriamo, è che questo è parte naturale e inevitabile dell'esistenza: il mondo non è creato per renderci felici - e il nostro errore è di aspettarci che lo faccia. Una volta che accettiamo la sofferenza come inevitabile (almeno a volte, come insegna il Buddismo), e non vediamo la felicità come un diritto, diventa più facile coltivare la gratitudine e godere delle opportunità positive che la vita ci offre.


Questo post fa parte di una serie di risposte brevi a domande frequenti sull'amore, le relazioni e la vita (clicca sul link per leggere l'elenco di tutte le domande e risposte).


"L'uomo è infelice perché incontentabile."
(Giacomo Leopardi)

"L'ottimista vede opportunità in ogni difficoltà, il pessimista vede difficoltà in ogni opportunità."
(Winston Churchill)

"La gratitudine è il paradiso."
(William Blake)


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Quanto è importante amare se stessi?

Amare se stessi è egoismo?

E' bene amare se stessi?


Amare se stessi è fondamentale.
La maggior parte delle persone infelici, lo sono proprio a causa della mancanza di amore per se stessi - per causa diretta (si sminuiscono o detestano o disprezzano), o indiretta (non amandosi, fanno sì che nemmeno gli altri li amino).
Pensaci: nei Vangeli è scritto "Ama il prossimo tuo come te stesso".
(Matteo 22,39).
E' uno dei messaggi più belli che ci arrivano da Gesù, giusto? Eppure, se non ami te stesso come farai ad amare l'altro? Oppure, se odi o detesti te stesso, allora seguendo l'esortazione evangelica applicherai lo stesso trattamento agli altri.

Amare te stesso fa stare meglio tutti

Quando riesci ad amare e accettare te stesso:
  • Diventi una persona serena che sta bene con se stessa, quindi più incline a trattare bene anche gli altri (posso dare ciò che sono ed ho, ma non posso dare quello che mi manca).
  • Accetti le tue imperfezioni, e di conseguenza ti è più facile accettare anche quelle altrui (accettarsi non implica rassegnarsi: puoi volerti comunque migliorare, ma senza auto-criticismo distruttivo). Sei quindi una persona più tollerante ed accogliente.
  • Ti stimi maggiormente, non ti critichi senza motivo (anche se riconosci i tuoi limiti e difetti), quindi sei più positivo con te stesso ed anche con gli altri (le persone che stanno male con se stesse sono sempre quelle più critiche: riversano sugli altri il loro malessere).
  • Di fronte alla difficoltà rimani solido e fiducioso, perché sai di poter contare sulle tue forze ed hai fiducia di potercela fare. Quindi puoi anche supportare le persone intorno a te, rassicurandole nei momenti di crisi.
  • Essendo più positivo, fiducioso ed accogliente, ispiri negli altri sentimenti simili. Sei quindi più stimato, apprezzato e benvoluto di una persona che non si ama (solitamente negativa e sgradevole).
  • Diventi anche più desiderabile e amato: ci avviciniamo alle persone piacevoli, mentre ci allontaniamo da quelle spiacevoli (questo è uno dei motivi per cui le persone che non si amano cercano sempre l'amore negli altri, ma difficilmente lo trovano).

Amare se stessi non è egoismo

In sintesi, quando ami te stesso sei anche una persona migliore e fai stare meglio gli altri. Amare se stessi non significa essere egoisti, anzi, è il modo migliore di diventare una persona più positiva ed amorevole verso il mondo.
La differenza si vede dai risultati: l'amore autentico è costruttivo, mentre il vero egoismo è distruttivo. Potremmo considerare due tipi di "egoismo":
  • Egoismo costruttivo: quando le mie scelte fanno stare bene sia me che gli altri. In questo caso a volte posso anteporre il mio benessere a quello altrui, ma sempre tenendo in considerazione gli altri e le loro esigenze.
  • Egoismo distruttivo: quando le mie scelte producono danni ad altri, e/o resto indifferente agli altri e alle loro esigenze.

Ideale e reale

Naturalmente l'ideale sarebbe fare scelte che rendano tutti contenti; però in realtà spesso non è possibile fare contenti tutti. Quindi a volte è necessario scegliere quali esigenze privilegiare.
Certe morali (inclusa quella cattolica) ci insegnano che dovremmo sempre anteporre gli altri a noi. Ma questo atteggiamento, alla lunga, genera frustrazione e risentimento (il caso classico è la madre che si sacrifica sempre per tutti, che viene data per scontata e trascurata, sviluppando quindi amarezza e rabbia).

La tua felicità è una tua responsabilità

In realtà ogni adulto ha la responsabilità di occuparsi della propria felicità: per la semplice ragione che, se non lo fa lui, difficilmente lo faranno gli altri. E peraltro, chi mai dovrebbe farlo al posto suo? Chi non si occupa della propria felicità, il più delle volte finisce con l'aspettarsi che siano gli altri a renderlo felice (aspettativa infantile e quasi sempre delusa).

Amare se stessi, e prendersi cura del proprio benessere, non è quindi solo un diritto, ma anche un compito che spetta a ciascuno. Perché solo facendolo divento una persona positiva, soddisfatta e felice, e - quindi - in grado di dare un contributo benefico al mondo (se invece mi trascuro, mi detesto o mi odio, resterò una persona negativa e infelice, che darà al mondo la propria miseria).


Questo post fa parte di una serie di risposte brevi a domande frequenti sull'amore, le relazioni e la vita (clicca sul link per leggere l'elenco di tutte le domande e risposte).


"Amare se stessi è l'inizio di un idillio che dura tutta la vita."
(Oscar Wilde)

"Non c’è amore sufficientemente capace di colmare il vuoto di una persona che non ama se stessa."
(Irene Orce)

"La persona che non è in pace con se stessa, sarà in guerra con il mondo intero."
(Mohandas K. Gandhi)


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Accontentarsi fa vivere meglio

Anche se non ci piace ammetterlo, tutti ci accontentiamo di qualcosa, anche se non è proprio quello che vorremmo. E questo accade in ogni settore della vita:
  • Per esempio, chi non vorrebbe vivere in un'isola tropicale, o in una meravigliosa villa? Ma ovviamente quasi tutti devono accontentarsi di sistemazioni ben più modeste.
  • Oppure, chi non vorrebbe fare un lavoro prestigioso, appagante e ben remunerato? Ma pochi arrivano a farlo.

Accontentarsi in amore

Lo stesso accade nelle relazioni (anche se qui, ancor più che in altri settori, difficilmente lo ammettiamo). Chi da giovane non sogna il Principe azzurro, o la Principessa dorata? E magari qualcuno lo incontra anche - salvo poi col tempo rendersi conto che non è proprio come sembrava all'inizio. Altri non lo incontrano mai, allora col tempo e le esperienze "abbassano" le proprie mire (magari senza nemmeno rendersene conto), e si "accontentano" di un partner abbastanza vicino ai propri desideri (o di quello disponibile al momento).

D'altronde, come si suol dire "Nessuno è perfetto". Quindi come sarebbe possibile trovare un partner "su misura"? Nella realtà l'uomo perfetto oppure la donna ideale non esistono.
Chi si ostina a cercarli non riesce a creare nessuna relazione appagante, perché nessuna persona reale sarà mai all'altezza di quell'ideale. Qualsiasi partner avrà limiti ritenuti inaccettabili e verrà inesorabilmente criticato o scartato. Il non sapersi accontentare porterà quindi ad una continua infelicità relazionale (o a lunghi periodi di solitudine).

“L'uomo perfetto
o la donna ideale
non esistono”

Illusioni e aspettative romantiche

Questa posizione scandalizzerà gli animi più romantici, quelli convinti che tutti meritino il "grande amore" o che nella scelta del partner non dovrebbero esserci compromessi. Purtroppo viviamo anche in una cultura romantica che alimenta questi ideali sentimentali illusori; col risultato di creare aspettative troppo elevate e di conseguenza devastanti delusioni - non ultima quella dell'ideale monogamico che s'infrange di fronte a tradimenti e separazioni.

Le coppie che superano la prova del tempo non sono quelle con una perfetta armonia (che esistono solo nelle opere di fantasia), ma quelle fra persone che hanno imparato ad accettare imperfezioni e limiti del partner - ovvero ad "accontentarsi" della persona che hanno di fianco (e delle sue qualità), rinunciando ad un'ideale di perfezione.

Bugie del marketing

Mi rendo conto di quanto questo argomento sia impopolare, specialmente in una società dove il marketing continua a dirci che "Tutti meritiamo il meglio" (Carrefour), "Perché voi valete" (L'Oreal), "No limits (Nessun limite)" (Sector), che puoi fare tutto, ecc. (di solito per venderci qualcosa).
Ma uno slogan è ben diverso dalla realtà.

Tutti vorremmo il meglio

Il fatto è che tutti desideriamo istintivamente il meglio - ma ben pochi sono capaci di ottenerlo. Tutti vorremmo una vita straordinaria, per un aspetto o per l'altro (amore, lavoro, avventure, passioni...). Ma siccome siamo quasi tutti persone ordinarie, lo straordinario rimane quasi sempre fuori dalla nostra portata.

“Tutti desideriamo il meglio,
ma pochi sono capaci
di ottenerlo”

Volere tutto

Potrebbe sembrare che chi non si accontenta ottiene di più. A volte può funzionare ma, nella maggior parte dei casi, chi non si accontenta mai arriva a ben poco, perché tende a rifiutare le opportunità in attesa di "quella giusta" - che magari non arriva mai. Finisce così col vivere pieno di amarezza e risentimento, rancoroso verso la vita perché ritiene che avrebbe meritato di più, e spesso invaso dai rimpianti.
In poche parole, chi vuole tutto quasi sempre si ritrova con poco o nulla.

Peraltro avere tutto, fare tutto o essere tutto è impossibile, perché semplicemente sovrumano. La rinuncia è parte inevitabile della vita, proprio come l'accontentarsi (quantomeno certe volte).

Abbastanza buono è sufficiente

A mio parere, nella vita è sano e saggio adottare un criterio di "abbastanza buono" ("good enough" in inglese): se ci impegniamo e diamo il nostro meglio e otteniamo un risultato abbastanza buono, anche se non eccelso o inferiore a quello altrui, è già un buon successo e qualcosa di cui essere contenti. Vedi per esempio il concetto di "genitore abbastanza buono" sviluppato dallo psicanalista Donald Winnicott.
Non ha senso svalutare i risultati intermedi o solo discreti:
  • Non sempre è possibile, o ragionevole, o sensato, arrivare al massimo in qualcosa (potrebbe richiedere un impegno sproporzionato ai vantaggi).
  • Raggiungere un risultato di 4, 5 o 6 (su una scala da zero a 10), è comunque molto meglio di zero, non qualcosa da disprezzare o di cui vergognarsi.
Chi sente il bisogno di essere sempre al top, chi non accetta di essere mai mediocre o sconfitto, è di solito una persona nevrotica e complessata, che usa le conquiste per nascondere le sue insicurezze.

Consideriamo pure che l'opposto dell'abbastanza buono è il perfezionismo: un atteggiamento che - come ben sa chi ne soffre - non porta alla perfezione ma all'ossessione e alla nevrosi (perché per costui nulla è mai abbastanza buono).

Accontentarsi troppo

Naturalmente esiste anche un "accontentarsi troppo", ovvero adattarsi eccessivamente e passivamente ad una situazione, rinunciando a tutto quello che davvero vorremmo.
Un caso del genere accade quando ci accontentiamo di qualsiasi partner pur di non restare soli (oppure di qualsiasi amico, qualsiasi lavoro, ecc.). Di solito questo accade quando abbiamo scarsa stima di noi stessi, quindi disperiamo di poter trovare di meglio; oppure abbiamo troppa paura dell'ignoto o dell'incertezza, quindi ci aggrappiamo a situazioni familiari anche se deludenti.

Se è vero che sapersi accontentare aiuta a vivere con più serenità e appagamento (invece di rincorrere sempre un "meglio" che spesso è fuori portata), è anche vero che accontentarsi eccessivamente produce infelicità:
  • Ci induce ad ignorare o rinnegare i nostri desideri autentici
  • Ci porta a fossilizzarci in situazioni disarmoniche e infelici (relazioni sterili e frustranti, lavori deprimenti, ambienti in cui ci sentiamo fuori posto...)
  • Frena la naturale tendenza allo sviluppo e alla crescita personali

Insomma, come per tante cose anche nel sapersi accontentare "la virtù sta nel mezzo". Volere troppo o - al suo opposto - farci andare bene qualsiasi cosa, invece, tendono a diminuire la qualità della nostra vita.

Abbastanza positivo o troppo negativo?

Ma se le soluzioni ideali sono rare, e accontentarsi è spesso necessario, come capire se la situazione in cui ci stiamo accontentando ha senso, vale comunque la pena, oppure stiamo ingannando noi stessi a restare in qualcosa che ci fa male? (pensiamo a un partner violento o che ci maltratta di continuo, a un lavoro che ci induce alla depressione, ad un ambiente familiare che distrugge la nostra autostima).
Posto che ogni situazione ha pro e contro, dobbiamo chiederci se l'essere in quella situazione deriva da una scelta gioiosa oppure da una scelta forzata:
  • Nel primo caso la situazione, pur con aspetti negativi, tenderà a darci nutrimento, soddisfazione, piacere e benessere (anche se non sempre o con episodi di frustrazione).
    Il bilancio sarà in positivo: il bene sarà superiore al male; il "guadagno" superiore ai "costi". Saremo in quella situazione perché, in fondo, ci piace esserci (scelta gioiosa).
  • Nel secondo caso, anche se ne traiamo qualche vantaggio (altrimenti non staremmo lì), gli aspetti negativi saranno in maggioranza: ricaveremo più dolore che piacere, più frustrazione che soddisfazione, più rabbia che pace.
    Il bilancio sarà negativo: più male che bene; molta sofferenza, poca gioia. Probabilmente restiamo lì controvoglia, per paura, disperazione o risentimento (scelta forzata).

Cosa significa accontentarsi

Con "accontentarsi" non intendo dire non avere preferenze, prendere tutto quel che arriva, o non avere ambizioni. E' importante avere desideri, ambizioni e sogni per la propria vita, e impegnarsi per realizzarli: se non puntiamo in alto, non avremo occasione di spiccare il volo.
Ma siccome la realtà non si adatta a noi, a volte è più utile e costruttivo essere noi ad adattarci a lei; specialmente quando abbiamo provato di tutto, o non vediamo alcuna possibilità migliore. "Accontentarsi", per come la vedo io, vuol proprio dire avere questa capacità di adattamento, di adattarsi alle condizioni della vita quando questa non gira come vorremmo; adattarsi in senso evolutivo, cioè saper operare nella maniera più efficace rispetto alle condizioni dell'ambiente.

Quando vorremmo "10" ma la vita ci offre "5", accontentarsi (o adattarsi) significa prendere quel "5" e saperselo godere; mentre chi pretende o rifiuta orgoglioso, con tutta probabilità si ritroverà con zero.

“La realtà non si adatta a noi,
ma noi possiamo
adattarci a lei”

Chi s'accontenta gode

Accontentarsi non significa per forza vivere male, frustrati o insoddisfatti. Usando le proprie capacità creative e di adattamento, è possibile accontentarsi (quando non si riesca a fare di meglio) e raggiungere comunque risultati appaganti. Di seguito alcuni esempi:
In pratica, il fatto che spesso non riusciamo ad avere esattamente quello che vogliamo non esclude di poter trovare delle alternative - magari non ideali ma comunque interessanti. Poiché praticamente ogni situazione presenta aspetti positivi e negativi, per vivere bene è importante saper apprezzare la parte positiva, e minimizzare quella negativa (per esempio limitando gli aspetti irritanti o cercando altrove quel che manca).

Mettere assieme i pezzi

Secondo questo approccio possiamo vedere la nostra vita come un puzzle: ogni cosa che desideriamo, o per noi importante, è un pezzo del nostro puzzle, e più risulta completo meglio ci sentiamo. Invece di vedere la felicità come un obiettivo unico, magari legato ad una singola condizione ("Sarò felice quando avrò / sarò / farò..."), il modello del puzzle ci mostra come la felicità personale sia un "mosaico" di tanti elementi che contribuiscono alla nostra realizzazione ed appagamento.
Diventa così più facile coltivare i singoli elementi, magari in ambiti diversi. In questo modello "accontentarsi" può voler dire trovare una soddisfazione da una fonte inaspettata o diversa da quella che vorremmo:
  • Se nel mio lavoro non è possibile utilizzare la mia creatività, la posso applicare in altri ambiti.
  • Se voglio condividere una passione col mio miglior amico, ma a lui non piace, posso trovare un'altra persona a cui interessi.
A volte restiamo nell'infelicità perché ci ostiniamo a voler trovare qualcosa in una certa situazione, dove però non è possibile, invece di cercare altrove.

“La nostra vita è come un puzzle:
più risulta completo,
meglio ci sentiamo”

Accontentarsi nelle relazioni

Questo discorso è particolarmente vero nelle relazioni. Poiché siamo tutti imperfetti e limitati, anche le nostre relazioni lo saranno:
  • qualsiasi partner ci offrirà aspetti positivi ed altri meno;
  • qualsiasi persona potrà contribuire alcuni pezzi al nostro puzzle, ma non altri.
L'ideale romantico dice che il partner dovrebbe darci tutto e non presentare aspetti negativi, ma questo è umanamente impossibile. In questo ambito, "accontentarsi" di un partner significa che invece di pretendere tutto ci adattiamo alla situazione in modo elastico:
  • Da una parte apprezziamo e godiamo di tutti i "doni" del partner, di tutti gli aspetti positivi che ci arricchiscono l'esistenza, e gliene siamo grati.
  • Dall'altra accettiamo i suoi limiti ed imperfezioni, però senza necessariamente subirli: se un comportamento ci ferisce troviamo un accordo per cui venga evitato o ridotto; se abbiamo un bisogno che l'altro non può soddisfare, possiamo cercare altrove quel "pezzo" mancante:
    • Se tua moglie non sa fare il risotto che ti piace tanto, puoi imparare a cucinarlo tu.
    • Se tuo marito odia i pomeriggi di shopping, puoi passarli con le amiche.
    • Se il tuo compagno è taciturno (ma possiede altre qualità), trova altre persone con cui fare lunghe chiacchierate.
In questi casi "accontentarsi" non vuol dire rinunciare, ma trovare una soluzione creativa - anche se magari non ideale.

Trovare alternative in altre persone

Anche in ambito affettivo o sessuale, se il partner non soddisfa un nostro bisogno importante o lo fa solo in parte, possiamo considerare la possibilità di cercare in altri quello che non troviamo nella coppia (ovviamente è un'ipotesi di cui discutere insieme per trovare una soluzione che funzioni per entrambi).
Ad alcuni questo potrà sembrare un "volere tutto". Ma può anche essere visto come una soluzione di compromesso (quindi un accontentarsi), invece di soluzioni "estreme" come forzare il partner a cambiare (cosa impossibile) oppure lasciarlo perché carente (tanto a qualsiasi partner mancherebbe comunque qualcosa). Anche sopportare stoicamente una grave mancanza non è una vera soluzione, perchè col tempo porta inevitabilmente all'accumulo di malessere e risentimenti, che avvelenano la relazione fino ad ucciderla.

Naturalmente questa possibilità si scontra con l'ideale romantico della coppia chiusa, in cui il partner dev'essere l'unica fonte di soddisfazione affettiva, erotica ed esistenziale (è l'altro che definisce il mio valore). Ma pretendere che il partner soddisfi ogni mio bisogno è un atteggiamento infantile; è una forma di delegare la propria felicità ("Occupatene tu"), invece di prendermene la responsabilità come fa un adulto.
Nel modello del puzzle, è una mia responsabilità trovare i vari pezzi che arricchiscono la mia vita; nessuno ha il dovere di completare il mio puzzle (anche se ovviamente può contribuirvi, se vuole).


"Se nessuno attorno a voi è all'altezza delle vostre aspettative, forse esse sono troppo alte."
(Bill Lemley)


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Pensare in positivo ti migliora la vita

Uno dei fattori che più limitano la nostra felicità è il trascurare (o dare per scontati) tutti gli elementi positivi nella nostra vita: non ci facciamo caso o ce ne dimentichiamo, e così non li apprezziamo. Invece molto spesso ci concentriamo sugli eventi negativi oppure su quello che ci manca.
Se ascoltiamo le lamentele delle persone intorno a noi, possiamo notare come quasi sempre si focalizzino su quello che non funziona o che non c'è, ma raramente si rammentano di quello che hanno o che funziona (sia per quanto riguarda la loro vita personale, sia per quanto riguarda il mondo in generale). Infatti molti si lamentano che "Il mondo va sempre peggio", mentre in realtà il mondo continua a migliorare - ma essendo concentrati sugli aspetti negativi, loro non se ne rendono conto.

Gli effetti di pensare in negativo o in positivo

Per quanto pensare "in negativo" ci venga istintivo, è però controproducente per il nostro benessere. Infatti avere la mente occupata da pensieri negativi:
  • peggiora l'umore;
  • ci rende insoddisfatti, lamentosi e sfiduciati (quindi anche più sgradevoli alle altre persone);
  • aumenta il livello di ansia e tensione;
  • indebolisce il sistema immunitario, diminuisce l'energia fisica e psichica, ci predispone ad ammalarci;
  • ci rende pessimisti, e quindi meno inclini ad agire, osare, impegnarci e creare.

Al contrario, concentrarci sugli eventi positivi e su pensieri piacevoli porta diversi benefici:
  • migliora l'umore;
  • ci sentiamo più soddisfatti, sereni, in pace;
  • la salute e il livello di energia migliorano;
  • siamo più fiduciosi verso noi stessi e la vita, quindi tendiamo ad agire, prendere iniziative, buttarci e fare quello che desideriamo.

“Avere la mente occupata
da pensieri negativi
ci rende insoddisfatti, lamentosi e sfiduciati”

Ecologia della mente

Si può pensare a questo equilibrio tra pensieri negativi o positivi come ad una ecologia della mente: proprio come viviamo meglio se l'aria e l'acqua che assorbiamo sono privi di elementi tossici, così la nostra mente mantiene uno stato efficace e funziona meglio se il livello di pensieri negativi è basso.

E se nella mia vita manca il positivo?

Alcuni potrebbero pensare di avere nella propria vita pochi elementi positivi a cui porre attenzione... Ma io scommetto che la maggior parte di voi è invece più "fortunata" di quanto pensa, e che le loro vite sono piene di cose preziose e piacevoli - a cui però non fanno caso.
Per scoprire tutto quello che di buono ci circonda, è necessario smettere di dare tutto per scontato, e concentrare la nostra attenzione su ogni cosa utile, piacevole o positiva che abbiamo a disposizione. In breve tempo ci renderemo conto di avere un'infinità di motivi per essere grati.

La lista della gratitudine

Un modo semplice per apprezzare tutti questi elementi positivi nella propria vita, è compilare una lista con ogni cosa buona ed utile che abbiamo: a questo argomento ho dedicato il post "La tua vita è migliore di quanto credi - La lista della gratitudine".

Specialmente quando le cose mi vanno male o mi sento scoraggiato, notare tutti questi elementi utili, benefici e preziosi mi aiuta a riconoscere che la mia vita va meglio di come sembra. E' dimostrato che provare gratitudine migliora la qualità della vita: come scrivo nella serie di post dedicati a diventare più felici, la gratitudine è la scorciatoia per la felicità.

I pensieri sono molto concreti

I pensieri possono sembrare cose astratte, poca cosa rispetto ai fatti. Ma invece essi influenzano moltissimo come viviamo, anche più dei fatti stessi. Pensiamo per esempio a due diverse abitazioni:
  • Paolo possiede un appartamentino di 60 mq, che ha scelto e sistemato con cura, di cui apprezza ogni giorno il comfort e il calore.
  • Nicola invece ha una casa di 200 mq, lussuosa e arredata finemente, ma pensa continuamente che vorrebbe una villa a Montecarlo, come hanno alcuni suoi conoscenti.
A livello di fatti appare ovvio che Nicola sta meglio di Paolo. Ma il modo in cui pensano fa sì che Paolo sia soddisfatto e in pace, mentre Nicola sia frustrato e non si goda quello che ha. Quindi, la felicità di queste persone viene determinata molto più dai loro pensieri che dai fatti concreti.

“I pensieri influenzano
come viviamo
anche più dei fatti stessi”

Perché tendiamo a notare il negativo e ignorare il positivo

Ma se "pensare in positivo" è così benefico, come mai tendiamo a non farlo? Per diverse ragioni.

La mente privilegia il negativo

La prima ragione è che la mente umana tende istintivamente a dare più importanza agli eventi negativi che a quelli positivi:
  • Le notizie negative attirano maggiormente la nostra attenzione (ed è per quello che i media, per aumentare l'audience, puntano ad evidenziare gli eventi drammatici).
  • Non facciamo caso al semaforo verde o alla coda veloce, ma siamo subito infastiditi dal semaforo rosso o dalla coda lenta.
  • La perdita oppure la vincita di 100 euro non ci toccano allo stesso modo: perderli ci procura decisamente più sofferenza del piacere di riceverli.
Questa diversità di reazione ha una spiegazione evoluzionistica: reagire immediatamente ad ogni possibile pericolo è utile per sopravvivere (o almeno lo era quando vivevamo in uno stato selvaggio), mentre godere dei piaceri ha una minore priorità.

Questa maggiore importanza che diamo istintivamente al negativo ci porta a vedere la realtà (sia sul piano personale che collettivo) peggio di come realmente sia. Infatti a molti sembra che la povertà o i crimini aumentino, mentre in generale essi sono diminuiti negli ultimi decenni.
Anche il "peso" dei pensieri negativi nella nostra mente è maggiore: alcuni hanno calcolato che per controbilanciare l'effetto di un pensiero negativo, ne occorrono almeno tre positivi.

Essere negativi ci viene insegnato

Un altro motivo per cui ci concentriamo sul negativo è per via dell'educazione. A molti viene insegnato che bisogna essere seri, preoccupati, che è giusto star male per i problemi del mondo, altrimenti siamo persone superficiali.
Altre volte lo facciamo per imitazione, perché lo fanno le persone intorno a noi, e temiamo che fare diversamente ci attirerebbe sospetto e disapprovazione. Se qualcuno è sempre lieto e di buon umore, molti lo giudicano male: quante volte abbiamo sentito dire "Cosa c'è da ridere?!?" o "Il riso abbonda sulla bocca degli stolti".

La positività è una scelta cosciente

Quindi è necessario uno sforzo intenzionale, consapevole, per guidare la propria mente verso il positivo e distoglierla dal negativo - e così elevare il proprio stato d'animo e visione della vita. Nonché per apprezzare quello che siamo ed abbiamo.
Come una barca lasciata a se stessa va alla deriva, così la mente non disciplinata tende verso i pensieri negativi.

“La mente umana tende
a dare più importanza
agli eventi negativi”

Il negativo esiste, ma fissarlo non ci aiuta

Alcuni diranno "Ma gli eventi negativi esistono, il male esiste!". Certamente sì (anche se "bene" o "male" sono concetti relativi). Però concentrarsi su di essi non produce alcun beneficio, anzi: preoccuparsi non ha mai risolto nulla (semmai quel che serve è impegnarsi per migliorare, che è ben diverso dal pensare o lamentarsi). L'errore di molte persone è credere che il semplice preoccuparsi o lamentarsi produca risultati: purtroppo non è affatto così.

Concentrarsi sulle ingiustizie non serve

Si può pensare che sia legittimo lamentarsi per eventi ingiusti o che dovrebbero essere migliori. Forse, ma è comunque controproducente. Perché si rischia di cadere nella trappola del "Sarò felice quando...", rimandando lo stare bene e l'apprezzamento al futuro: e siccome è un futuro utopico (la perfezione non è di questo mondo, e la vita non è fatta per renderci felici), non ci si arriva mai.

Incolpare i genitori non serve

Molte persone si lamentano delle proprie esperienze infantili, e/o accusano i genitori perché non li hanno amati abbastanza o nel modo giusto, provocando loro tutta una serie di problemi. A questo proposito, qualcuno ha osservato che se i genitori si sono presi cura dei figli, li hanno nutriti e protetti - invece di "buttarli nel cassonetto" - gli è già andata bene; l'osservazione è chiaramente provocatoria, ma sottolinea come spesso ignoriamo quello che ci è andato bene, per concentrarci su quello che abbiamo vissuto come affronto o ingiustizia.

La vita è come un prato di campagna

Possiamo vedere la vita come fosse un prato di campagna: in esso ci sarà abbondanza sia di fiori che di sterco lasciato dagli animali che vi pascolano. Sta a ciascuno scegliere se concentrarsi sui fiori oppure sullo sterco. Allo stesso modo, la vita di ognuno presenta aspetti positivi e negativi, e il modo in cui ci sentiamo dipende in buona parte se poniamo la nostra attenzione sui "fiori" o sullo "sterco".
Concentrarsi sui fiori non vuol dire far finta che lo sterco non esista; sappiamo benissimo che c'è, ma scegliamo di non farci troppo caso (a meno che ci sia utile) e di godere invece di tutti quei fiori.

Essere positivi non significa ignorare il negativo

Sottolineo che "pensare in positivo" non significa negare la realtà (ignorando gli eventi negativi) o rinunciare a migliorarla. Significa invece dare ampio spazio agli eventi positivi, per apprezzarli e riconoscere quanto siamo "fortunati "; ma questo non esclude il considerare gli eventi negativi, quando sia necessario o utile, e cercare di migliorarli o eliminarli.

Il problema è che di solito ci concentriamo sul negativo solo per lamentarci o attribuire colpe, senza però produrre alcun risultato. Questo tipo di atteggiamento vittimistico può farci sentire temporaneamente meglio, ma in realtà non ci porta alcun vantaggio (se non un breve sollievo).

“Ci concentriamo sul negativo
solo per lamentarci o attribuire colpe,
non per cambiare”

Non c'è nessun "segreto"

Quando parlo di "pensare in positivo", non parlo dell'eliminare completamente i pensieri negativi dalla mente (oltre che impossibile, sarebbe pure pericoloso).
Né sostengo quella visione ingenua e un po' infantile (chiamata anche "legge di attrazione") per cui basterebbero i pensieri positivi per creare tutto quello che vogliamo (resa famosa da libri come "The Secret - Il Segreto", pagina Wikipedia, e da vari "guru" più o meno truffaldini).
Pensare in positivo (ed essere ottimisti) sicuramente aiuta nel realizzare i propri desideri, ma di certo non basta: per riuscire occorrono anche tempo, impegno, capacità, studio, perseveranza... ed anche un po' di fortuna. Niente si crea dal nulla.

Ignorare il negativo, apprezzare il positivo

Riassumendo, lamentarci del negativo ci viene naturale, apprezzare il positivo molto meno; però il primo atteggiamento peggiora la nostra vita, mentre il secondo la migliora. Vale quindi la pena impegnarsi per tenere i pensieri negativi ai margini della nostra mente (o farlo solo quando vogliamo e possiamo cambiare una situazione), e invece notare e apprezzare tutti i "doni" che arricchiscono la nostra vita.

"La gente si preoccupa troppo delle cose negative, di ciò che non va...
Perché non provare a vedere le cose positive e, con un semplice tocco, a farle fiorire?"

(Thich Nhat Hanh)

"Per attrarre ancora di più le benedizioni che la vita ha da offrire, devi sinceramente apprezzare quelle che già hai."
(Ralph Marston)

"Per quanto ci sia di cui lamentarsi, c'è assai di più di cui essere grati."
(Larry O'Connor)


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Accetta quello che sei, ama te stesso

Fin dalla nascita, a quasi tutti viene insegnato che non vanno bene come sono, che devono nascondere alcune parti di sé, che non possono essere autentici, ma devono adattarsi alle regole altrui. In parte questo è necessario per educare il bambino al vivere in società, ma per molti il risultato finale è il vivere in conflitto con se stessi:
  • sentendosi sbagliati;
  • giudicandosi in continuazione;
  • reprimendosi anche dove non necessario;
  • disprezzando le proprie imperfezioni;
  • sentendosi spesso inadeguati.
Questa è una ricetta sicura per una vita tormentata: non possiamo sentirci felici vivendo in conflitto con la nostra natura. Per questo, la via verso la felicità necessita che ci accettiamo per come siamo, inclusi difetti, mancanze e imperfezioni (sia morali che fisiche). L'idea distruttiva che ci mettono in testa è che "Saremo ok (o degni d'amore) solo quando non avremo difetti", ma questo è impossibile per qualsiasi essere umano. Quindi, finché crediamo a quell'idea, ci sentiremo sempre sbagliati - e/o non degni di essere amati.
Se persone intorno a voi alimentano l'idea distruttiva con critiche e giudizi continui, considerate la possibilità di allontanarle: è difficile guarire da questa attitudine, se l'ambiente intorno a voi la rinforza continuamente.

“Non accettare se stessi
è una ricetta sicura
per una vita tormentata”

La paura di non essere normale

Un motivo per cui fatichiamo ad accettarci, è perché pensiamo di essere sbagliati, diversi, "strani". Vediamo gli altri come "normali", e pensiamo che loro non abbiano le difficoltà che ci affliggono, le paure che ci angosciano, i difetti che ci disturbano, o i nostri gusti sessuali fuori dalla norma. Insomma, temiamo di non essere normali (qualsiasi cosa voglia dire).
Ma la verità è che nessuno è normale: tutti hanno difficoltà, paure e difetti simili ai nostri (chi più, chi meno), ma fanno di tutto per nasconderlo. La normalità non esiste realmente, è un valore soggettivo e arbitrario; e il concetto di normalità viene spesso spinto da chi cerca di manipolarci (quindi diffidate da chi ne fa una bandiera, come amici o partner giudicanti, genitori rigidi, personaggi politici o religiosi).

Vai bene come sei

Per uscire da quella trappola distruttiva, bisogna coltivare l'idea risanatrice per cui sono come sono, e va bene così (o un concetto equivalente che funziona per voi).
  • Questo non vuol dire negare i miei difetti, né giustificare i miei errori, ma convivere serenamente con la mia imperfetta umanità.
  • Non vuol dire nemmeno rinunciare a migliorare; posso sempre scegliere di migliorare, ma perché lo desidero, non perché mi sento sbagliato (e questo approccio è sicuramente più efficace).
Ogni volta che mi accorgo di giudicarmi, svalutarmi o disprezzarmi, posso scegliere consapevolmente di accantonare quei pensieri tossici, e ripetere a me stesso l'idea guaritrice di cui sopra. All'inizio è probabile che la vostra mente rifiuti l'idea nuova, perché abituata a quella autodistruttiva, e vi ritroviate a pensare cose come "Come posso andare bene?!? Sono così scarso / incapace / brutto / inutile / fallito..."; non importa, continuate a coltivare l'idea positiva, e pian piano questa prenderà spazio nella vostra mente.

“Sei come sei
e va bene così”

Basta che fai del tuo meglio

Un altro modo per coltivare l'accettazione, è decidere che per essere delle persone valide, è sufficiente la buona volontà. Non è necessario fare tutto, non sbagliare mai, o essere impeccabili: basta provare a fare del vostro meglio. Se siete ossessionati dalla convinzione che non siete abbastanza, o che dovreste fare molto di più, considerate questi punti:
  • Si può raggiungere la perfezione?
    Ovviamente no, non è di questo mondo, e la frase proverbiale "Nessuno è perfetto" ce lo ricorda.
  • Si può evitare di sbagliare?
    Certamente no, visto che persino individui straordinari come Aristotele, Newton ed Einstein hanno commesso errori clamorosi.
  • Si può arrivare all'eccellenza?
    In teoria sì, ma richiede moltissimo tempo e impegno (vedi la "regola delle 10.000 ore"), per cui è alla portata di pochi.
In realtà, la maggior parte di noi è destinata ad essere una persona "media", ed in questo non c'è nulla di male. L'idea che "se non arrivi in cima non sei nessuno", è una bugia che ci rende nevrotici e mai soddisfatti.

Puoi esserti amico

Poiché l'idea di accettarsi ed amarsi per come si è, risulta abbastanza estranea alla nostra cultura, spesso fatichiamo a immaginare cosa voglia dire volere bene a se stessi. Un modello utile è quello di trattare me stesso come se fossi il mio migliore amico:
  • Se il mio amico commette un errore, glielo dico con calma, senza aggredirlo
  • Sono paziente con i suoi limiti, e perdono le sue piccole mancanze
  • Lo incoraggio, lo sostengo e provo gioia per ogni suo successo (anche se piccolo)
  • Noto e apprezzo tutte le sue qualità
Comportarsi in tal modo con se stessi può sembrare sentimentale, ma quanto ci piacerebbe che qualcuno ci trattasse così? E perché quel qualcuno non potresti essere tu stesso? Ricordati che sei l'unica persona con cui passerai ogni giorno della tua vita: gli altri vanno e vengono, ma tu sarai sempre con te. Vale quindi la pena imparare a far sì che la tua stessa compagnia sia una gioia, e non un tormento.

“Tratta te stesso
come se fossi
il tuo migliore amico”

Voler bene a te stesso

Nel post in cui spiego cosa vuol dire amare (secondo me), ho elencato diversi modi in cui possiamo amare qualcuno. Questi modi sono validi anche verso se stessi; sono doni con cui diamo a noi stessi quell'amore che tanto desideriamo:
  • Ascolto (attenzione focalizzata sul tuo sentire; ascoltare le tue emozioni - anche negative; ascoltare il tuo dolore, invece di negarlo o respingerlo)
  • Attenzione (concentrarti su te stesso; accantonare il senso del dovere, metterti al centro)
  • Accoglienza (nel bene e nel male, nella gioia e nella tristezza, restare aperto e positivo verso quello che sei)
  • Assenza di giudizio (giudicare separa, allontana e porta a chiuderti)
  • Accettazione (accettarti per come sei, senza critiche, senza volerti cambiare)
  • Apprezzamento (notare e apprezzare tutte le tue qualità; celebrare la tua unicità)
  • Comprensione (cercare di capire chi sei e come sei, riconoscendo che ogni tua azione ha un suo motivo)
  • Compassione (accogliere la tua sofferenza; perdonare le tue mancanze)
  • Gentilezza (parlare ed agire verso te stesso con garbo, attenzione e delicatezza)
  • Rispetto (non aggredirti o disprezzarti, non pretendere troppo da te stesso, non ignorarti né trascurarti, non darti per scontato)
  • Avere a cuore la tua felicità (e agire per raggiungerla)
  • Prenderti cura (dei tuoi bisogni, dei tuoi problemi, della tua sofferenza)
  • Dare spazio a te stesso per esprimerti liberamente

"Non concepisco più l'amor proprio come forma di vanità, ma come un riconoscimento: sono il mio miglior amico, l'alleato più fedele."
(Marc Alain, "Essere Se Stessi, ogni giorno")

Un disperato bisogno d'amore

Chi non si accetta, spesso prova un bisogno ossessivo di sentirsi amato, oppure brama un amore totale, incondizionato. In pratica, il bisogno d'amore che non trova risposta all'interno di sé, viene completamente proiettato all'esterno e riversato sugli altri; queste persone appaiono spesso come "mendicanti di amore" (atteggiamento che porta gli altri ad allontanarsi).
Più ci detestiamo o ci disprezziamo, più tendiamo a sognare qualcuno che possa apprezzarci ed amarci - incluse quelle parti di noi che non sopportiamo. Il guaio è che, siccome gli altri tendono a "farci da specchio", quando non piaciamo a noi stessi, tendiamo a non piacere anche agli altri. Ma anche se incontriamo qualcuno che davvero ci apprezza, tenderemo a non crederci o a sabotare la relazione:
  • perché in fondo non crediamo di meritarlo;
  • o perché ci vediamo così difettosi, che se qualcuno ci vuole deve avere qualcosa che non va.
Quindi, paradossalmente, chi non si ama spesso respinge (o non riconosce) l'amore che gli viene offerto, pur desiderandolo. Di nuovo, iniziare a volersi bene è un ingrediente importante per arrivare ad essere amati.

L'amore che guarisce è prima di tutto il tuo

Quando abbiamo sofferenze, tensioni e conflitti interiori, l'accettazione di sé è probabilmente la forza guaritrice più grande. Quando ci dicono che "L'amore guarisce" o che "Tutto ciò di cui hai bisogno è amore" (titolo di una famosa canzone dei Beatles), è molto vero - ma dimenticano che l'amore più importante è quello per se stessi. Invece di insegnarci ad amare noi stessi, veniamo educati a dipendere dall'amore altrui.

Ma l'amore "esterno" non è quello più potente. Infatti quando sei depresso o sei convinto di essere "sbagliato", se hai vicino qualcuno che ti ama di certo può aiutare e farti sentire meglio; però non ti guarisce. Sei comunque depresso e continui a sentirti sbagliato (chi è da solo può credere che una persona che lo ami lo "salverà" da queste sofferenze, ma chi è in coppia sa che non è sufficiente).
Invece quando arrivi ad amarti, questo può veramente guarire la tua sofferenza: smetti di giudicarti, di criticarti, di condannarti, di vederti inadeguato, di combattere la tua natura. Pur nella tua imperfezione, arrivi a provare una tenerezza, un calore e un apprezzamento per te stesso stupefacenti. Finalmente "ti senti a casa" - dove tutto è in pace e va bene.

"Al di là di una sana disciplina,
sii gentile con te stesso.
Tu sei figlio dell’universo,
non meno degli alberi e delle stelle;
tu hai il diritto di essere qui."

(Max Ehrmann, dal "Desiderata")

Prova a perdonarti

Un altro elemento necessario per vivere bene con se stessi, è la capacità di perdonarsi. Quasi tutti conviviamo con sensi di colpa per qualche mancanza o errore compiuto. Ma dobbiamo ricordare che commettere errori (anche gravi) è umano: anche quando sbagli, non vuol dire che sei una cattiva persona, ma solo che sei umano e imperfetto - come tutti.
Non sempre possiamo evitare di sbagliare; quello che possiamo fare è imparare dagli errori fatti, e cercare di non ripeterli. Inoltre, quando ci sentiamo in colpa per qualche mancanza, dovremmo anche ricordarci tutte le volte in cui abbiamo fatto la cosa giusta, o compiuto azioni positive; probabilmente queste ultime sono molte di più dei nostri sbagli.
E' anche importante saper chiedere scusa: non possiamo cambiare ciò che è stato, ma possiamo "sanare" il presente con il pentimento e la sincera espressione di scuse.

“Anche quando sbagli,
non vuol dire che sei
una cattiva persona”

Accettazione non è rassegnazione

Poiché stiamo parlando di migliorare la propria vita, ovviamente accettazione non vuol dire stasi o passività. Tutti vorremmo essere migliori, e magari migliorare anche il mondo, quindi l'accettazione di cui parlo è una forma di pace e amore con se stessi, da cui partire per coltivare la propria evoluzione. Sembra un paradosso, ma in realtà più mi accetto per quel che sono, e più divento capace di sviluppare le mie qualità e diventare la persona migliore che potrei essere!

Mi rendo conto che il conflitto con se stessi è un problema pesante, e i miei suggerimenti non possono fare miracoli. Però diventare consapevoli di questo conflitto, e iniziare a cambiare questo tipo di mentalità, è già un buon punto di partenza. Va detto che, per chi vive in modo particolarmente grave questo conflitto interno, può essere necessario un aiuto esterno (nella forma di terapie psicologiche o counseling).


L'amore per se stessi non è un argomento molto diffuso, specialmente nella nostra lingua. Per chi voglia approfondire, segnalo il libro "Amati! Amare se stessi è la vera rivoluzione" di Fabio Marchesi.

"Essere belli significa essere se stessi. Non hai bisogno di essere accettato dagli altri. Hai bisogno di accettare te stesso."
(Thich Nhat Hanh)

"Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare."
(Carl Rogers)

"Far pace col proprio corpo, accettarlo così com'è, alimentarlo con le proprie cure, nutrirlo bene, mantenerlo in forma con l'esercizio, ammirarne gli aspetti più belli, onorarlo con vestiti comodi, trattarlo come se fosse un tempio, divertirsi in esso come se fosse una sala da ballo, essere in soggezione di fronte ad esso come se fosse un palazzo reale: tutte queste sono espressioni di gentilezza verso se stessi."
(Daphne Rose Kingma)


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