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Perché facciamo scelte sbagliate: siamo tutti condizionati

Quante volte ci ritroviamo infelici senza capirne il motivo? Quante volte ci rendiamo conto di avere compiuto scelte sbagliate, nonostante le nostre migliori intenzioni? Quante volte ci stupiamo delle nostre azioni, che sembrano andare in direzioni opposte a quello che vogliamo?
Sembra quasi che, dentro di noi, sia in azione uno "spiritello maligno" che opera a nostro sfavore. E, per certi versi, potrebbe essere proprio così.

Quando non siamo padroni delle nostre scelte

Il problema è che, più spesso di quanto crediamo, non siamo padroni delle nostre opinioni né delle nostre scelte. Ogni scelta ed azione è influenzata da idee, valori e convinzioni, ma buona parte di questi possono essere sia inconsci che opposti a quello che siamo e vogliamo. Per esempio:
  • Voglio approcciare una persona che mi piace, che mi ha dato segnali positivi: ma una voce interiore mi scoraggia, dicendomi "Figurati se le interessi, non provarci nemmeno".
  • Ad un esame o colloquio di lavoro, per cui sono qualificato, una tensione nervosa mi porta ad arrivare in ritardo, o a presentarmi male, o ad esprimermi in modo goffo, per cui rendo molto meno di quanto potrei.
  • Compio scelte importanti nella vita (carriera, relazioni, luogo dove vivere...) che a prima vista mi sembrano ottimali, ma che sulla distanza mi procurano più frustrazione e infelicità che altro. Mi ritrovo a dirmi "Cosa ci faccio qui?" o mi sembra di vivere una vita senza senso.
Alla base di queste difficoltà o fallimenti, molto spesso ci sono pulsioni o convinzioni interne che influenzano le nostre azioni e ci sabotano. Ma il più delle volte non sappiamo nemmeno di averle, quindi ci è impossibile opporci od arginarle.
Per esempio, potrei credere in certi pregiudizi (sul sesso opposto; su certe professioni, etnie o partiti), che non corrispondono alla realtà; ma che mi sembrano così scontati da non poterli mettere in discussione. Oppure potrei avere convinzioni negative su me stesso ("Non valgo abbastanza. Sono sbagliato. Non merito amore."), che mi portano a non mettermi in gioco, a chiudermi, alla paralisi; ma che essendo inconsci non posso contrastare.

“Spesso non siamo padroni delle nostre opinioni
né delle nostre scelte”

Non sappiamo cosa è vero

Il problema è che noi crediamo istintivamente che le nostre convinzioni corrispondano al vero, e siano una nostra scelta autonoma. Purtroppo, invece, ci capita sovente di credere a cosa che non sono vere affatto, o lo sono solo parzialmente. E soprattutto molte delle "nostre" convinzioni le abbiamo passivamente ricevute da altri: sono in realtà condizionamenti, a volte quasi un "lavaggio del cervello".

Che cosa mi influenza?

Se ci rendessimo conto di quanti influssi ci condizionano in ogni istante della vita, potremmo almeno cercare di arginarli o controllarli. Purtroppo invece ci piace pensare di essere liberi, autonomi, indipendenti, padroni della nostra mente - anche quando non è affatto vero.
Potremmo invece partire dal chiederci: "Cosa mi influenza?". Di seguito una breve lista di fattori che toccano chiunque.

Biochimica

Nel nostro corpo circolano una quantità di sostanze (principalmente neurotrasmettitori ed ormoni) che influenzano sia l'umore che il comportamento.
---> Un esempio classico è quando ci innamoriamo, o quando siamo preda di forti passioni: per molti versi non è la nostra coscienza che sceglie o decide, è la biochimica che ci spinge.

Pulsioni evoluzionistiche

Nel nostro cervello sono "programmate" una serie di reazioni che puntano alla sopravvivenza e alla riproduzione ottimale. In molti casi non siamo noi a scegliere, ma sono queste reazioni che lo fanno al di là della volontà.
---> Esempi in cui questo accade sono i vari motivi per cui proviamo attrazione, o le reazioni di lotta o fuga (in inglese "fight or flight") di fronte a situazioni minacciose.

Estetica

Anche la reazione alla bellezza ha una valenza evoluzionistica, ma la cito a parte per la sua particolare rilevanza emotiva. Quando noi reagiamo all'aspetto estetico (sia di cose che di persone, sia in modo positivo che negativo), crediamo di scegliere cosa ci piace, ma fondamentalmente quelle scelte sono decise da criteri innati su cui non abbiamo potere.
---> Infatti, non di rado quelle scelte risultano ingannevoli e non ci portano i risultati positivi che ci aspettavamo (la persona attraente che si rivela egocentrica o insopportabile, l'auto fascinosa che si scopre troppo costosa o poco pratica...).

Un altro aspetto per cui l'estetica ci condiziona, è quando ci lasciamo convincere dai modelli di bellezza promossi dalla società o dai media: finiamo così col criticare o rifiutare il nostro aspetto naturale, ed inseguire invece un ideale di bellezza artificioso o impossibile.

Condizionamenti dall'infanzia

Fin dalla nascita, riceviamo una serie di giudizi e idee su cui abbiamo poca o nessuna influenza. Assorbiamo tutte queste informazioni praticamente senza spirito critico, ed esse diventano le "fondamenta" della nostra personalità e delle nostre convinzioni.
---> Col risultato, a volte, di portarci a vivere in un modo che ha ben poco a che fare con la nostra reale natura: e, di conseguenza, a vivere una vita che percepiamo come vuota e insignificante, o che ci rende costantemente infelici.
I primi vent'anni della nostra vita sono così fondamentali che vi dedico un approfondimento più sotto.

Falsità e pregiudizi

Anche dopo che abbiamo raggiunto un'autonomia di pensiero, siamo costantemente esposti ad informazioni errate o ingannevoli a cui spesso crediamo ugualmente: perché abbiamo bisogno di credere a qualcosa, perché non abbiamo modo di verificarle, o perché corrispondono a nostri pregiudizi (tendiamo a credere a quello che conferma ciò in cui già crediamo).
---> Il risultato è che operiamo nella nostra vita basandoci su idee falsate, compiendo scelte erronee - o persino disastrose - a livello personale, sentimentale, sociale, finanziario e politico.

Chi mi influenza?

Quelli elencati sopra sono fattori di influsso (il "cosa" mi influenza), ma un altro modo di considerare i condizionamenti sono le fonti da cui arrivano (il "chi"): la prima e più ovvia è la famiglia, a cui seguono la scuola, le amicizie, i partner, i colleghi, la religione (anche per i non credenti, se è diffusa nel proprio ambiente), e più in generale la società e la cultura in cui viviamo (inclusi i vari media).
Più persone esprimono un'idea o un giudizio, o più autorevoli riteniamo le fonti da cui questi provengono, e più tenderemo a crederci.

Vent'anni di condizionamenti... e oltre

Siamo esposti a influssi e condizionamenti per tutta la vita, ma nessun periodo è così fondamentale per il nostro sviluppo (come persone e come idee) quanto quello dell'infanzia - e, per molti versi, anche dell'adolescenza. Questo principalmente perché, durante quel periodo:
  • Si formano la nostra mente, la nostra personalità e la nostra visione del mondo
  • Siamo altamente influenzabili e privi di capacità critiche
  • Dipendiamo in tutto e per tutto dalle persone intorno a noi (almeno fino ad una certa età)

Dalla nascita all'adolescenza

Dalla nascita fino all'adolescenza, sviluppare un'opinione autonoma è praticamente impossibile: non solo non sappiamo nulla o quasi della vita, ma siamo circondati da persone più sagge e più forti di noi, di cui ci viene istintivo fidarci: genitori, parenti, insegnanti. Anche se ci sorgono timide obiezioni a quel che ci viene detto, esse sono facilmente sgretolate dall'autorità e dal potere degli adulti.
Senza contare che noi dipendiamo da loro in tutto e per tutto: la nostra stessa sopravvivenza è nelle loro mani, per cui impariamo presto che non ci conviene opporci o contrariarli.

In questo contesto, se ci viene detto tutti i giorni che una cosa è vera, che è giusta, che è quello che vogliamo o dobbiamo fare, sarà quasi impossibile non crederci: se tutte queste persone così grandi e capaci ripetono quella cosa, come posso io, piccolo debole e ignorante, saperne più di loro? Il loro pensiero diventa il nostro pensiero.

L'origine dell'identità

Lo stesso vale per la nostra identità: ovvero il senso di chi siamo, di quanto valiamo, l'autostima, l'opinione che abbiamo di noi stessi e delle nostre capacità. L'identità si forma dai "messaggi" che riceviamo e dalle nostre esperienze: se questi sono positivi sviluppiamo un'immagine positiva di noi stessi, e viceversa. Per esempio:
  • Se il bambino viene spesso criticato, svilupperà una tendenza insicura, ansiosa, inibita. Anche da adulto, esiterà ad esprimere il suo vero sé per paura di ricevere giudizi e conseguenze negative.
  • Se i genitori sono rigidi e giudicanti, il bambino potrebbe sviluppare una personalità da "bravo ragazzo", che però non è autentica ma solo una maschera con cui cerca approvazione (senza però trovarla).
  • Se una parte della sua personalità viene criticata fortemente, egli la "rimuoverà" dalla sua coscienza, relegandola nella "parte ombra". Un classico caso di "ombra" è la figura di Hyde nel romanzo "Dr. Jekyll e Mr. Hyde".
  • Spesso, i maschi vengono spinti a reprimere le emozioni e nascondere la fragilità; alle femmine viene insegnato a reprimere l'aggressività. Da adulti, è probabile che costoro diventino uomini duri e insensibili, o donne insicure e deboli: ma queste non sono attitudini innate (come molti credono), bensì ruoli sociali indotti.
  • Se un bambino (o ancor più una bambina) riceve frequenti messaggi negativi sulla corporeità o sulla sessualità, potrebbe sviluppare conflitti verso il proprio corpo (fino ad arrivare a disturbi come anoressia o bulimia), e/o disturbi sessuali (come incapacità di lasciarsi andare e godersi il sesso, anorgasmia, frigidità o problemi collegati).
Questo genere di influssi porta le persone a credere di essere in un certo modo (timide, riservate, remissive, caste, ecc.) anche se quella non è affatto la loro natura, ma solo il risultato di condizionamenti. In pratica, dimentichiamo chi siamo davvero, e crediamo di essere come ci hanno detto che dovremmo essere.

“Dimentichiamo chi siamo davvero”

Durante l'adolescenza

Entrando nell'adolescenza, cominciamo a sviluppare autonomia, capacità critiche e una visione individuale: ci viene naturale dubitare degli adulti ed opporci alle loro opinioni (siamo però ancora dipendenti da essi, per cui in una posizione di debolezza psicologica oltre che fisica).
In questa fase ci confrontiamo con i nostri pari, con gli amici: ma anch'essi sono stati condizionati nell'infanzia, e magari anche loro ci ripeteranno che una certa cosa è giusta o sbagliata. E siccome dipendiamo affettivamente da loro, e abbiamo un fortissimo bisogno della loro approvazione, se tutti gli amici o le amiche sostengono una certa posizione, anche qui ci sarà molto difficile opporci e sostenere un'opinione autonoma. Tenderemo a "seguire il gregge" (vedi "Groupthink" in inglese).

Diventati adulti

Una volta adulti, cominciamo ad affrontare la vita in modo autonomo. Ma lo facciamo carichi di un bagaglio di idee e convinzioni che non sono veramente "nostre", che comunque ci guidano e condizionano le nostre scelte:
  • Scuola
  • Partner
  • Lavoro
  • Persone da frequentare o evitare
  • Persone da temere o da odiare
  • Orientamento politico
Ogni scelta che compiano in tutti questi settori potrebbe essere "sbagliata per noi" (magari non errata in sé, ma inadatta a noi, ai nostri potenziali e aspirazioni, alla nostra felicità), ma rischiamo di sceglierla ugualmente perché ci hanno convinto che è invece quella "giusta".

Solo pochi si ribellano

Solo pochi individui, dotati di spiccata tendenza all'indipendenza e alla ribellione, sviluppano una capacità di pensiero e di opinione autonome già in giovane età. Anch'essi, comunque, rischiano di assorbire alcuni condizionamenti, perché la natura sociale dell'essere umano fa sì che non possiamo mai essere del tutto indipendenti dall'ambiente in cui viviamo.

Anche da adulti l'influsso continua

Anche nella vita adulta i condizionamenti continuano a influenzarci: da una parte quelli che abbiamo assorbito mentre crescevamo e ora sono incorporati dentro di noi; dall'altra quelli che provengono dalle persone intorno a noi, specialmente quelle che ci stanno a cuore o che ammiriamo.
Questo vale in particolare per i genitori: in generale, ci sentiamo spinti a non deluderli, a farli contenti, e lo facciamo anche a costo di ignorare quello che davvero sentiamo o vorremmo fare. Spesso però non vogliamo riconoscere questo conflitto di interessi: perché vorrebbe dire scontrarsi con loro, o perché non assecondarli ci sembra un atto di slealtà o tradimento nei loro confronti.

Convinzioni portate all'estremo

All'estremo, questi condizionamenti possono portare anche a gesti folli o assurdi; che però diventano più comprensibili se li vediamo come il risultato di convinzioni devianti credute ciecamente:
  • Una persona che uccide il coniuge perché è stato tradito, o è stato "offeso nell'onore".
  • Un estremista religioso disposto ad azioni criminali in nome della sua fede.
  • Un kamikaze giapponese durante la seconda guerra mondiale.
Credenze come il razzismo, il sessismo o l'anti-semitismo (e molti "ismi"), non hanno alcuna base razionale o concreta: sono solo idee false che vengono tramandate. Eppure hanno a volte diffusione di massa, e possono portare a tragedie come lo schiavismo o l'Olocausto.

Il risultato è una vita infelice

Molto spesso, il risultato di tutti questi condizionamenti è quello di indurci a vivere vite inadatte a noi, e che quindi producono continuo stress, insoddisfazione e infelicità:
  • Un percorso di studi verso cui non ho reale interesse, affinità o talento...
    Ma che è stato scelto su pressione dei genitori, o in base alle loro ambizioni.
  • Una carriera, o un ambiente di lavoro, con cui non sono in sintonia, che non utilizza le mie capacità o che va contro i miei valori...
    Ma che è stato scelto perché nella mia famiglia o gruppo sociale quello che conta è un certo prestigio, una certa qualifica, un certo reddito.
  • Una certa attività o professione scelta oppure, al contrario, scartata...
    Perché mi è stato insegnato cosa un "vero uomo" - o una "vera donna" - dovrebbe o non dovrebbe fare.
  • Una relazione sentimentale con una persona inadatta a me (per personalità, obiettivi, aspetto fisico, preferenze sessuali o persino genere), con cui c'è scarsa intesa o continui conflitti...
    Perché ho seguito i canoni familiari, o le regole tradizionali, invece di ascoltare quello che davvero mi piace e che mi fa stare bene.
  • Avere dei figli che ostacolano i mie obiettivi, o che influenzano negativamente il mio matrimonio, che ho avuto senza volerli veramente, o prima che fossi pronto...
    Perché mia madre o i miei conoscenti ritengono inaccettabile non averne.

Spesso non è questione di scelte errate in sé, ma di situazioni errate per noi stessi, in disarmonia con la nostra vera natura: come un vestito elegante ma tagliato per un fisico assai diverso dal mio, esso non è sbagliato in sé, ma io non mi sentirò mai comodo o a mio agio indossandolo. Allo stesso modo, una vita lontana dalla mia natura autentica verrà sempre vissuta come disagevole, deludente o soffocante.

“I condizionamenti ci inducono a vivere
vite piene di stress, insoddisfazione e infelicità”

Come liberarsi dai condizionamenti

Una volta compresa l'estensione e la profondità dei condizionamenti che abitano in noi, diventa naturale chiedersi come uscirne:
  • Come liberarci dalle idee errate, o che ci spingono a fare scelte disfunzionali?
  • Come capire quello che è davvero "giusto" ed efficace per noi stessi?
  • Come scoprire le scelte in sintonia col nostro essere, che ci portano verso il benessere e la gioia?
Non è un percorso semplice, perché si tratta di un lavoro di "scavo" alla ricerca della nostra verità, di "ripulitura" dalle bugie che ci hanno raccontato, e di riscoperta della nostra natura autentica. Ma può fare la differenza tra una vita grigia e triste, ed una luminosa e appagante. Di seguito alcuni suggerimenti.

Conosci i tuoi condizionamenti

Prendi consapevolezza dei tuoi condizionamenti e convinzioni. Finché rimangono inconsci, nell'ombra, ti manovrano come fili invisibili. Quando invece inizi a scoprirli, a vedere come agiscono e come ti influenzano, il loro potere su di te diminuisce.

Osserva le parole che usi

Fai caso alle parole che usi: spesso non vengono per caso, e possono indicare influssi di cui non sei consapevole.
  • Verbi come "Devo" o "Dovrei" indicano resistenza, magari verso attività che non fanno per te o di cui non ti importa davvero.
  • Affermazioni come "Non posso" o "Non ce la farò" indicano limiti che credi di avere: chiediti se è davvero così, e come fai a saperlo con certezza.
  • Espressioni come "Vorrei", "Mi piacerebbe", "Che bello se" indicano attività verso cui senti inclinazione, che potrebbero arricchire la tua vita, ma che magari trascuri perché altri le ritengono inutili.

Ascoltati e riconosci le "voci"

Ascoltati, senti la differenza tra una "voce" che arriva dal tuo essere profondo, ed una che invece proviene dall'esterno. Fai attenzione alle sensazioni che ognuna di queste voci ti suscita (ti fa sentire bene, positivo; oppure appesantito, angosciato...).

Osserva i fatti

Osserva i fatti: se una scelta o una situazione ti crea forte disagio, ti fa stare male o ti rende infelice, è molto probabile che non sia adatta a te; anche se presenta evidenti vantaggi o tutti la trovano invidiabile.

Osserva le tue scelte

Per scoprire le convinzioni inconsce su te stesso, osserva le tue scelte: se rimani in una relazione frustrante o un lavoro che non ti piace, è possibile che tu non creda di meritare di meglio; se sei spesso attratto da persone che ti rifiutano o ti svalutano, forse non credi di essere degno d'amore, ecc.
In altre parole, al di là di quello che pensi razionalmente, le tue azioni reali indicano quello in cui credi nel tuo profondo.

La "cosa giusta" non esiste

Infine, ricordati che non esiste la "cosa giusta da fare" in assoluto, perché:

Le "cose giuste" cambiano nel corso del tempo, delle culture e dei luoghi. Quindi, solo tu puoi decidere qual è la "cosa giusta" per la tua vita. Gli altri possono a volte darti utili opinioni, ma alla fine la decisione è solo tua.


"Per ogni idea della cui giustezza sei assolutamente convinto, ci sono milioni di persone che la ritengono sbagliata."
(Wayne W. Dyer)

"Il vero signore è simile a un arciere: se sbaglia il bersaglio, cerca la causa di questo in se stesso."
(Confucio)

"Molto del dolore che provate è da voi stessi scelto."
(Kahlil Gibran)


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La vita è darwiniana: il più adatto vince, il meno adatto stenta o muore

Per agire in modo efficace nella vita, ottenere i risultati desiderati, e creare la propria felicità, è importante capire i princìpi che regolano l'esistenza (come "funziona" davvero la vita), al di là di ideali, tradizioni o concetti morali teorici. Altrimenti "giocheremo" secondo regole infondate, rischiando spesso di "perdere" senza capirne il motivo.
In poche parole la vita è meritocratica, cioè premia le persone più efficaci e dotate; ma "dotate" non necessariamente secondo criteri umani e morali, bensì in termini funzionali. Cioè, una persona disprezzabile ma ricca di abilità riuscirà nella vita più di una brava persona con scarse abilità; alla fine, i fatti contano più delle intenzioni.

Essenzialmente, la vita funziona in modo "darwiniano", ovvero segue il concetto di "sopravvivenza (o successo) del più adatto" (vedi "Survival of the fittest"). In altri termini, l'esistenza non è "giusta" o "equa", perché giustizia ed equità sono invenzioni umane, che non esistono in Natura. Per usare un esempio famoso, pensiamo al leone che insegue la gazzella: sia che la gazzella venga uccisa e mangiata, sia che sfugga ed il leone muoia di fame, nessuna opzione è giusta o equa. Certo possiamo schierarci in base alle nostre simpatie, ma nello stato di Natura non ha senso ragionare in termini di giustizia, diritti o equità: il leone non ha il "diritto" di mangiare la gazzella, né la gazzella ha il "diritto" di salvarsi. E ugualmente la vita non fa preferenze: il più adatto (in senso funzionale - in questo caso veloce, agile, scaltro) raggiunge il suo scopo.

“Giustizia ed equità
sono invenzioni umane,
che non esistono in Natura”

E' per questa ragione che certe specie che a noi appaiono disprezzabili, come topi o scarafaggi, sopravvivono quasi a tutto; mentre altre che riterremmo ben più degne, si sono estinte. Ed è sempre per la stessa ragione che a volte siamo attratti da persone distruttive o inadatte a noi, mentre persone ammirabili non ci suscitano alcun interesse sentimentale; il "gioco dell'attrazione" è guidato dalle leggi naturali di riproduzione (siamo attratti da persone con cui potremmo procreare figli sani), non da criteri morali o di compatibilità psicologica (poi ovviamente entrano in gioco anche altri fattori; qui mi riferisco all'attrazione erotica, immediata e istintiva).

Non esistono diritti in Natura

A volte si parla di "diritti naturali", ed il significato giuridico di "diritti che sono propri di ogni essere umano per nascita" è sicuramente una grande conquista sociale. Ma secondo me l'espressione è fuorviante, poiché la Natura non ci riconosce alcun "diritto" (inteso come "cosa che ci è dovuta"):
  • Un uomo che sta affogando non ha un "diritto" a vivere: il mare non ascolterà certo le sue invocazioni. Si salverà solo se avrà sufficienti abilità natatorie.
  • Le persone non hanno "diritto alla salute": la manterranno solo prendendosene cura attivamente (e comunque salvo problemi genetici e di invecchiamento).
  • Non abbiamo il "diritto" di essere amati - anche perché vorrebbe dire che qualcuno avrebbe il "dovere" di amarci, e a chi mai spetterebbe questo obbligo? La Natura non offre alcuna garanzia in amore: basti vedere la moltitudine di persone che si innamorano di partner sbagliati, o senza essere ricambiate.
    Possiamo portare amore nelle nostre vite quando sviluppiamo certe capacità: di amare noi stessi; di scegliere partner in sintonia con noi; di creare relazioni costruttive.
  • Né abbiamo il "diritto" di essere felici: chi si aspetta che il mondo lo renda felice, coltiva una illusione infantile. Anche qui, avremo la felicità desiderata solo sviluppando le abilità necessarie a realizzare i nostri sogni.
Preciso che non sto parlando di diritti legali o sociali (che sono tutt'altro argomento), né della solidarietà umana (sempre auspicabile), ma solo dell'esistenza in sé, che segue le leggi naturali.

Le religioni si sbagliano?

Mi rendo conto che questa visione dell'esistenza va contro agli insegnamenti di molte religioni, specialmente quelle monoteistiche (che sostengono l'idea di un Dio amorevole, giusto e che governa le vite degli umani). Ma allora chi ha ragione? Poiché non ho la presunzione di sapere tutto, vi invito a decidere per voi: osservate come funziona l'esistenza, e fate caso se conferma la visione religiosa, oppure quella che ho esposto qui. Siate voi i giudici.
Anche se quanto espongo qui vi sembra reale, e la vita appare davvero "darwiniana", non vuol dire che Dio non esiste; ma che, magari, è diverso da quello che crediamo, o che ci hanno raccontato.

“Osserva come funziona l'esistenza,
e fai caso se conferma
la visione religiosa”

Molte aspettative, pochi risultati

Tutto questo spiega perché spesso ci ritroviamo confusi e/o delusi, quando ci comportiamo "bene" ma poi non otteniamo i risultati attesi. Per esempio quando:
Quindi, se non riesci ad ottenere quello che vorresti, è inutile dare la colpa al mondo. Piuttosto, bisogna capire cosa funziona e cosa no, e invece di pretendere la felicità come se fosse un diritto, imparare a costruirla con le proprie capacità.

Anche le relazioni sono meritocratiche

Per esempio, anche le relazioni funzionano in modo meritocratico. Semplificando, più qualità una persona ha da offrire, e più verrà apprezzata e desiderata (ovviamente poi dipende dalle qualità: alcune hanno valore universale, altre valgono solo per alcuni). Viceversa, una persona con poche o nessuna qualità verrà considerata poco o ignorata da potenziali partner. Questo di rado viene riconosciuto dalle persone poco apprezzate o amate, che faticano ad ammettere le proprie carenze, e spesso preferiscono dare la colpa agli altri ("Gli uomini sono bastardi", "Le donne sono stronze", "Il mondo fa schifo"...).

In altre parole, nelle relazioni valgono delle regole che indicano quanto possiamo attrarre; ognuno ha una specie di "valore di mercato" che definisce quanto valiamo agli occhi degli altri: una volta che comprendiamo come funziona questo valore, possiamo incrementarlo. Allo stesso modo, se nessuno mi vuole, è solo capendone le ragioni e risolvendole, che la mia situazione potrà migliorare.

“Ognuno ha un 'valore di mercato'
che definisce quanto vale
agli occhi degli altri”

Non sempre c'è un colpevole

Quando la vita ci fa soffrire, istintivamente pensiamo che sia colpa di qualcuno e tendiamo a cercare un colpevole. Ma siccome l'esistenza non segue le regole umane (e non si cura del nostro benessere), la nostra sofferenza può essere dovuta al caso, ad eventi naturali, o semplicemente alla vita che segue il suo corso - indifferente al nostro destino.
A volte le nostre disavventure non dipendono dalle altre persone. Se nessuno ti ama o non trovi lavoro, non è perché qualcuno ce l'ha con te: probabilmente è perché non ti sai "adattare" (in senso darwiniano*) al tuo ambiente, e manchi delle capacità necessarie. La sofferenza è parte naturale della vita, e quando non possiamo evitarla, possiamo solo accettarla; cercare sempre un colpevole ci fa vedere "nemici" anche dove non esistono.

(* "adattarsi" è inteso non nel senso di subire passivamente, ma di evolversi - migliorarsi attivamente - e cavalcare l'onda del cambiamento)

L'importanza dei valori

Ovviamente non intendo dire che certi valori non abbiano senso o importanza: giustizia ed equità, diritti e doveri sono alla base della civiltà e delle società moderne. Però la vita non segue le regole umane, ed è questa la ragione di tanta sofferenza: la vita non è fatta a nostra misura, né per la nostra felicità.

Diventarne consapevoli ci aiuta a non avere aspettative irreali, e a non rimanere troppo delusi quando le cose vanno storte. Invece, se mi aspetto dall'esistenza un trattamento equo ("Se sarò buono non mi succederà nulla di male", o "La vita premia i giusti e punisce i malvagi"), resterò spesso disorientato e scioccato.
Lo stesso vale se vengo educato a comportarmi come una "brava pecorella" (perché questo fa comodo al mio ambiente o alla società), e credo alla promessa di venire ricompensato.

Voglio precisare che quanto scritto finora non è un invito a comportarsi da "lupo" o "squalo" - a meno che tu stia vivendo da solo in una giungla. Se è vero che fare la "pecora" generalmente non è produttivo, è anche vero che fare il "lupo" comporta una serie di rischi e conseguenze negative, specialmente a lungo termine.
L'esistenza e la società sono due campi che si intersecano ma restano diversi, e hanno regole diverse. Bisogna sia capire come funziona l'esistenza, sia imparare come vivere in armonia con la società.

“Se mi aspetto dall'esistenza
un trattamento equo,
resterò spesso disorientato e scioccato”

Perché scegliere il bene

Infine, qualcuno potrebbe chiedersi "Ma se comportarsi bene non viene premiato, se la vita non considera le nostre virtù, allora perché fare il bene? A che scopo fare 'la cosa giusta', e non quello che mi conviene?". E' un dubbio più che legittimo, specialmente per quelli che non seguono una morale religiosa (o quelli che hanno una crisi di fede). Secondo me, comportarsi in modo "virtuoso" (fare quello che consideriamo "bene", fare la cosa "giusta") è - in generale - la linea migliore da seguire, per le seguenti ragioni:
  • Siamo liberi di fare quello che vogliamo, ma non di scegliere le conseguenze delle nostre azioni; se ci comportiamo in modo egoistico e distruttivo, spesso le conseguenze non ci piaceranno per nulla.
  • Tutti abbiamo bisogno degli altri; e siccome nessuno ama stare vicino a uno stronzo, inimicarsi gli altri è un buon modo per crearsi una vita miserabile.
    Mentre una persona positiva, generosa, corretta, compassionevole, viene quasi sempre apprezzata e sostenuta.
  • L'esistenza può non premiare i buoni e punire i cattivi, ma la società lo fa (più spesso che no) - a meno che sia un regime totalitario.
  • Il fatto che l'esistenza ignori i tuoi "diritti" e non ricompensi le tue virtù, non giustifica il mancare di rispetto agli altri.
  • Ma soprattutto, fare la cosa "giusta" (secondo il proprio giudizio) ti fa sentire bene con te stesso, ti fa sentire una persona degna, integra, affidabile, di valore. Aumenta la tua autostima - e sappiamo che l'autostima è fondamentale per vivere bene.
    Mentre quando violiamo i nostri valori, anche se sul momento ci conviene, sotto sotto sappiamo di essere delle persone spregevoli. Magari gli altri non lo scopriranno... ma noi lo sapremo sempre.
In sintesi, poco importa se la vita ricompensa o meno le nostre scelte virtuose; ci conviene comunque farle, sia perché i nostri simili reagiscono di conseguenza, sia perché ci fa stare bene con noi stessi.

"Non è la specie più forte che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più ricettiva ai cambiamenti."
(Charles Darwin)


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La normalità non esiste (nessuno è normale)

Molte persone temono di non essere "normali", o si interrogano sulla propria "normalità", o ancora vengono criticate perché non rientrano in quello che altri ritengono sia il comportamento "giusto". Alcuni non riescono ad accettare se stessi, o parti di sé, perché troppo diversi da quello che viene considerato "normale". Tutto questo causa una significativa quantità di ansia, disagio e sofferenza.

Ma cosa vuol dire "normalità"? Ci sono due possibili interpretazioni:
  1. Ciò che definiamo "normale", spesso non è altro che una "media statistica", ovvero il caso più comune e frequente - ma questo non implica che sia quello migliore né il più morale.
  2. "Normale" deriva da "norma", ovvero regola. Quindi si può dire "normale" ciò che si conforma alle regole della società in cui viviamo.

La normalità cambia sempre

Il problema è che entrambi questi parametri cambiano: ciò che viene considerato normale cambia con i luoghi, le culture, le epoche; quindi non è mai un valore assoluto, bensì relativo e fluido. Come esempi bastino lo schiavismo, la lapidazione o il genocidio, pratiche considerate normali per secoli, ma che oggi riteniamo inaccettabili.
Quindi, la cosiddetta normalità è una serie di "standard immaginari" e arbitrari, soggetti a una serie di fattori in continua evoluzione. Questi standard dipendono anche dalle prospettive individuali soggettive: non troverete mai due persone per cui "normale" definisca esattamente le stesse cose. Questo perché tutto è relativo, quindi non esistono opinioni giuste in assoluto - e ritenere tali le proprie porta solo a conflitti (pensiamo ai fanatici o ai terroristi, che non tollerano posizioni opposte alle proprie).
Lo stesso vale per i presunti modelli di "vero" ("vero uomo", "vera donna", "vero amore", "vera famiglia"...): anche questi sono standard illusori, perché ci sono sempre molteplici modi di essere, più o meno validi per ciascuno (e mai nessuno è valido per tutti).

Essere strani è la normalità

Quello che consideriamo normale, molto spesso non corrisponde affatto alla realtà che ci circonda; molti comportamenti che ci appaiono come discutibili o anomali, sono in effetti molto diffusi e comuni:
  • Non ti piace il tuo aspetto
  • Temi di aver sposato la persona sbagliata
  • Pensi ad un'altra persona mentre fai sesso col tuo partner
  • Diventi invidioso per il successo di un amico
  • Ti viene da piangere o da infuriarti quando vieni criticato
  • Sei a disagio quando devi parlare con un estraneo
  • Sei impacciato quando parli con qualcuno di importante
  • Parlare in pubblico ti spaventa
  • Temi di essere molto meno capace di quanto sembri, e che gli altri lo scoprano
  • Provi desiderio per membri della tua famiglia
  • Ti senti attratto da personaggi famosi
  • Ti masturbi spesso
  • Inciampi mentre cammini, o sbatti contro i mobili
  • La possibilità di scoreggiare in pubblico ti terrorizza
  • Non sopporti che altri possano vederti nudo
  • Pensi ancora a una relazione conclusa anni fa
Se ti ritrovi in alcune o in molte voci di questa lista, rilassati: vuol dire che sei molto normale - e in buona compagnia. :-)
Sovente, ciò che viene considerato normale dalla società, è piuttosto qualcosa di ideale e vicino alla perfezione: è quello che dovremmo - o vorremmo - essere, invece di quello che siamo realmente. Non c'è quindi da stupirsi se una gran quantità di persone si sente sbagliata, o non all'altezza. Ma invece di farci condizionare continuamente da questi modelli irreali e irraggiungibili, sarebbe più sano ammettere che siamo tutti un po' matti, strambetti e contorti.

Siamo tutti diversi

La normalità non esiste anche perché siamo tutti diversi, e questo è il motivo per cui, nelle coppie e fuori, passiamo buona parte del tempo in discussioni e battibecchi. Questo smentisce già alla base l'idea che ci siano modi di essere normali che siano validi per chiunque; in realtà, ogni individuo è unico, ha gusti e inclinazioni particolari, e nessuno corrisponde in concreto ai criteri di normalità diffusi.
Per questo Oscar Wilde ha scritto che "Visto da vicino, nessuno è normale": quando conosciamo davvero qualcuno nella sua unicità, scopriamo una serie di aspetti che si discostano dall'idea di normalità - e questo vale per tutti. Le persone normali lo sembrano solo perché le vediamo da fuori, da lontano, o sono nascoste dietro maschere; chi sembra normale, di solito recita una parte perché teme di mostrare la sua "stranezza".

Chi ha bisogno della normalità?

Chi ha molto a cuore la normalità, sia nella sua ricerca di esserlo, sia nel tentativo di imporla agli altri, è probabilmente una persona spaventata, ferita, che si è sentita poco amata. Che esorcizza le sue paure e fragilità attaccandosi a un'idea immaginaria, nella speranza che se tutto intorno fosse "normale", allora si sentirebbe sicura e in pace. Spesso costoro sono persone in conflitto con se stesse, che
faticano ad accettarsi e ad amarsi per come sono.

Perché vogliamo sentirci normali

Ma se il concetto di normalità è così limitante e privo di senso, perché influenza così tanto le nostre vite? Almeno per due ragioni fondamentali:
  • Abbiamo tutti bisogno dell'accettazione e approvazione altrui.
    Al punto che molti danno più importanza all'opinione altrui, che a ciò che davvero è importante per loro; per queste persone, uscire dalla norma appare inaccettabile.
  • Abbiamo tutti paura - in varia misura - di essere giudicati e rifiutati.
    E non è solo conformismo, ma un potente impulso evolutivo: per gran parte della storia umana, essere respinti dal gruppo voleva dire ritrovarsi da soli a fronteggiare un mondo ostile, e morte quasi certa.


Temi su cui la normalità può farci del male

Di seguito esploro una serie di temi su cui l'idea di normalità pesa fortemente, ma che in realtà vengono vissuti da ciascuna persona in modi alquanto diversi.

Sessualità, desideri e fantasie

Partiamo da un'area dove la normalità è stata (e per molti versi è ancora) fortemente imposta e disciplinata. Un'area dove il concetto stesso di "normale" suona particolarmente privo di senso, vista l'enorme varietà di desideri e preferenze (dire che c'è "un modo di fare sesso normale" è come dire che c'è un colore normale, o un gusto di gelato normale). Peraltro, c'è da chiedersi per quale ragione la sessualità dovrebbe riguardare la società, invece che solo le persone coinvolte (almeno finché nessuno viene obbligato o leso).

Il concetto di normalità nel sesso è stato utilizzato in passato in modi francamente ridicoli:
  • Le numerose "crociate" contro la masturbazione.
  • La secolare condanna della Chiesa cattolica verso il sesso che non fosse per procreare.
  • Definire il sesso orale come immorale.
  • Considerare il sesso anale come illegale (ancora in effetti fino al 2003 in parte degli USA).
  • Il principio (nato nel XVIII secolo e trascinatosi fino al XX) per cui le donne sono creature "pure" e senza desideri sessuali.
Dopo secoli di queste scempiaggini, ogni tentativo di "normalizzare" la sessualità dovrebbe apparire come imbarazzante e insensato (nonché far dubitare sull'equilibrio mentale di chi ne sente la necessità).

A causa di tutta questa censura e repressione, sono molte le persone che non riescono a vivere la propria sessualità in modo sereno, positivo ed autentico. Se pensate che i vostri desideri o fantasie siano "strani" o "perversi", voglio rassicurarvi: quasi sicuramente non lo sono, e certamente non siete gli unici ad averli. Per ogni bizzarra pratica sessuale che possa venirvi in mente, state certi che c'è qualcuno - o molti - che la praticano con soddisfazione. Solo per citare alcune categorie, più diffuse di quanto si pensi:
  • Dominazione e sottomissione
  • Rapporti con due o più partner
  • Sadismo e masochismo
  • Esibizionismo
  • Sesso selvaggio e brutale
  • Venire legati e obbligati (con il proprio consenso)
Tutte queste pratiche contano centinaia di migliaia, se non milioni, di appassionati (uomini e donne). E se sono così tanti, come si può parlare di "anomalie"? La verità è che gli esseri umani sono creature fortemente sessuate e variegate (a dispetto dei tentativi secolari di negarlo). Nella sessualità, ancor più che in altri aspetti della vita, non esiste la normalità: i possibili gusti e inclinazioni sono praticamente infiniti, e quello che per alcuni è inconcepibile, per altri è delizioso.

Ma allora, ci si può chiedere, dov'è il confine? E' tutto legittimo? Ovviamente no: esistono limiti che vanno rispettati. La comunità BDSM ha approfondito le tematiche etiche (specialmente il consenso), producendo linee guida come lo SSC (Safe, sane and consensual) o il RACK (Risk-aware consensual kink). Uno dei concetti più semplici e diffusi tra chi vive la sessualità in modi non tradizionali, è questo: ogni pratica sessuale è ok, a condizione che sia fra adulti consenzienti.

Orientamenti sessuali, omosessualità

Anche qui vige una forte pressione normativa, che spinge ogni individuo a identificarsi col proprio sesso biologico, e considera accettabili solo le unioni fra un uomo e una donna. Tutte le altre identità (transgender, intersex, travestiti) e inclinazioni (gay, lesbiche, bisessuali, pansessuali, asessuali) vengono ignorate, svalutate o negate.
Ma chi sostiene che queste siano le uniche forme accettabili, sembra dimenticare che in altre epoche e culture ciò che oggi viene definito "innaturale" era comune e accettato: per esempio, tra gli antichi greci e romani i rapporti omosessuali erano considerati normali. Tra l'altro l'uso del termine "innaturale" è fuori luogo, visto che comportamenti omosessuali sono comuni tra gli animali - quindi in natura (sono stati osservati in oltre 1500 specie).

La normalità viene forzata anche su chi non prova desiderio sessuale (asessuale), o chi ha bassi livelli di libido. Anche queste persone vengono solitamente giudicate e criticate, perché fuoriescono dagli schemi comuni; specialmente i maschi, su cui pesa il luogo comune per cui un "vero maschio" ha sempre voglia di sesso. Invece anche queste sono manifestazioni della varietà umana, e come tali degne di rispetto.

Insomma, sia che ti piacciano le donne, gli uomini, entrambi, o qualsiasi combinazione, non c'è nulla che non va in te. Ama chi ti piace, e siate felici.

Unione romantica

Per molte persone la normalità in ambito sentimentale è il modello romantico dell'amore eterno con un solo partner che soddisfa tutti i nostri bisogni. Peccato che questo modello sia alquanto irrealistico e, peraltro, anche piuttosto recente (nasce circa 250 anni fa); una Utopia romantica che ben pochi riescono a realizzare (e comunque mai nel modo idealizzato che i media ci propongono).
E' una specie di "bugia mediatica", con cui veniamo spinti (specialmente le donne) a cercare la piena realizzazione della propria vita nella coppia - ma è un'illusione:
  • sia perché quel livello di appagamento estatico è una chimera (se non per un breve periodo iniziale);
  • sia perché nessuna relazione - nemmeno la migliore - può riempire una esistenza intera (ci sono molte altre parti di noi che necessitano altri tipi di nutrimento).
E' una bugia come peraltro tante altre falsità sull'amore a cui molti credono.

Il problema di crederci è che se non riusciamo a realizzare questa utopia, non solo ci sentiamo fortemente delusi e frustrati (perché, appunto, crediamo che sia normale arrivarci), ma tendiamo anche a sentirci sbagliati, incapaci, come se ci fosse in noi qualcosa che non va. Molti uomini e donne, ancora giovani, nel realizzare che le loro relazioni sono ben al di sotto del mito romantico che ritengono normale, le vedono come un fallimento e ne traggono la convinzione di non valere abbastanza.
Invece, quel che è veramente normale (perché accade praticamente a tutti) è vivere relazioni almeno in parte insoddisfacenti, incomplete, conflittuali, difficoltose; in una parola "relative" invece che assolute e ideali. Uomini e donne non sembrano fatti per vivere insieme a lungo e felicemente; quei pochi che ci riescono, è perché hanno una insolita maturità emotiva, una elevata compatibilità, una grande accettazione delle reciproche differenze, e - non ultima - un pizzico di fortuna: sarebbe saggio riconoscere che questo livello di relazione è più l'eccezione che la norma.

Essere single, in coppia o sposati

Il modello relazionale normale dice che tutti vogliamo (o dobbiamo) essere in coppia, e che le persone mature si sposano (e mettono su famiglia). Ma questa convinzione porta a giudicare le persone sole (che sia per scelta o per loro difficoltà) come inferiori o difettose; e le coppie che non intendono sposarsi come incomplete o manchevoli. Pensiamo ai giudizi sulle zitelle, o alle posizioni pubbliche importanti che quasi mai vengono affidate a persone non sposate.

Il desiderio di essere in coppia è umanissimo; ma degna del medesimo rispetto è anche la scelta di stare da soli (perché si sta bene con se stessi, per seguire un proprio percorso, per evitare la frustrazione di una coppia insoddisfacente); oppure la condizione di chi desidera una relazione ma non riesce a crearla (una sofferenza che dovrebbe ispirare compassione, non giudizio).
Così come degna di rispetto è la scelta di non sposarsi (perché non ci si sente pronti, perché non si crede nell'istituzione, perché i sentimenti cambiano...). Invece è alquanto penoso (oltre che frustrante) quando parenti e amici lanciano continui giudizi e pressioni su qualcuno (specialmente donna) che non si è ancora "sistemato"... e magari non ne ha nessun desiderio.

Famiglia e figli

Non tutti ambiscono a formare una famiglia, e non tutti desiderano avere dei figli. Invece la normalità dice che chi non vuole farsi una famiglia ha qualcosa che non va, e chi non desidera dei figli è un egoista o peggio. Ma poiché siamo tutti diversi, non tutti siamo fatti per la vita familiare (oppure potremmo non essere ancora a quel punto). Idem per i figli, che sono un impegno importante da non prendere mai alla leggera (e l'egoismo, semmai, sarebbe quello di procreare figli non pienamente voluti).
Come per altri aspetti dell'animo umano, anche famiglia e figli sono decisioni personalissime; per cui non devono mai diventare scelte forzate, dettate dall'opinione comune. Non è un caso che, con l'avanzare dell'eguaglianza fra i sessi e la disponibilità di contraccettivi efficaci, la natalità si sia ridotta praticamente in tutto il mondo: è un segno che le persone non sempre vogliono dei figli - ma quando li fanno, ora tendono a farli per scelta.

Non solo monogamia

Nelle relazioni sentimentali, la normalità è la coppia monogamica chiusa - che viene propagandata come naturale e tradizionale (oltre che l'unica giusta e morale). Questo modello va benissimo per quelli che vi si ritrovano felicemente, ma prescriverla come l'unico giusto non ha senso per una serie di ragioni: Per queste ed altre ragioni, la normalità di coppia (con i suoi limiti) non va presa come inevitabile, ma solo come una fra diverse possibilità; a ciascuno scegliere il modello più adatto a lui, quello che corrisponde al suo modo di relazionarsi.

Inoltre, consideriamo quando una relazione o matrimonio si interrompe, fallisce o incontra gravi problemi: di solito tendiamo a cercare un colpevole (noi stessi e/o il partner) e a sentirci incapaci. Fatto salvo che un esame di coscienza è necessario (potremmo avere delle responsabilità a riguardo), può anche essere che il grosso del problema stia nei limiti del modello normale; a cui magari abbiamo aderito passivamente, ma che si rivela inadatto al nostro modo di essere.
O, ancora, i partner potrebbero essere cambiati nel corso del tempo: e allora bisogna aggiornare i propri obiettivi e priorità, e magari scegliere nuove direzioni. Tutto scorre.

Tutto questo per dire che la normalità monogamica non va data per scontata, ma va messo in discussione se è adatta a noi, o se magari altri modelli alternativi di relazione ci offrono risposte più costruttive e appaganti. Amare è un'esperienza straordinaria, ma amare secondo regole inadatte a noi può trasformarla in un incubo.
Lo psicoanalista Luigi Turinese ha scritto un valido articolo ("Le nuove relazioni") che esamina i cambiamenti intervenuti nelle modalità di coppia, ed esplora le ragioni della diffusione di modalità alternative a quelle convenzionali.

Status, posizione economica e lavorativa

In quest'area il modello normale dice che dovremmo avere un lavoro stabile, ben remunerato, possibilmente prestigioso e che susciti l'ammirazione (nonché l'invidia) altrui. Questo modello implica anche (specialmente per gli uomini) che lo status lavorativo ed economico determina il tuo valore come persona, ed è per questo che molte persone dedicano gran parte della loro vita a raggiungere quello status - spesso a scapito di altre aree come le relazioni, la famiglia, i sogni personali.
A molti questo appare del tutto ragionevole... peccato che, giunti in punto di morte, nessuno dica "Avrei voluto passare più ore in ufficio", e si rimpiangano invece ben altre attività. Questo modello ignora tutte le persone che:
  • prediligono gli affetti o il proprio sviluppo personale alla carriera;
  • danno poca importanza ai beni materiali;
  • amano provare esperienze lavorative diverse;
  • trovano in attività diverse dal lavoro le loro motivazioni primarie.

Di nuovo, chi non aderisce alla normalità in questo campo può sentirsi inadeguato o di scarso valore agli occhi della società. Ricordiamoci che non si può piacere a tutti; e che non è saggio lasciare che sia l'opinione altrui (o le regole comuni) a definire il nostro valore. Possiamo essere persone meravigliose anche con un lavoro umile o senza soldi in tasca. Non sta agli altri definire chi sei o quanto vali, questo lo puoi decidere solo tu.

Bellezza, aspetto fisico

Uno dei criteri di normalità più pervasivi e opprimenti è quello di bellezza. L'aspetto forse più distruttivo è l'ossessione per la magrezza - ossessione abilmente alimentata da pubblicità e media. Forse influenzati dalla "normalità estetica" che i media ci propongono continuamente (cosa c'è di normale in una supermodella abbondantemente ritoccata, o in un giovanotto statuario e palestrato?), sono sempre di più le persone che vogliono modificare il proprio corpo: lifting, liposuzione, ingrandimento dei seni (anche in adolescenti), rimozione dei peli, persino rimodellamento dei genitali. Senza contare l'ambizione di rimanere sempre giovani.
Come in altri casi, tutti questi modelli che tendiamo a rincorrere sono essenzialmente degli "standard immaginari": le persone realmente normali non hanno quell'aspetto da statua greca. Peraltro, non è necessario averlo per piacere ed essere amati (come molti temono): ognuno ha gusti diversi, quindi non esiste un unico modello omologato di bellezza (anche se cercano di farcelo credere). Per esempio:
  • Ad alcuni uomini piacciono le donne minute, ad altri quelle in carne (nonostante il modello di magrezza sbandierata ovunque, in realtà gran parte degli uomini ama le donne prosperose e le curve; non va dimenticato che per tutta la storia umana, tranne gli ultimi 50 anni, il modello di bellezza femminile ideale è sempre stato curvilineo).
  • Certe donne preferiscono gli uomini robusti e muscolosi, altre quelli con un fisico più longilineo.
  • C'è chi preferisce i biondi, e chi i bruni.
  • Alcune donne sono attratte dagli uomini glabri, altre da quelli pelosi.
Senza contare che l'attrazione nasce da molteplici fattori, e il fisico conta solo in parte. Certo tutti apprezziamo la bellezza, ma una persona sana non desidera solo attori o le modelle (e chi vuole solo quelli, proprio sano magari non è).

Molti uomini, e la maggior parte delle donne, si dichiarano insoddisfatti del proprio aspetto fisico. Ma se quasi tutti si vedono come sbagliati, non è il loro aspetto (la realtà) il problema, ma l'idea di normalità (l'ideale) con cui si paragonano. Anche in questo settore, bisogna liberarsi dalla falsa idea di normalità che ci viene proposta, e rendersi conto che siamo normali come siamo, con i nostri difetti e imperfezioni. E che rincorrere una bellezza ideale e irraggiungibile non ci renderà più affascinanti, ma solo più frustrati.

Vivere senza normalità

Poiché siamo tutti diversi (ancorché simili nel nostro essere tutti umani), e poiché ognuno trova la felicità in un suo modo particolare (invece che seguendo modi standard e universali), l'idea di normalità - e che tutti dovrebbero aderirvi - è profondamente lesiva della dignità umana e del benessere individuale. E' una forma di "dittatura psicologica" (non dimentichiamo che la normalità è anche un mezzo che la società usa per farci pressione e manipolarci).
Ovviamente regole sociali comuni e modelli di riferimento sono necessari, ma questi non dovrebbero mai diventare schemi rigidi e imposti forzosamente (tranne, ovviamente, nei casi di comportamenti pericolosi o lesivi delle libertà altrui). Le regole sociali non dovrebbero riguardare i gusti e le preferenze personali, su cui dovrebbe esserci totale libertà.

Per chi si preoccupa che la normalità sia necessaria al buon funzionamento della società, o che teme per la perdita di valori, rammento che le regole e i valori sono sempre cambiati nella storia umana. Nonostante ciò la nostra specie non si è estinta, anzi ha prosperato, ed ha raggiunto condizioni sempre migliori che in passato (chi mai vorrebbe tornare ai tempi dei faraoni, o dei servi della gleba, o dell'inquisizione?).

Concludendo, occorre rendersi conto che perseguire la normalità conduce ad una grigia monotonia di piatta mediocrità. Anche per i credenti, è facile notare come Dio ami la diversità: basta osservare le infinite specie di piante e animali, o come ogni essere umano ha volto, occhi e impronte digitali uniche al mondo.
Insomma, la normalità non esiste realmente, e vivremmo tutti meglio senza.


Sul tema della (presunta) normalità, e su come invece sia importante vivere positivamente la propria soggettività, ho trovato interessante questa intervista allo psicoterapeuta Enrico Maria Secci.

Se avete un tema significativo su cui trovate che la pretesa di normalità produca effetti nocivi, potete proporlo nei commenti; vedrò se mi è possibile aggiungerlo al post.

"Visto da vicino, nessuno è normale."
(Oscar Wilde)

"Le uniche persone normali sono quelle che non conosci molto bene."
(Alfred Adler)

"Nessuno si rende conto che alcune persone spendono quantità incredibili d'energia solo per essere normali."
(Albert Camus)


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Se gli argomenti di questo post ti toccano da vicino e vorresti discuterne, approfondire, o rivolgermi delle domande; oppure se senti il bisogno di parlare dei tuoi problemi, puoi chiedermi un colloquio.

Perché si soffre



Premessa: a differenza del tema generale di questo blog, questo post non ha lo scopo di aumentare la felicità; anzi, può essere persino deprimente. Allora perché leggerlo? Perché potrebbe aiutarti ad accettare la sofferenza, invece che fartene abbattere (magari pensando che se soffri è colpa tua o sei sbagliato) o lottare inutilmente contro di essa quando è inevitabile. Aiuta quindi ad essere più in pace, ed a capire i motivi per cui soffriamo.

L'idea per questo post mi è venuta scoprendo che una ricerca comune su Google è "Perché si soffre". E' una domanda che tocca tutti noi, che l'uomo si è sempre posto, e a cui sono state date molte risposte; qui riporto le spiegazioni che a me sembrano più sensate.

La sofferenza è naturale

Dobbiamo partire dal riconoscere che la sofferenza è naturale, è parte della vita. 2500 anni fa, Buddha ha dedicato la sua esistenza al comprendere ed eliminare la sofferenza: una delle sue conclusioni è che "La vita è sofferenza" (anche se una traduzione migliore sarebbe "Nella vita sono insiti sofferenza, impermanenza e cambiamento"). Che io sappia, nessuno l'ha mai realmente smentito.
(N.B.: Buddha non afferma che la vita è sempre sofferenza, ma che una certa quantità di sofferenza è inevitabile, proprio per il fatto di essere vivi e soggetti a certe condizioni)

Quindi, quando soffri non sempre c'è un colpevole o una causa eliminabile: a volte è come va la vita. A questa conclusione sono giunte anche diverse filosofie; per esempio, nell'antica Grecia lo Stoicismo consigliava di vivere in armonia col destino, anche avverso, per raggiungere così serenità e saggezza.

La sofferenza è inevitabile (a volte)

Perché soffrire - a volte - è inevitabile? Quanto meno per le seguenti ragioni:
  1. A volte non accade quello che vogliamo.
  2. A volte accade quello che non vogliamo.
  3. Tutto è impermanente, tutto cambia; quindi, prima o poi perderemo quello a cui teniamo.
  4. Un giorno tu morirai - e questo vale per chiunque.
  5. Poiché siamo tutti diversi, e spesso vogliamo cose diverse, ci sarà sempre qualche disaccordo o conflitto con le altre persone.
E' da notare che queste ragioni valgono per tutti, qualsiasi sia la loro condizione: non c'è modo di sfuggirle. Alcuni coltivano l'illusione che ci siano dei "trucchi" per sfuggire alla sofferenza (il denaro, il potere, la bellezza, la fede...), ma è tutto vano.
Certo, la sofferenza può essere diminuita, sia con azioni concrete che con il giusto atteggiamento (gli insegnamenti del Buddha hanno questo scopo), ma la sua eliminazione totale è semplicemente illusoria. Anzi, ostinarsi ad eliminare la sofferenza può portare al risultato opposto.

“Queste ragioni valgono per tutti,
non c'è modo di sfuggirle”

La vita e il mondo non sono fatti a nostra misura

Il mondo non è fatto per renderci felici. Anche se ci piacerebbe tanto che lo fosse, e alcune religioni ci dicono che è così, non c'è alcuna prova a favore, ma ce ne sono molte contro. Non è il mondo che deve adattarsi a noi; piuttosto, siamo noi che dobbiamo adattarci al mondo, se vogliamo realizzare quello che desideriamo.

Allo stesso modo, la vita non è fatta per renderci felici: l'esistenza, per sua stessa natura, è spesso dura, complicata e incerta. Per milioni di anni la mera sopravvivenza è stata un problema quotidiano, e tuttora lo è in molte parti del mondo. Elementi che rendono la vita difficile, come l'egoismo, l'avidità e la competizione, sono parte di ogni essere vivente (anche perché portano un vantaggio evolutivo). L'idea che l'esistenza possa - o debba - essere facile e senza problemi è profondamente ingenua e disinformata.

Poiché la vita non è fatta per renderci felici, aspettarci che lo faccia è egocentrico e infantile. La vita - semmai - ci offre delle opportunità per essere felici, ma sta a noi coglierle e svilupparle. La felicità personale non è mai scontata o un diritto (anche se a volte può arrivarci come dono inaspettato), ma è una creazione e una conquista che richiede impegno e risorse. Se non siamo felici e vorremmo esserlo, dovremmo chiederci cosa stiamo facendo, concretamente, per diventarlo.

(N.B.: dicendo che "il mondo (o la vita) non sono fatti per renderci felici", non intendo certo dire che siano fatti per renderci infelici. Semplicemente non sono al nostro servizio, quindi non possiamo aspettarci che si occupino della nostra felicità; quel compito spetta a noi stessi)

Non siamo speciali come ci dice la religione

Perché reagiamo con tanto stupore e smarrimento quando ci accadono eventi spiacevoli? In parte, io credo, perché la religione cristiana (come anche le altre religioni monoteiste) ci dice che noi umani siamo creature speciali e privilegiate, che Dio ci ama in modo particolare, ecc. Questo crea aspettative irreali: che la realtà si adatti a noi, che soddisfi i nostri bisogni, che se ci comportiamo bene saremo felici e protetti dal dolore. Anche se queste convinzioni sono confortanti, purtroppo sono anche alquanto illusorie: e quando vengono infrante, la delusione può essere terribile.
In realtà non siamo così speciali: rispetto agli animali abbiamo capacità avanzate e una coscienza, è vero (ma queste ci portano anche "doni" quali angosce esistenziali, nevrosi e depressione). Ma a parte quello, la vita umana si svolge come per gli animali: nasciamo con paura e dolore, viviamo in competizione per ottenere quel che vogliamo, ci ammaliamo, patiamo la decadenza, e infine moriamo.
Non ci viene riservato nessun "trattamento di favore". Nonostante le enormi risorse che spendiamo per allontanare paure e sofferenze (gran parte del consumismo può essere visto come un tentativo in questo senso), il nostro destino rimane simile a quello di tutte le altre creature viventi.

Dal mio punto di vista, le religioni dicono spesso cose non vere. Ma se credere negli insegnamenti religiosi per te funziona, ti fa stare bene, e ti fornisce le risposte di cui hai bisogno, va benissimo; non intendo convincerti del contrario. Però, se quello in cui credi non corrisponde alla tua realtà, o se ti genera confusione e sofferenza (invece di pace e benessere), forse è il caso di metterlo in discussione.


Principali fonti di sofferenza

Di seguito elenco alcune delle principali fonti da cui proviene la nostra sofferenza. Averne chiara l'origine può aiutarci a gestirla meglio, ad accettarla (se non vi è alcun rimedio), oppure a cercare una possibile soluzione.

Sofferenza causata dagli altri

Quando la sofferenza è causata da altri esseri umani (dalle liti in famiglia alle guerre mondiali), è facile pensare che quelle persone siano cattive, stupide o ignoranti. Ma in molti conflitti non c'è chi ha "ragione" e chi ha "torto", bensì ogni parte ha le sue ragioni. Quello che a te sembra sbagliato o assurdo, per altri può essere l'azione migliore: siamo tutti diversi, e vediamo le cose in modi differenti.

Questo vale anche per i presunti "bene" e "male". Alcuni credono che, se eliminassimo il "male" (o i "cattivi"), la sofferenza sparirebbe. Ma chi decide cosa è bene o male? In genere, vediamo come "bene" ciò che è positivo per noi, e come "male" ciò che è negativo per noi. Ma quello che è male per qualcuno, potrebbe essere - e spesso è realmente - bene per qualcun altro. Inoltre, quello che ci sembra positivo oggi, potrebbe rivelarsi negativo domani (come illustrato dalla storia del contadino che ad ogni evento commentava: "Fortuna o sfortuna: chi può dirlo?"). E allora, chi ha ragione?
In realtà, bene e male sono "categorie immaginarie", giudizi arbitrari e soggettivi. Prendiamo l'esempio del leone che insegue la gazzella per mangiarla: chi ha ragione e chi torto? Quale animale dovrebbe morire, e perché? Ovviamente, sia il leone che la gazzella avranno sull'argomento pareri ben diversi... e così è per noi: spesso giudichiamo un evento "bene" o "male" a seconda se siamo nella posizione della gazzella o del leone.

Niente di personale

Inoltre, quando qualcuno ci ferisce tendiamo a prenderla sul personale, a pensare che ce l'abbia con noi o che ci voglia male. Ma invece, molto spesso questo accade per ragioni che non c'entrano nulla con noi: quella persona potrebbe avere avuto una giornata storta, o è malato, o non ci ha compresi, o era distratto, o seguiva una sua necessità, oppure vede le cose diversamente da noi. Tenere presente questo ci aiuta a non vedere gli altri come "nemici" e noi stessi come "vittime".
Allo stesso modo, quando la vita ci fa soffrire, il più delle volte non riguarda noi personalmente, non c'è un motivo per cui ci capita: non è che il mondo ce l'abbia con noi (vedi paragrafo sui disastri naturali), o che veniamo puniti per qualche ragione. Certo, a volte soffriamo perché commettiamo degli errori (se attraverso la strada senza guardare e mi investono, se non mi preparo per un esame e mi bocciano), ma queste non sono "punizioni" (non c'è una causa morale), bensì conseguenze; in questi casi, dobbiamo imparare dai nostri errori e migliorare, per evitare di ripeterli.

Sofferenza causata dalla società

Una causa di sofferenza ampiamente diffusa ma di cui siamo spesso inconsapevoli, è quella causata dalle regole e dalle costrizioni sociali. Anche se non ce ne rendiamo conto perché vi siamo abituati fin dall'infanzia, siamo continuamente condizionati a reprimere ciò che sentiamo, quello che vorremmo dire e fare, per adeguarci alle norme e alle esigenze altrui (dalle persone intorno a noi fino alle leggi dello Stato).
Come aveva osservato già Freud, questa continua repressione è una delle principali cause di nevrosi e malesseri psichici. Negare il proprio sé, la propria natura autentica, non può essere privo di conseguenze. Al tempo stesso, questa repressione è il "prezzo da pagare" per tutti i vantaggi che ci porta il vivere in società: sicurezza, facile accesso a cibo e risorse, supporto, condivisione di mezzi e informazioni, possibilità di creare cose che da soli mai potremmo.

Per essere completamente liberi, l'alternativa sarebbe vivere da soli come eremiti - ma le ragioni per cui non lo facciamo sono ovvie. Certo ci possono essere modi migliori e più armoniosi di vivere in società (la democrazia è assai meglio di dittature o monarchie), ma una vita sociale sarà sempre limitante: in primo luogo, ma non solo, perché la mia libertà finisce dove comincia quella altrui.
Attenuare la sofferenza del vivere in gruppo è però possibile, in vari modi:

Sofferenza causata da noi stessi

A volte soffriamo per cause esterne a noi, senza che ne abbiamo colpa alcuna; altre volte, siamo noi stessi a causare gli eventi che ci fanno soffrire. E' importante riconoscere quando è vero il secondo caso, e assumercene la responsabilità - altrimenti non sapremo cambiare, e continueremo a creare la nostra stessa sofferenza.

Due cause specifiche per cui a volte creiamo le nostre sofferenze, sono l'ignoranza e le illusioni (cioè credere a cose non vere).

Non è mai abbastanza

A volte soffriamo perché vediamo la nostra vita in modo distorto: ci concentriamo sui lati negativi e trascuriamo quelli positivi. Per la maggior parte del tempo, la nostra mente funziona così: se nella tua vita hai nove cose positive ed una negativa, tenderai a soffrire per quell'una che non funziona, e trascurerai di apprezzare le nove che vanno bene.

Anche quando le cose ci vanno bene, di rado sappiamo goderci il momento presente; invece, tendiamo a desiderare altro e di più. Qualunque obiettivo raggiungiamo, non è mai abbastanza. Quindi viviamo proiettati verso una ipotetica felicità futura, invece di sentirci felici per quello che siamo e abbiamo. La felicità possibile nel presente ci sfugge perché siamo concentrati su quella immaginaria nel futuro.

Sofferenza causata dalle aspettative

Ogni volta che abbiamo un'aspettativa irreale o impossibile (sia verso il mondo esterno che verso se stessi), finiamo col crearci frustrazione e infelicità. Spesso non sono gli eventi in sé che generano la sofferenza, ma le aspettative che abbiamo in proposito: se ottengo 100 e mi aspettavo 200 sarò deluso; ma se ottengo 100 e mi aspettavo 50, sarò ben contento. Stesso evento, diversa reazione.
Se siamo spesso frustrati da quel che ci capita, è bene chiedersi se le nostre aspettative siano esagerate. Se ci aspettiamo che tutto vada a modo nostro (il mondo, la vita, il comportamento altrui...), ci ritroveremo costantemente insoddisfatti.

Sofferenza causata dalla competizione

A volte soffriamo perché ci sentiamo spinti alla competizione:
  • lo sforzo negli studi per acquisire competenze che diano maggiori opportunità;
  • la lotta per ottenere un posto di lavoro, e poi per fare carriera;
  • la conquista di un partner e la paura dei tradimenti, ecc.
Anche se queste situazioni ci possono apparire crudeli, in realtà sono anch'esse "naturali", perché la natura stessa funziona secondo principi di "competizione darwiniana". In natura, si è spesso alla ricerca di risorse (cibo, riparo, partner), e in lotta contro altri individui e condizioni avverse: i più adatti prosperano, i meno adatti stentano o periscono. Gli esseri umani hanno sviluppato la società anche per attenuare queste condizioni (per esempio, tramite leggi uguali per tutti e servizi condivisi), ma la competizione rimane alla base della nostra natura (tutti vorrebbero il meglio, ma non tutti possono averlo).

La giustizia non esiste in Natura

A volte soffriamo perché subiamo delle ingiustizie. Per gli esseri umani la giustizia è un concetto primario, al punto che ci sembra una "legge naturale" - ma non è affatto così. In Natura non esiste giustizia o equità, ma vige la lotta per la sopravvivenza e la prevalenza del più adatto.
La dimostrazione che l'esistenza non è equa né giusta è evidente: ci sono stati decine di tentativi di assassinare Hitler e sono tutti falliti; invece a persone buone, generose o innocenti (come bambini) capitano a volte incidenti o malattie terribili.

Sicuramente è importante impegnarsi per un mondo equo e giusto, per noi e per gli altri, ma non dovremmo stupirci se questo non sempre avviene. La giustizia è una invenzione umana, una base essenziale della società ma comunque imperfetta, un ideale che non sempre si riesce ad applicare.

Sofferenza per disastri naturali

Quando accadono disastri naturali (terremoti, eruzioni, uragani, tsunami, ecc.), siamo sconvolti e atterriti. Ci chiediamo il perché accadono eventi così terribili, la ragione di tanta sofferenza. La risposta che si davano gli antichi era l'ira o la vendetta di qualche dio; anche tutt'oggi alcuni vedono questi disastri come punizioni divine. Ma questi sono modi ingenui di dare una spiegazione "umana" ad eventi tanto più grandi di noi.
In realtà, i disastri naturali sono semplicemente meccanismi nel funzionamento del nostro pianeta. Non hanno nulla a che fare con la nostra presenza: accadevano miliardi di anni fa, quando noi non c'eravamo, e accadranno quando noi saremo estinti. La Terra segue il suo corso, ignara delle conseguenze per le creature che ospita; un po' come un elefante che è ignaro delle formiche che possono essere sul suo dorso.

Sofferenza senza senso

Dare una spiegazione agli eventi è un bisogno umano, e forse per questo certe religioni o filosofie dicono che ogni evento ha sempre un senso, un suo scopo. Ma quello che accade non sempre ha un senso: un terremoto, un'eruzione o uno tsunami non hanno alcuno scopo, accadono e basta (anche se hanno una spiegazione scientifica).
E' vero che c'è sempre un motivo agli eventi, ma non sempre il motivo è morale (le leggi naturali, la fisica o la biologia, sono amorali e indifferenti ai destini umani), sensato o logico ai nostri occhi (una malattia segue una sua "logica" biochimica che prescinde dalla nostra).

Superare la sofferenza


La sofferenza non è un segno

Anche a causa di certi insegnamenti religiosi o "new age" (per quanto ben intenzionati), che credono in una connessione diretta tra le nostre virtù o azioni, ed i risultati che otteniamo, certe persone vedono la sofferenza come un segno che hanno sbagliato, sono "peccatori" o hanno "perduto la grazia di Dio": "Se avessi fatto tutto giusto - pensano - allora tutto andrebbe bene". Come ampiamente spiegato sopra, invece, gli eventi negativi capitano a tutti, buoni e cattivi, a volte senza alcun motivo. E' evidente che non sempre i "buoni" vengono premiati e i "cattivi" puniti.
Quando soffriamo, non vuol dire che siamo sbagliati, incapaci o colpevoli. A volte dipende dalle nostre azioni, ma altre volte succede solo perché siamo nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

“Quando soffriamo,
non vuol dire che siamo sbagliati,
incapaci o colpevoli”

Non tutto il male viene per nuocere

La sofferenza non è solo negativa, presenta anche degli aspetti "luminosi" e utili:
  • Ci fa crescere, ci spinge a migliorare ed evolverci.
  • Ci insegna a comprendere la sofferenza altrui (se non abbiamo provato un dolore particolare, non possiamo capire chi si trova in quella situazione). Aumenta la nostra empatia e compassione.
  • Ci induce ad apprezzare le cose positive (se fosse tutto facile e scontato, non lo apprezzeremmo).
Quindi, per certi versi la sofferenza ci rende più umani, più tolleranti e più saggi.

Altre risposte alla sofferenza

Nei casi in cui la sofferenza sia inevitabile, prendersela a male o combatterla è inutile (e persino controproducente): farlo non fa che aumentare la sofferenza stessa. E' molto più produttivo concentrarsi su quel che di positivo abbiamo nella nostra vita, e godercelo. Anche quando non possiamo diminuire l'oscurità, possiamo però aumentare la luce.

Poiché l'esperienza della sofferenza è eterna e universale, nel corso del tempo l'uomo ha sempre cercato risposte e rimedi:
  • Come già accennato, la filosofia ha proposto numerose interpretazioni e metodi per affrontare la sofferenza e l'ignoto.
  • La classica "Preghiera della serenità" offre un'ispirazione preziosa per affrontare le preoccupazioni.
  • La psicologia e la comprensione dell'animo umano, offrono molti strumenti per diminuire la sofferenza e aumentare la felicità.
  • Coltivare una posizione di "ragionevole saggezza" (una visione realistica, in equilibrio tra gli estremi dell'ottimismo ingenuo e del pessimismo disperato), ci permette di affrontare meglio la sofferenza ed esserne meno influenzati.


"Un uomo che teme di soffrire, soffre già di quello che teme."
(Michel E. de Montaigne)

"L'unica effettiva disgrazia, la sola tragedia autentica, accade quando soffriamo senza imparare la lezione."
(Emmet Fox)

"Una volta che veramente comprendiamo che la vita è difficile, una volta che veramente lo capiamo e lo accettiamo, allora la vita non è più difficile.
Perchè una volta che si è accettato il fatto che la vita è difficile non importa più."

(M. Scott Peck)


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