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La tua vita è migliore di quanto credi [Lista della gratitudine]

Uno dei fattori che più limitano la nostra felicità è il trascurare (o dare per scontati) tutti gli elementi positivi nella nostra vita: non ci facciamo caso o ce ne dimentichiamo, e così non li apprezziamo. Invece molto spesso ci concentriamo sugli eventi negativi oppure su quello che ci manca.
Per quanto pensare "in negativo" ci venga istintivo, è però controproducente per il nostro benessere. Al contrario, concentrarci sugli eventi positivi e su pensieri piacevoli porta diversi benefici. Per approfondire gli effetti di queste due modalità, vedi il post "Pensare in positivo ti migliora la vita".

E se nella mia vita manca il positivo?

Alcuni potrebbero pensare di avere nella propria vita pochi elementi positivi a cui porre attenzione... Ma io scommetto che la maggior parte di voi è invece più "fortunata" di quanto pensa, e che le loro vite sono piene di cose preziose e piacevoli - a cui però non fanno caso.
Per scoprire tutto quello che di buono ci circonda, è necessario smettere di dare tutto per scontato, e concentrare la nostra attenzione su ogni cosa utile, piacevole o positiva che abbiamo a disposizione. In breve tempo ci renderemo conto di avere un'infinità di motivi per essere grati.

“La maggior parte di voi
è probabilmente più 'fortunata' di quanto pensa”


La lista della gratitudine

Un modo semplice per apprezzare tutti questi elementi positivi nella propria vita, è compilare quella che chiamo la "Lista della gratitudine" (in inglese il concetto viene chiamato "Count your blessings" - "Elenca le tue benedizioni").
Compilare questo lista può essere utile specialmente quando ci sentiamo abbattuti e sfiduciati, quando ci sembra che la vita ci tratti male, o che il mondo ce l'abbia con noi.

Prendiamoci un po' di tempo e scriviamo su un foglio tutto ciò che abbiamo nella nostra vita e contribuisce a farci stare bene, e che ci mancherebbe se non fosse presente. Poiché la tendenza a dare questi elementi per scontati è molto forte, qui sotto riporto un elenco di esempio:

Il fisico

  • Sono vivo.
  • Sono in salute (anche solo in parte).
  • Ho tutti e quattro gli arti funzionanti:
    braccia e mani per lavorare, abbracciare, creare e difendermi;
    gambe e piedi per camminare, saltare, correre e danzare.
  • I miei cinque sensi funzionano: posso vedere e scoprire, ascoltare parole e musica, assaporare cibi deliziosi, annusare i fiori, toccare le persone che amo.

La mente

  • Ho intelligenza: posso comprendere il mondo, elaborare idee e progetti, e imparare tutto quello che mi interessa.
  • Ho conoscenze utili: so leggere e scrivere, far di conto, so fare varie cose che io ed altri apprezzano.
  • So comunicare: posso capire gli altri e farmi capire, posso collaborare, e chiedere aiuto quando mi serve.

La casa

  • Ho una casa che mi ripara da freddo e caldo, pioggia e vento (anche se vivo in affitto).
  • Ho il riscaldamento, l'acqua corrente per bere e lavarmi, i servizi igienici, l'energia elettrica per la luce e numerosi apparecchi.
  • Ho un frigo e una dispensa con abbondante cibo.
  • Ho il telefono, computer e Internet per comunicare col resto del mondo.
  • Ho radio e TV che possono divertirmi e informarmi.
  • Ho abbondanza di abiti e calzature per tutte le stagioni.
  • Ho un letto comodo e accogliente.

Paese e ambiente

  • Vivo in un Paese senza guerre, circondato da altri Paesi che non muovono guerra al mio.
  • Vivo in una nazione democratica, senza dittatura, polizie segrete e torture.
  • Ho a disposizione una serie di servizi (gratuiti o a costi accessibili), come istruzione pubblica, assistenza sanitaria, trasporti pubblici, forze dell'ordine.

Varie

  • Ho a disposizione libertà, opportunità e scelte pressoché infinite (in misura che in passato sarebbe stata impensabile).
  • Ho a disposizione tutta la conoscenza e la cultura umana (in gran parte gratuitamente).
  • Posso ascoltare in ogni momento tutta la musica che mi piace.
  • Ho nella mia vita persone che mi vogliono bene (e probabilmente anche tu, in qualche modo: che siano partner, amici, genitori).
  • Ho un'automobile che può portarmi dove voglio, e una bicicletta per spostarmi a costo zero.


Sembra poco, ma se non ci fosse...

Se quanto elencato sopra ti sembra banale o poco significativo, prova a considerare ogni elemento e immagina come vivresti senza di esso:
  • Senza l'acqua corrente: fare chilometri per attingere l'acqua da un pozzo, lavarsi in una tinozza.
  • Senza servizi igienici: costretto a fare i propri bisogni in una latrina in cortile, magari con la pioggia o il gelo.
  • Senza energia elettrica: al buio, al freddo, senza elettrodomestici, TV, computer.
  • Senza la salute o l'assistenza sanitaria: dolorante, infermo, dipendente dagli altri, magari in fin di vita.

“Prova a considerare come vivresti
senza acqua corrente”

Per migliaia di anni, per buona parte della civiltà umana, ogni persona:
  • Poteva essere coinvolta in una guerra in qualsiasi momento
  • Era alla mercé di banditi e malfattori
  • Era soggetta a piaghe ricorrenti quali carestie ed epidemie
  • Se si ammalava poteva contare solo sui metodi rozzi di cerusici o stregoni
  • Doveva vivere secondo i dettami della Chiesa e dei nobili...
Il fatto che oggi tutto questo non sia più così (almeno per chi vive in un Paese occidentale come il nostro), mi sembra un balzo epocale e di cui essere grati ogni giorno. Il cittadino medio odierno ha più possibilità, ed uno stile di vita più ricco e confortevole, di un re del passato.

Alimentare la gratitudine

Specialmente quando le cose mi vanno male o mi sento scoraggiato, notare tutti questi elementi utili, benefici e preziosi mi aiuta a riconoscere che la mia vita va meglio di come sembra. Mi incoraggia, mi ridà fiducia, mi fa sentire più "fortunato" e privilegiato (in particolar modo rispetto ai miliardi di persone più svantaggiate di me).
E' dimostrato che provare gratitudine migliora la qualità della vita: come scrivo nella serie di post dedicati a diventare più felici, la gratitudine è la scorciatoia per la felicità.

I pensieri sono molto concreti

I pensieri possono sembrare cose astratte, poca cosa rispetto ai fatti. Ma invece essi influenzano moltissimo come viviamo, anche più dei fatti stessi. Pensiamo per esempio a due diverse abitazioni:
  • Paolo possiede un appartamentino di 60 mq, che ha scelto e sistemato con cura, di cui apprezza ogni giorno il comfort e il calore.
  • Nicola invece ha una casa di 200 mq, lussuosa e arredata finemente, ma pensa continuamente che vorrebbe una villa a Montecarlo, come hanno alcuni suoi conoscenti.
A livello di fatti appare ovvio che Nicola sta meglio di Paolo. Ma il modo in cui pensano fa sì che Paolo sia soddisfatto e in pace, mentre Nicola sia frustrato e non si goda quello che ha. Quindi, la felicità di queste persone viene determinata molto più dai loro pensieri che dai fatti concreti.

Notiamo il negativo e ignoriamo il positivo

Ma se "pensare in positivo" è così benefico, come mai tendiamo a non farlo? Alcune ragioni principali sono:
  • La mente umana tende istintivamente a dare più importanza agli eventi negativi che a quelli positivi.
  • Essere negativi ci viene insegnato.
  • A volte lo facciamo per imitazione.

Quindi è necessario uno sforzo intenzionale, consapevole, per guidare la propria mente verso il positivo e distoglierla dal negativo - e così elevare il proprio stato d'animo e visione della vita. Nonché per apprezzare quello che siamo ed abbiamo.

La lista della proprie qualità

In modo simile alla "Lista della gratitudine", si può anche fare una "Lista delle qualità" in cui elencare tutte le proprie qualità e capacità (anche quelle che ci sembrano ovvie, comuni o poco importanti). Invece di lamentarci, sentirci in colpa o "sbagliati" per quello che non sappiamo (ancora) fare o essere, possiamo portare l'attenzione su tutto quello che siamo o sappiamo fare. Questo ci aiuterà a sentirci meglio ed aumentare la considerazione di noi stessi.

Lamentarsi è facile, apprezzare no

Riassumendo, lamentarci per quello che ci manca o che va male ci viene naturale, apprezzare quello che abbiamo di positivo molto meno; però il primo atteggiamento peggiora la nostra vita, mentre il secondo la migliora. Vale quindi la pena impegnarsi per non dedicare attenzione agli elementi negativi (o farlo solo quando vogliamo e possiamo cambiare una situazione), e invece notare e apprezzare tutti i "doni" che arricchiscono la nostra vita.

Per approfondire gli effetti del pensare in negativo o in positivo, vedi il post "Pensare in positivo ti migliora la vita".


"Per quanto ci sia di cui lamentarsi, c'è assai di più di cui essere grati."
(Larry O'Connor)

"Il segreto della felicità consiste nel contare le tue benedizioni, mentre gli altri continuano a sommare problema su problema."
(William Penn)

"La gratitudine è il paradiso."
(William Blake)


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Accetta quello che sei, ama te stesso

Fin dalla nascita, a quasi tutti viene insegnato che non vanno bene come sono, che devono nascondere alcune parti di sé, che non possono essere autentici, ma devono adattarsi alle regole altrui. In parte questo è necessario per educare il bambino al vivere in società, ma per molti il risultato finale è il vivere in conflitto con se stessi:
  • sentendosi sbagliati;
  • giudicandosi in continuazione;
  • reprimendosi anche dove non necessario;
  • disprezzando le proprie imperfezioni;
  • sentendosi spesso inadeguati.
Questa è una ricetta sicura per una vita tormentata: non possiamo sentirci felici vivendo in conflitto con la nostra natura. Per questo, la via verso la felicità necessita che ci accettiamo per come siamo, inclusi difetti, mancanze e imperfezioni (sia morali che fisiche). L'idea distruttiva che ci mettono in testa è che "Saremo ok (o degni d'amore) solo quando non avremo difetti", ma questo è impossibile per qualsiasi essere umano. Quindi, finché crediamo a quell'idea, ci sentiremo sempre sbagliati - e/o non degni di essere amati.
Se persone intorno a voi alimentano l'idea distruttiva con critiche e giudizi continui, considerate la possibilità di allontanarle: è difficile guarire da questa attitudine, se l'ambiente intorno a voi la rinforza continuamente.

“Non accettare se stessi
è una ricetta sicura
per una vita tormentata”

La paura di non essere normale

Un motivo per cui fatichiamo ad accettarci, è perché pensiamo di essere sbagliati, diversi, "strani". Vediamo gli altri come "normali", e pensiamo che loro non abbiano le difficoltà che ci affliggono, le paure che ci angosciano, i difetti che ci disturbano, o i nostri gusti sessuali fuori dalla norma. Insomma, temiamo di non essere normali (qualsiasi cosa voglia dire).
Ma la verità è che nessuno è normale: tutti hanno difficoltà, paure e difetti simili ai nostri (chi più, chi meno), ma fanno di tutto per nasconderlo. La normalità non esiste realmente, è un valore soggettivo e arbitrario; e il concetto di normalità viene spesso spinto da chi cerca di manipolarci (quindi diffidate da chi ne fa una bandiera, come amici o partner giudicanti, genitori rigidi, personaggi politici o religiosi).

Vai bene come sei

Per uscire da quella trappola distruttiva, bisogna coltivare l'idea risanatrice per cui sono come sono, e va bene così (o un concetto equivalente che funziona per voi).
  • Questo non vuol dire negare i miei difetti, né giustificare i miei errori, ma convivere serenamente con la mia imperfetta umanità.
  • Non vuol dire nemmeno rinunciare a migliorare; posso sempre scegliere di migliorare, ma perché lo desidero, non perché mi sento sbagliato (e questo approccio è sicuramente più efficace).
Ogni volta che mi accorgo di giudicarmi, svalutarmi o disprezzarmi, posso scegliere consapevolmente di accantonare quei pensieri tossici, e ripetere a me stesso l'idea guaritrice di cui sopra. All'inizio è probabile che la vostra mente rifiuti l'idea nuova, perché abituata a quella autodistruttiva, e vi ritroviate a pensare cose come "Come posso andare bene?!? Sono così scarso / incapace / brutto / inutile / fallito..."; non importa, continuate a coltivare l'idea positiva, e pian piano questa prenderà spazio nella vostra mente.

“Sei come sei
e va bene così”

Basta che fai del tuo meglio

Un altro modo per coltivare l'accettazione, è decidere che per essere delle persone valide, è sufficiente la buona volontà. Non è necessario fare tutto, non sbagliare mai, o essere impeccabili: basta provare a fare del vostro meglio. Se siete ossessionati dalla convinzione che non siete abbastanza, o che dovreste fare molto di più, considerate questi punti:
  • Si può raggiungere la perfezione?
    Ovviamente no, non è di questo mondo, e la frase proverbiale "Nessuno è perfetto" ce lo ricorda.
  • Si può evitare di sbagliare?
    Certamente no, visto che persino individui straordinari come Aristotele, Newton ed Einstein hanno commesso errori clamorosi.
  • Si può arrivare all'eccellenza?
    In teoria sì, ma richiede moltissimo tempo e impegno (vedi la "regola delle 10.000 ore"), per cui è alla portata di pochi.
In realtà, la maggior parte di noi è destinata ad essere una persona "media", ed in questo non c'è nulla di male. L'idea che "se non arrivi in cima non sei nessuno", è una bugia che ci rende nevrotici e mai soddisfatti.

Puoi esserti amico

Poiché l'idea di accettarsi ed amarsi per come si è, risulta abbastanza estranea alla nostra cultura, spesso fatichiamo a immaginare cosa voglia dire volere bene a se stessi. Un modello utile è quello di trattare me stesso come se fossi il mio migliore amico:
  • Se il mio amico commette un errore, glielo dico con calma, senza aggredirlo
  • Sono paziente con i suoi limiti, e perdono le sue piccole mancanze
  • Lo incoraggio, lo sostengo e provo gioia per ogni suo successo (anche se piccolo)
  • Noto e apprezzo tutte le sue qualità
Comportarsi in tal modo con se stessi può sembrare sentimentale, ma quanto ci piacerebbe che qualcuno ci trattasse così? E perché quel qualcuno non potresti essere tu stesso? Ricordati che sei l'unica persona con cui passerai ogni giorno della tua vita: gli altri vanno e vengono, ma tu sarai sempre con te. Vale quindi la pena imparare a far sì che la tua stessa compagnia sia una gioia, e non un tormento.

“Tratta te stesso
come se fossi
il tuo migliore amico”

Voler bene a te stesso

Nel post in cui spiego cosa vuol dire amare (secondo me), ho elencato diversi modi in cui possiamo amare qualcuno. Questi modi sono validi anche verso se stessi; sono doni con cui diamo a noi stessi quell'amore che tanto desideriamo:
  • Ascolto (attenzione focalizzata sul tuo sentire; ascoltare le tue emozioni - anche negative; ascoltare il tuo dolore, invece di negarlo o respingerlo)
  • Attenzione (concentrarti su te stesso; accantonare il senso del dovere, metterti al centro)
  • Accoglienza (nel bene e nel male, nella gioia e nella tristezza, restare aperto e positivo verso quello che sei)
  • Assenza di giudizio (giudicare separa, allontana e porta a chiuderti)
  • Accettazione (accettarti per come sei, senza critiche, senza volerti cambiare)
  • Apprezzamento (notare e apprezzare tutte le tue qualità; celebrare la tua unicità)
  • Comprensione (cercare di capire chi sei e come sei, riconoscendo che ogni tua azione ha un suo motivo)
  • Compassione (accogliere la tua sofferenza; perdonare le tue mancanze)
  • Gentilezza (parlare ed agire verso te stesso con garbo, attenzione e delicatezza)
  • Rispetto (non aggredirti o disprezzarti, non pretendere troppo da te stesso, non ignorarti né trascurarti, non darti per scontato)
  • Avere a cuore la tua felicità (e agire per raggiungerla)
  • Prenderti cura (dei tuoi bisogni, dei tuoi problemi, della tua sofferenza)
  • Dare spazio a te stesso per esprimerti liberamente

"Non concepisco più l'amor proprio come forma di vanità, ma come un riconoscimento: sono il mio miglior amico, l'alleato più fedele."
(Marc Alain, "Essere Se Stessi, ogni giorno")

Un disperato bisogno d'amore

Chi non si accetta, spesso prova un bisogno ossessivo di sentirsi amato, oppure brama un amore totale, incondizionato. In pratica, il bisogno d'amore che non trova risposta all'interno di sé, viene completamente proiettato all'esterno e riversato sugli altri; queste persone appaiono spesso come "mendicanti di amore" (atteggiamento che porta gli altri ad allontanarsi).
Più ci detestiamo o ci disprezziamo, più tendiamo a sognare qualcuno che possa apprezzarci ed amarci - incluse quelle parti di noi che non sopportiamo. Il guaio è che, siccome gli altri tendono a "farci da specchio", quando non piaciamo a noi stessi, tendiamo a non piacere anche agli altri. Ma anche se incontriamo qualcuno che davvero ci apprezza, tenderemo a non crederci o a sabotare la relazione:
  • perché in fondo non crediamo di meritarlo;
  • o perché ci vediamo così difettosi, che se qualcuno ci vuole deve avere qualcosa che non va.
Quindi, paradossalmente, chi non si ama spesso respinge (o non riconosce) l'amore che gli viene offerto, pur desiderandolo. Di nuovo, iniziare a volersi bene è un ingrediente importante per arrivare ad essere amati.

L'amore che guarisce è prima di tutto il tuo

Quando abbiamo sofferenze, tensioni e conflitti interiori, l'accettazione di sé è probabilmente la forza guaritrice più grande. Quando ci dicono che "L'amore guarisce" o che "Tutto ciò di cui hai bisogno è amore" (titolo di una famosa canzone dei Beatles), è molto vero - ma dimenticano che l'amore più importante è quello per se stessi. Invece di insegnarci ad amare noi stessi, veniamo educati a dipendere dall'amore altrui.

Ma l'amore "esterno" non è quello più potente. Infatti quando sei depresso o sei convinto di essere "sbagliato", se hai vicino qualcuno che ti ama di certo può aiutare e farti sentire meglio; però non ti guarisce. Sei comunque depresso e continui a sentirti sbagliato (chi è da solo può credere che una persona che lo ami lo "salverà" da queste sofferenze, ma chi è in coppia sa che non è sufficiente).
Invece quando arrivi ad amarti, questo può veramente guarire la tua sofferenza: smetti di giudicarti, di criticarti, di condannarti, di vederti inadeguato, di combattere la tua natura. Pur nella tua imperfezione, arrivi a provare una tenerezza, un calore e un apprezzamento per te stesso stupefacenti. Finalmente "ti senti a casa" - dove tutto è in pace e va bene.

"Al di là di una sana disciplina,
sii gentile con te stesso.
Tu sei figlio dell’universo,
non meno degli alberi e delle stelle;
tu hai il diritto di essere qui."

(Max Ehrmann, dal "Desiderata")

Prova a perdonarti

Un altro elemento necessario per vivere bene con se stessi, è la capacità di perdonarsi. Quasi tutti conviviamo con sensi di colpa per qualche mancanza o errore compiuto. Ma dobbiamo ricordare che commettere errori (anche gravi) è umano: anche quando sbagli, non vuol dire che sei una cattiva persona, ma solo che sei umano e imperfetto - come tutti.
Non sempre possiamo evitare di sbagliare; quello che possiamo fare è imparare dagli errori fatti, e cercare di non ripeterli. Inoltre, quando ci sentiamo in colpa per qualche mancanza, dovremmo anche ricordarci tutte le volte in cui abbiamo fatto la cosa giusta, o compiuto azioni positive; probabilmente queste ultime sono molte di più dei nostri sbagli.
E' anche importante saper chiedere scusa: non possiamo cambiare ciò che è stato, ma possiamo "sanare" il presente con il pentimento e la sincera espressione di scuse.

“Anche quando sbagli,
non vuol dire che sei
una cattiva persona”

Accettazione non è rassegnazione

Poiché stiamo parlando di migliorare la propria vita, ovviamente accettazione non vuol dire stasi o passività. Tutti vorremmo essere migliori, e magari migliorare anche il mondo, quindi l'accettazione di cui parlo è una forma di pace e amore con se stessi, da cui partire per coltivare la propria evoluzione. Sembra un paradosso, ma in realtà più mi accetto per quel che sono, e più divento capace di sviluppare le mie qualità e diventare la persona migliore che potrei essere!

Mi rendo conto che il conflitto con se stessi è un problema pesante, e i miei suggerimenti non possono fare miracoli. Però diventare consapevoli di questo conflitto, e iniziare a cambiare questo tipo di mentalità, è già un buon punto di partenza. Va detto che, per chi vive in modo particolarmente grave questo conflitto interno, può essere necessario un aiuto esterno (nella forma di terapie psicologiche o counseling).


L'amore per se stessi non è un argomento molto diffuso, specialmente nella nostra lingua. Per chi voglia approfondire, segnalo il libro "Amati! Amare se stessi è la vera rivoluzione" di Fabio Marchesi.

"Essere belli significa essere se stessi. Non hai bisogno di essere accettato dagli altri. Hai bisogno di accettare te stesso."
(Thich Nhat Hanh)

"Esiste un curioso paradosso: quando mi accetto così come sono, allora posso cambiare."
(Carl Rogers)

"Far pace col proprio corpo, accettarlo così com'è, alimentarlo con le proprie cure, nutrirlo bene, mantenerlo in forma con l'esercizio, ammirarne gli aspetti più belli, onorarlo con vestiti comodi, trattarlo come se fosse un tempio, divertirsi in esso come se fosse una sala da ballo, essere in soggezione di fronte ad esso come se fosse un palazzo reale: tutte queste sono espressioni di gentilezza verso se stessi."
(Daphne Rose Kingma)


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Il lato tragico della vita

Riflettevo in questi giorni sul lato tragico della vita, una parte dell'esistenza che mi è diventata evidente in questi ultimi anni difficili.
Una parte che molte persone mi sembrano voler ignorare, dimenticare o rimuovere a tutti i costi: l'idea che si possa eliminare la sofferenza, l'ambizione di restare sempre giovani, la negazione e rimozione della morte, l'idea che il denaro possa comprare tutto (e quindi rendere "onnipotenti"), l'idea che siamo noi umani a causare le catastrofi naturali... mi sembrano tutti modi (a volte disperati) per sfuggire a questa parte intrinseca (e inevitabile) della vita.

Con "lato tragico", intendo quegli aspetti dell'esistenza negativi, angoscianti o drammatici, che si possono (a volte) limitare, ma mai eliminare.
  • L'inevitabilità della sofferenza (non sempre accade quel che vogliamo, spesso accade quel che non vogliamo)
  • L'inevitabilità della perdita (tutto cambia - e questa è una delle poche verità universali - quindi quello che ci è caro scomparirà prima o poi, noi stessi inclusi)
  • Il fatto che siamo limitati (non potremo mai fare / avere / essere / sapere tutto)
  • L'assenza di certezze e sicurezze
  • Il fatto che non possiamo mai fidarci completamente (tutti mentono, a se stessi in primo luogo, quindi chiunque potrebbe dirci falsità, a partire dalla mia stessa mente)
  • Il fatto che siamo in balìa di forze (naturali) più grandi di noi (che agiscono a prescindere da chi ci sta in mezzo)
  • Lo smarrimento esistenziale dovuto alla consapevolezza che siamo creature minuscole in un universo sconfinato, di cui non conosciamo le ragioni, in cui fatichiamo a trovare un senso, e che ci appare spesso indifferente o crudele
  • Il fatto che siamo qui per un breve periodo (un battito di ciglia per l'universo) e poi moriamo, senza lasciare tracce (e senza sapere se c'è qualcosa dopo).

Paradisi artificiali

Terrificante? In effetti...
Forse per questo, molti non sopportano questa tragicità, la respingono, e si rifugiano in illusioni consolatorie come religioni, ideologie, miti, consumismo...
Queste "vie di fuga", infatti, permettono di credere che, in qualche modo, si possa raggiungere un "mondo perfetto", una "età dell'oro", senza più dolore né paura (quando si realizzerà "il regno di dio"... o "il socialismo"... quando "guadagnerò abbastanza"...).

C'è anche il lato "luminoso"

Se questo elenco può apparire disperante, voglio però sottolineare che ho parlato di lato tragico. Questo infatti è solo una parte dell'esistenza...
Dall'altro lato, ci sono fattori come la bellezza, il piacere, l'amore, l'amicizia, la compassione, la solidarietà, la condivisione, la conoscenza, le arti...
Tutte cose che possono rendere la vita degna di essere vissuta, e sono "antidoto" alla sua inerente tragicità.

In altre parole, la vita è un miscuglio di "ombre " e "luce"; e sta a ciascuno affrontare (e limitare, per quanto possibile) le ombre, e alimentare la luce.
Se una certa parte di oscurità è inevitabile, lo splendore della luce è (almeno in parte) dovuto all'impegno dei singoli di farla brillare, nonostante tutto.

Guardare la paura negli occhi

Ma - si potrà obiettare - se questi aspetti dell'esistenza sono così terribili, perché porre l'attenzione su di essi? Perché non ignorarli o dimenticarli?
Ed è proprio quello che molti fanno.

Purtroppo, ignorare i problemi non li risolve, ed ignorare le paure non ci aiuta. Anzi:
  • Conoscere qualcosa è necessario per affrontarlo e migliorarlo (sapere è potere). Viceversa, ignorare qualcosa ci impedisce di intervenire, di scegliere, di capire; l'ignoranza ci rende impotenti.
  • Se soffriamo a causa di questi fattori (e chi non patisce almeno alcuni di essi?), riconoscerlo ci aiuta a gestire questa sofferenza, a mediarla, a farcene una ragione. Viceversa, se ne ignoriamo l'origine ci ritroviamo con un dolore misterioso, cieco, che ci strazia senza che sappiamo spiegarlo. L'ignoranza non attenua il dolore, anzi lo rende più spietato.
E' vero che molti di questi fattori vanno al di là del nostro controllo, ma guardarli in faccia ci permette comunque di scegliere il modo migliore di affrontarli.

Questa esposizione del lato tragico, quindi, non ha lo scopo di angosciare o preoccupare, bensì di rivelare qualcosa con cui tutti ci troviamo a fare i conti.
E poiché non possiamo eliminare questi fattori, la cosa migliore che possiamo fare è prenderne consapevolezza per poter migliorare ciò che possiamo cambiare, e fare pace con quel che non possiamo.


"Voler evitare ogni incontro col dolore significa rinunciare a una parte della propria vita umana."
(Konrad Lorenz)


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Eliminare la sofferenza diminuisce la felicità

Oggi voglio fare qualche riflessione sul rapporto tra felicità e sofferenza.
Per "sofferenza" intendo - in senso ampio - qualsiasi sensazione spiacevole: fatica, sforzo, dolore fisico, delusione, desideri insoddisfatti, mancanza, vuoto... Mentre con "felicità" intendo uno stato positivo, una sensazione di benessere.

Felicità e sofferenza viaggiano spesso insieme

Alcuni pensano che felicità e sofferenza siano mutualmente esclusivi, ovvero che la presenza di uno corrisponda all'assenza dell'altro. In altre parole, credono che basterebbe eliminare qualsiasi motivo di sofferenza dalle loro vite, per essere felici.
In realtà, i due stati d'animo sono relativamente indipendenti, e possono coesistere. Un maratoneta che giunge al traguardo tra i primi, sarà al tempo stesso sia esausto e dolorante, che orgoglioso del suo piazzamento; la madre che la sera rimbocca le coperte al figlio che le sorride, sente pesare le fatiche e le difficoltà della giornata, ma sente ugualmente il cuore colmo d'amore e soddisfazione.
Volere ridurre al minimo le cause di sofferenza è umano, ma non è - in sè - una via che produce felicità; anzi, potrebbe anche portare all'effetto contrario!

Le due strade

Come osservò già Freud, gli esseri umani agiscono seguendo due impulsi primari: ricerca del piacere, e fuga dal dolore (è il "principio del piacere" - questa attitudine istintiva ha una controparte nel "principio di realtà", per cui l'individuo impara a posporre il piacere ed accettare la sofferenza, in vista di una necessità od obiettivo più elevato).
I due impulsi hanno peso diverso nei vari individui; alcuni danno più importanza alla ricerca del piacere, per altri è fondamentale minimizzare le sofferenze. Se la ricerca continua del piacere può comportare alcuni ovvi rischi e controindicazioni, la "fuga dal dolore" ha un lato oscuro che è meno evidente.

Chi teme molto la sofferenza vive sulla difensiva, ha un'attitudine pessimista e ansiosa; pensa sovente al peggio nella speranza di evitarlo, ma questo può portare proprio al risultato opposto, cioè a creare quel che si teme! (questo fenomeno è chiamato profezia che si autoavvera). Vive insomma in uno stato di chiusura: limita le sue azioni, aspettative e percezioni (e spesso persino il suo respiro), per tenere lontano - e fuori da sè - quel che potrebbe ferirlo.
Se questa persona non ha particolari ambizioni, il suo comportamento può sembrare ragionevole e funzionale. Bisogna però considerare due fattori fondamentali, e spesso ignorati:
  • Un certo grado di sofferenza è inevitabile.
  • Chiudere fuori il dolore elimina anche il piacere.

Non si può eliminare la sofferenza

Non del tutto, almeno. Come ci ricorda il Buddhismo, ci sono almeno due ragioni per cui la sofferenza è inevitabile:
  • Alcuni nostri desideri non verranno soddisfatti.
  • Tutto è impermanente (cambia e finisce), perciò patiremo la perdita.
Anche la persona più ricca e potente del mondo, non potrà mai esaudire ogni suo desiderio: ci sarà sempre qualcosa al di là della sua portata. L'essere umano è una "macchina dei desideri", che vuole sempre più di quello che ha. Questa ambizione inesauribile ha un potere creativo (ci induce ad evolverci), ma ci condanna anche a non essere appagati a lungo. Desiderare meno attenua questa sofferenza, ma è impossibile non desiderare nulla. Inoltre, il desiderio ci fa sentire vivi; ci spinge verso la vita e la realizzazione: senza desideri, siamo come morti (è questo lo stato del depresso).
Poiché tutto è in costante cambiamento, sperimenteremo la perdita di quello a cui teniamo: gli oggetti si logorano e guastano, le relazioni si modificano o terminano, idee e valori mutano, le persone muoiono. Possiamo evitare di attaccarci a cose e persone, ma mai del tutto.

Ne consegue che, per quanto possiamo sforzarci, una certa parte di sofferenza resterà comunque nella nostra vita. E' questo il significato della massima buddhista "La vita è sofferenza": non nel senso che è solo quella, ma nel senso che ne è parte inevitabile.
Anche il semplice esistere comporta un certo "peso" inevitabile: sopravvivere, alimentarsi, soddisfare i propri bisogni essenziali, sono attività necessarie che comportano impegno e fatica.
Per questo lo sforzo di chi evita la sofferenza a tutti i costi è - almeno in parte - destinato a fallire.

Chiudersi lascia fuori tutto quanto

Chi teme la sofferenza, o chi ha vissuto molte esperienze negative, sviluppa la tendenza a chiudersi: rischia meno, non osa, investe meno nelle relazioni, si tiene dentro quel che sente, non prova cose nuove, si fissa su abitudini e routine poco impegnative.
La tendenza alla chiusura si manifesta anche a livello fisico: una postura contratta (problemi a collo, spalle, spina dorsale), una minore percezione sensoriale, un respiro superficiale (il respiro profondo ci fa sentire più intensamente).
Insomma, questa persona tende a crearsi un "guscio" protettivo che la difenda. Il problema è che lo stesso guscio la isola dal mondo, dalla vita, dalle opportunità. Meno si "investe" nella vita (rischiando, aprendosi e sperimentando), meno se ne ottiene in ritorno. Per questo, maggiore è la chiusura, minori diventano il piacere, la gioia, la felicità, l'amore.
E' un po' come vivere in una caverna: minacce e pericoli restano fuori, ma con loro anche l'aria fresca e la luce.

In pratica, chi privilegia la "fuga dal dolore" finisce sì col diminuire la sofferenza (ma non completamente), ma riduce al minimo (o a zero) anche il piacere e la felicità.
Si ritrova quindi con una vita che in cui rimane solo sofferenza (anche se ridotta). Paradossalmente, proprio quello che cercava di evitare!
Tra l'altro, è una delle strade per cui si arriva alla depressione: chiudendosi sempre più si finisce col non sentire più niente, col trovarsi in uno stato di "vuoto cosmico" in cui nulla ha più senso o valore.

Porre l'accento sulla felicità

Considerati questi fattori, si comprende come sia necessario accettare una ragionevole sofferenza come parte stessa della vita. Volerla diminuire è accettabile, volerla eliminare finisce col costarci caro.
Invece, è fruttuoso porre l'accento sulla ricerca del "piacere" (in senso ampio) e sulla creazione della felicità, intesa come coltivazione di quello che ci fa stare bene. Notando pure come una buona dose di felicità ci porta a sentire meno la sofferenza: proprio come nel nostro corpo le endorfine (neuro-trasmettitori) attenuano la percezione del dolore fisico, a livello psicologico più abbiamo motivi di gioia e meno ci pesano le sofferenze (come la madre nell'esempio all'inizio). Quindi un modo creativo di diminuire la sofferenza, è proprio quello di aumentare la felicità.
Insomma, è più proficuo puntare ad accrescere la gioia e il piacere, piuttosto che a diminuire la sofferenza. Per questo adottare un atteggiamento positivo verso la vita, produce migliori risultati di una mentalità negativa e sulla difensiva.

Il "Sì" che apre le porte

In un certo senso, è benefico coltivare l'attitudine al "Sì", diventare - per dirla all'americana - uno "Yes Man" (una persona che tende a dire "Sì"). Non nel senso negativo di subire e assecondare tutti, ma in quello positivo di rispondere affermativamente a quello che la vita ci propone, invece di tendere alla diffidenza e al rifiuto.
Poiché non possiamo - di norma - prevedere il futuro e le conseguenze delle nostre scelte, l'attitudine al "Sì" apre le porte ad opportunità che non possiamo immaginare: l'evento inaspettato potrebbe portarci fastidi o problemi, ma anche doni e possibilità imprevedibili! Se non diciamo "Sì", non lo scopriremo mai.
A questo proposito, è divertente e istruttiva la lettura del libro "Yes Man" di Danny Wallace (in Italia edito da Mondadori), da cui è stato anche tratto il film omonimo. Il protagonista, giunto a una crisi esistenziale e ispirato da un incontro provvidenziale, prova a vivere dicendo "Sì" a qualsiasi cosa; attraversa situazioni imprevedibili ed assurde, e scopre che la sua vita diventa sì più scomoda e faticosa, ma anche molto più interessante ed appagante.
Naturalmente, non è facile vivere da "Yes Man":
  • Ogni "Sì" ci espone ad un rischio, mentre il "No" ci protegge.
  • Però, ogni "Sì" è un'opportunità, mentre ogni "No" è una perdita.

Investire per guadagnare

Infine, va ricordata la massima anglosassone "No pain, no gain" ("Senza sofferenza non c'è guadagno"), che ci ricorda come ogni conquista comporti un prezzo da pagare. Non va presa alla lettera (a volte possiamo arrivare a buoni risultati creativamente, senza sofferenza), nè in senso punitivo, ma certamente creare la nostra felicità richiede un impegno e un'accettazione di rischi.
Per questo, se davvero vogliamo essere felici, accetteremo di buon grado gli imprevisti e le sofferenze che incontreremo sul nostro cammino, perché sappiamo che sono "scalini" necessari per giungere ad una felicità più alta.


"Voler evitare ogni incontro col dolore significa rinunciare a una parte della propria vita umana."
(Konrad Lorenz)


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La mia storia

Scrivo questo post non per mettermi in mostra, ma per illustrare - a chi fosse interessato - il percorso che mi ha portato ad approfondire le tematiche di questo blog (se vuoi sapere qualcosa in più su di me, vedi la pagina "Chi sono").
Mi auguro pure che il racconto delle mie esperienze possa risultare di ispirazione o incoraggiamento a coloro che si trovano in situazioni simili a quelle che ho attraversato io. Ognuno è unico, certamente, ma spesso il dolore e i problemi sono sorprendentemente comuni.

Una adolescenza difficile

Ho vissuto una adolescenza piuttosto triste; ero un ragazzino estremamente timido, solitario e complessato. L'essere figlio unico in una famiglia conflittuale non aiutava di certo.
Senza amici, affascinato dall'altro sesso ma incapace di parlare con le ragazze, l'unica creatura che sentivo vicina è stato il mio cane (forse anche per questo sono diventato vegetariano e animalista).
La disperazione era tale che, a 13 anni, decisi di suicidarmi; ma scoprii che per uccidersi è necessario un grande coraggio, e non ci riuscii.
Intorno ai 17 anni, in preda ad una crisi depressiva, pensai ancora di togliermi la vita. Per caso (o grazie alla Provvidenza ;-), però, vidi in una vetrina un libro che sembrava scritto per me: "Come vincere la timidezza e il complesso di inferiorità". Ebbi un pensiero creativo che mi accompagnò da lì in avanti; pensai "Posso cercare di cambiare; se non ci riesco, ho sempre a disposizione l'altra ipotesi".
Data la mia timidezza, anche solo entrare nella libreria e acquistare il volume fu un'impresa ardua, ma - data la motivazione - ci riuscii. E qui va osservato un altro elemento fondamentale: la sofferenza può essere una risorsa per motivarci, la disperazione può aiutarci a trovare la forza di cambiare.
Quando si è davvero disperati, d'altronde, si è nella posizione di chiedersi: "Cos'altro ho da perdere?".

Fasi di scoperta

La lettura di quel libro segnò l'inizio del mio percorso di crescita ed evoluzione.
Un percorso segnato da diverse fasi:
  • La scoperta della psicologia, della psicanalisi e dell'auto-analisi.
  • Poi altri approcci più "new age" (era una novità per l'Italia, si era agli inizi degli anni '80), meno razionali: pensiero positivo, filosofie orientali, spiritualità, esoterismo, Psicodinamica.
  • Dopo venne la riscoperta del corpo e delle emozioni - un passo fondamentale - con la Biodanza.
  • A 30 anni, l'incontro con Osho, il mio maestro. Una fase necessaria di integrazione tra corpo, cuore e mente, e con la mia parte "oscura".
  • Negli ultimi anni c'è stata la scoperta della filosofia, che mi ha aiutato ad allargare la comprensione, l'orizzonte, lo sguardo sul mondo.
    Si potrebbe dire che la psicologia permette di andare verticalmente, in profondità, mentre la filosofia ispira un'espansione orizzontale, un ampliamento della visione.

Durante questo arco di tempo, ho incontrato decine di insegnanti e amori (grandi o piccoli); centinaia di libri, infatuazioni, compagni di viaggio; e infinite esperienze e momenti difficili, sfide e conquiste, crisi e rinascite.
Insieme, tutto questo mi ha reso la persona che sono. In particolare, sono grato a tutte le partner che ho avuto, perché è nelle relazioni profonde che abbiamo le maggiori possibilità di scoperta e trasformazione; posso tranquillamente dire che, senza le persone che ho amato e mi hanno amato, sarei solo l'ombra di quello che sono.

Dal bisogno alla vocazione

Man mano che andavo avanti, mi rendevo conto che il bisogno si trasformava in passione. L'impresa nata dalla disperazione, si trasformava in un'avventura infinita di esplorazione e scoperta.
La crescita e l'evoluzione, la comprensione e la consapevolezza sono diventate il centro della mia esistenza. La mia vocazione. Forse il mio destino, chissà; di certo il mio interesse principale.
E' per questo che ho sentito la voglia di creare questo blog, ed è per questo che - nonostante l'impegno e la fatica - sento l'entusiasmo che continua a sospingermi.
Mi sembra di poter dare un mio contributo al mondo; e spero di riuscirci.

Molte mete, nessun arrivo

Quando il mio "viaggio" è iniziato, circa 36 anni fa, non avevo idea di dove sarei arrivato: volevo solo sconfiggere la tristezza ed uscire dalla sofferenza. Volevo essere socievole, essere amato, essere felice. Volevo stare bene.
Paradossalmente, ho trovato molto di più e qualcosa di meno: ho raggiunto mete che nemmeno immaginavo o che mai avrei creduto di poter raggiungere. Sono diventato una persona dai molteplici talenti e capacità: so che posso realizzare qualsiasi cosa mi interessi davvero.
Al tempo stesso, mi capita ancora di essere infelice, di sentirmi depresso, di abbattermi o di andare in crisi. Mi capitano ancora problemi, imprevisti, delusioni.
In fondo, sono sempre un essere umano. :-D

Ho imparato che "la vita è il viaggio". Al di là della facile metafora, vuolo dire che non esiste un punto di arrivo, non si è mai "arrivati": quando si raggiunge una meta, il viaggio continua verso la prossima, e ancora, e ancora.
Proprio per questo, è importante imparare a vivere pienamente nel presente, invece di rimandare la vita in attesa di un traguardo definitivo (che non giungerà mai).
Quando mi sono reso conto che il viaggio non ha fine, che non sarei mai arrivato a un punto dove poter dire "Ok, sono arrivato, sono a posto, adesso posso vivere senza problemi"... mi sono rilassato. Ho smesso di sforzarmi ostinatamente, e ho iniziato a godermi il viaggio.
Molto meglio!

Conclusione

Perciò, al lettore che è arrivato fin qui vorrei dire due cose ancora:
  • Ti esorto a iniziare il tuo viaggio di crescita (se ancora non lo hai fatto), perché ti porterà più lontano di quanto immagini, e ti assicuro che ne varrà la pena. Quando ti guarderai indietro, sarai fiero di te e delle tue conquiste.
    Finché non inizi, invece, potrai solo lamentarti e rimpiangere le occasioni perdute.
  • Per quanto ti sforzi, non diventerai mai perfetto (e se tu ci riuscissi, comunque saresti antipatico!). Quindi ti invito a rilassarti ed apprezzare la vita, nonostante la sua (apparente) imperfezione.
Buon viaggio! :-)


"L'unico viaggio è il viaggio interiore."
(Rainer Maria Rilke)



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