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Pace e serenità in un momento

Ho letto da qualche parte in Rete questo suggerimento: "Try letting go of everything": prova a lasciar andare ogni cosa, ogni preoccupazione, obiettivo, pensiero, ogni cosa che si agita nella mente...
Ho provato a metterlo in pratica in un momento in cui ero afflitto da ansie e preoccupazioni, ed effettivamente mi sono sentito in pace, sereno, limpido come un cielo terso.
Se non mi attacco a nulla, nemmeno al mio istinto di sopravvivenza... cosa può spaventarmi o angosciarmi?
Se non mi aspetto o pretendo nulla dalla realtà, allora la realtà andrà bene così com'è.

Svuotare la mente

In pratica, si tratta di creare una specie di "vuoto mentale", fare silenzio, spegnere l'incessante flusso di pensieri nella mente. In effetti, è una forma di meditazione.
Nessun pensiero rivolto al passato, nessuno al futuro: questo ci lascia nell'istante presente, liberi.
In fondo, quasi tutta la sofferenza proviene dal passato (rammarichi, rimpianti, risentimenti...), e quasi tutte le preoccupazioni sono rivolte al futuro (paure, desideri, ambizioni...). Se liberiamo la mente da passato e futuro, anche sofferenze e preoccupazioni spariscono da essa.

E' probabile che, dopo qualche istante, i pensieri si ripresentino: non c'è problema, lasciamoli di nuovo cadere, e sperimentiamo nuovamente la sensazione di pace.
L'obiettivo non può essere liberarsi definitivamente dei pensieri negativi (questo è praticamente impossibile; il compito principale della mente è affrontare e risolvere problemi). Possiamo però imparare a controllare la mente, a dirigerla dove preferiamo; più proviamo a farlo, più ci diventa facile.

“La sofferenza
proviene dal passato,
le preoccupazioni
sono rivolte al futuro”

Non è una soluzione... ma almeno è un sollievo!

Naturalmente questo atteggiamento non risolve i problemi concreti. Ma se quello che vogliamo (almeno per qualche momento) è pace e serenità, ecco che questo funziona; e non dipende da niente e nessuno, solo da noi stessi.
Il più delle volte la sofferenza non è creata dalla realtà, ma dalla opinione che abbiamo su di essa (o dal nostro bisogno che sia diversa da come è): finché non la giudichiamo, ogni cosa è neutra; è semplicemente quello che è. E' la nostra mente ad attribuirgli un valore negativo o positivo.
Questo è dimostrato dal fatto che, per ogni oggetto od evento, persone diverse gli attribuiscono valore diverso:
  • Un piatto di minestra è un dono prezioso per l'affamato, ma un pasto poco gradito al raffinato gourmet.
  • Una giornata di pioggia è un dramma per chi organizza una festa all'aperto, un sollievo per chi soffre il caldo, una benedizione per l'agricoltore.

La vita esiste solo nel momento presente

Nella nostra mentalità abituale (occidentale?), crediamo che saremo felici (o in pace) quando avremo raggiunto quello che vogliamo. Ma anche quando lo raggiungiamo ci sarà ancora qualcos'altro che ci manca, e ancora, e ancora...
E' nella natura umana cercare sempre di più, e meglio. Per questo la convinzione "Sarò felice quando..." è ingannevole. E' un bersaglio mobile: pone l'accento sul futuro, mentre la vita esiste (e può essere goduta) solo nel momento presente.

“La sofferenza
non è creata dalla realtà,
ma dall'opinione
che abbiamo su di essa”

Padroni del desiderio, o suoi schiavi?

Con questo non voglio suggerire di non desiderare più nulla, diventare inerti o indifferenti. Il desiderio è un potente "motore" di trasformazione e miglioramento.
Il problema nasce quando il desiderio ci "possiede" e, invece di essere al nostro servizio, ci rende suoi schiavi (pensiamo a come si sente miserabile un innamorato respinto).

Quando questo succede, possiamo spostare la nostra attenzione dagli eventi (che non sempre vanno come vogliamo, e che non sempre possiamo cambiare) al nostro stesso desiderio: se esso è la fonte della nostra angoscia e tormento, allora possiamo lasciarlo andare, e liberarci del dolore.
Persino di fronte all'evento più spaventoso, o alla minaccia più grave, se io lascio andare il mio desiderio che la situazione sia diversa, resterò sereno (non dico che sia facile, ma è possibile).

A meno che... a meno che siamo attaccati al nostro dolore e disperazione. Allora non saremo mai disposti a lasciarli andare.
Ma questo è argomento per un altro post. ;-)

"Niente potrà darti pace se non te stesso."
(Ralph Waldo Emerson)


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Guadagniamo di meno o spendiamo di più? [aumento costo della vita]

E' opinione comune che il costo della vita sia aumentato notevolmente, rispetto a qualche decennio fa. O, in altri termini, che il potere d'acquisto dei salari sia fortemente diminuito.
Pur riconoscendo che in parte questo è realmente accaduto, mi sono chiesto quanto sia vero in termini oggettivamente matematici, e quanto invece sia una percezione dovuta all'aumento dei consumi.
Al giorno d'oggi esiste una vasta gamma di consumi, che 30 anni fa semplicemente non esistevano. Poiché la loro introduzione è stata progressiva, essi ci appaiono come parte integrale e scontata dei nostri stili di vita... ma, ugualmente, rappresentano un costo che prima non c'era (o era minore).

Una lunga lista di nuovi "bisogni"

Proviamo a pensare a tutti quegli acquisti, oggi pervasivi, che agli inizi degli anni '80 ancora non esistevano, o non facevano parte dello stile di vita comune... ma che oggi riteniamo bisogni più o meno irrinunciabili:
  • Cellulari e smartphone (in costante rinnovamento), e bisogno continuo di comunicare
  • Computer (e periferiche, accessori, programmi...)
  • Internet, e connessione sempre e ovunque (Wi-Fi, chiavette, computer portatili...)
  • L'invasione dei dispositivi mobili (iPad, iPhone e tutti gli altri...)
  • Televisori LED, 3D, 4K, sempre più grandi
  • Canali TV a pagamento, film e serie televisive "on demand"
  • DVD e Blu-Ray disc
  • Navigatori satellitari
  • Videogiochi e console
  • Climatizzatori
  • Automobili con airbag, ABS, ESP, catalizzatore, navigatore, predisposizioni audio... (tutte cose che rendono un'auto più complessa e costosa). Le auto sono diventate sempre più grandi, potenti e pesanti
  • Abiti firmati
  • Chirurgia estetica
  • Vacanze all'estero, settimane bianche, viaggi nei weekend
  • Scolarità prolungata dei figli
  • Corsi e attività extra-scolastiche per i figli
  • Accompagnare i figli a scuola e alle attività, quindi necessità di una seconda auto in famiglia
  • Fitness, diete, alimenti "speciali"
  • Cure, trattamenti ed esami sanitari recenti
  • Cambiamento nelle ambizioni abitative: c'è stata una forte tendenza verso le case fuori città (il che porta a più auto, più spese di trasporto, meno tempo...) o unifamiliari (mutuo più alto, maggiori spese...). Fino agli anni '70 molti italiani vivevano ancora in case di ringhiera.

“Oggi c'è una gamma di consumi
che 30 anni fa
non esistevano”

Guadagnare 100 e spendere 120

Se in parte è vero che il potere d'acquisto è diminuito, quanta parte del reddito viene assorbita da questi "nuovi" consumi? Questa vasta gamma di bisogni indotti, quanto genera una "impressione di povertà"?
Se ieri guadagnavo 100 e spendevo 80, ed oggi guadagno ancora 100 ma voglio di più e spendo (o vorrei spendere) 120... ecco che mi sento più povero di ieri (anche se il mio stipendio è rimasto uguale).

Facciamo un conto veloce e per difetto (euro al mese, per famiglia):
  • Telefonia cellulare (acquisto, abbonamenti, ricariche) = 40-120
  • Computer (2, ogni 3 anni) = 40-60
  • Internet sempre connessa = 20-40
  • Pay TV = 20-40
  • DVD, videogiochi, media vari... = 40-100
  • Abbigliamento "di moda" = 40-120
  • Seconda auto = 80-120
Totale, da 280 a 600 euro al mese (considerando una famiglia a reddito medio-basso, ed una a medio-alto), solo per questi consumi "nuovi"! (che sono soltanto una parte dell'elenco precedente).

Ipnotizzati dai media

Questo fenomeno è in parte dovuto ai media e alla pubblicità, che contribuisce a farci sembrare "normale" un certo stile di vita (sofisticato, complesso e costoso), perché ci viene continuamente presentato davanti agli occhi. Un fenomeno ulteriormente accentuato dai social network, dove molti si sforzano di mostrarsi al meglio e sfoggiare una vita "al massimo" (che spesso non corrisponde al vero), stimolando sensazioni di tristezza, solitudine e inferiorità.

Da una parte ci si sente quindi "in diritto" di vivere in quel modo e, dall'altra, si tende a farlo per non sentirsi "inferiori" agli altri: una tendenza che, nel mondo anglosassone, è ben conosciuta ed ha anche un nome: "Keeping up with the Joneses". Significa "Stare dietro ai signori Rossi", e indica il bisogno di acquistare ed esibire per non sentirsi inferiori a chi abbiamo intorno. Negli USA è una patologia riconosciuta, nonché una conclamata causa di problemi economici di molte famiglie.

“Sui social network
molti si sforzano
di mostrarsi al meglio”

Consumi in rialzo, anche con l'economia in ribasso

Si potrebbe osservare che il miglioramento delle condizioni di vita e l'aumento dei consumi, fanno parte dell'evoluzione della società. E' vero, ma questi ultimi decenni hanno visto un'espansione dei consumi rapida e straordinaria; i bisogni base della famiglia media inizio anni '80 non erano molto diversi da quelli degli anni '60: oltre alla casa, c'erano automobile, TV, frigorifero e lavatrice. Dopo di che c'è stata una continua accelerazione, specialmente nel settore tecnologico.
E' vero che il costo della tecnologia è progressivamente diminuito, ma la quantità di oggetti tecnologici che riempiono la nostra vita è dilagata (e la loro vita media si è abbreviata).
Inoltre, mentre nel trentennio 1950-1980 l'aumento dei consumi si è accompagnato a una crescita economica, nel trentennio successivo (1980-2010) l'espansione dei consumi è continuata nonostante il progressivo declino dell'economia, a partire dagli anni '90.

Consumi e felicità

A scanso di equivoci, non sto rimpiangendo il passato: non giudico l'oggi meglio o peggio di ieri (di certo è diverso, ma le valutazioni sono soggettive e personali). Mi chiedo solo quanto l'espansione dei consumi possa contribuire ad aumentare la "sensazione di povertà" (più aumentano i bisogni percepiti, meno le risorse appaiono sufficienti).
In tutta onestà, non mi sembra che - mediamente - siamo più felici di 30 anni fa. Personalmente, sono contento del progresso e non rinuncerei ad alcune delle cose elencate sopra... ma riconosco che non contribuiscono significativamente al mio livello di felicità; la felicità non sta negli oggetti.
Lo stesso si può dire della tendenza verso i "consumi vistosi", il cui valore non è intrinseco ma dipende dalla possibilità di aumentare il proprio status sociale (cosiddetti "beni Veblen"): questi consumi non danno soddisfazione in sé, ma solo in quanto ci fanno sentire migliori degli altri. Chi insegue questi status symbol non è mai soddisfatto, perché c'è sempre qualcuno che sfoggia uno status più elevato.

Una riflessione necessaria, a questo proposito, è sulla differenza tra "tenore di vita" e "qualità della vita" - una distinzione ignorata da molti. L'abbuffata consumistica è, in buona misura, dovuta al senso di vuoto e insoddisfazione diffusi: si crede che avere (o fare) sempre più cose possa riempire quel vuoto. Ma quel vuoto è interiore, di natura affettivo/esistenziale, e gli acquisti non possono mai colmarlo; possono dare solo un temporaneo sollievo.

“C'è una grande differenza
tra tenore di vita
e qualità della vita”

Non è colpa mia!

Di fronte a questa mia interpretazione, una possibile (e diffusa) reazione è di negazione: rifiutare la corresponsabilità nel problema, puntare l'indice solo su cause esterne (es. aumento dei prezzi, svalutazione dei salari...). In pratica, fare come i bambini che, presi "con le mani nel sacco", come prima cosa si difendono con un "Non è colpa mia!".
Ovvero, fa sempre comodo (ed è un istinto naturale) attribuire tutte le colpe all'esterno... ma spesso si è - invece - corresponsabili. Anche nel caso del costo della vita, il problema è in parte responsabilità del consumatore, che vuole sempre di più (anche quando non si tratta di beni primari e non se li può permettere).

Consumare non è un "diritto"

Il problema non sono i desideri o i consumi in sé: il problema è quando vengono dati per scontati, considerati un "diritto", e non più solo una possibilità. Quando una cosa ci appare scontata ma non possiamo averla, proviamo frustrazione e rabbia, ci sembra che ci sia stato fatto un torto. Pensiamo che ci sia un colpevole, che il mondo "funzioni male"; tendiamo ad attribuire all'esterno le cause del nostro malessere. Ci sentiamo infelici e crediamo che non dipenda da noi.
Invece, se siamo consapevoli che un desiderio è solo una possibilità, quando non possiamo (più) averla ne siamo - ovviamente - dispiaciuti, ma sappiamo che può accadere, che fa parte della vita; in cui a volte otteniamo quel che vogliamo, ed altre no.


Il tempo scomparso

Una considerazione simile si può fare a proposito del tempo a disposizione. Quando ero ragazzino (30-35 anni fa), la domanda più comune quando ci si ritrovava con gli amici era "Cosa si fa?". Era più facile trovare tempo che qualcosa da fare.
Oggi tutti si sentono terribilmente impegnati - sembra una specie di mania (o smània). Ovviamente, il tempo oggettivo è rimasto tale e quale: il giorno ha sempre 24 ore per tutti quanti. E certe innovazioni o apparecchi ci permettono anche di risparmiarne. Però, le attività possibili si sono moltiplicate, cosicché il nostro tempo ci appare sempre meno adeguato a tutto quello che vorremmo (o dovremmo) fare.

Anche in questo caso, quindi, non è diminuito il tempo a nostra disposizione (anzi, semmai è aumentato), ma è cresciuto a dismisura quello che vorremmo farne.
In altre parole, sembra che siamo tutti vittime di una "voracità" (di consumi, di denaro, di tempo...) in continua e incontrollata crescita.


"Il vero fine dei mezzi di comunicazione non è più quello di informare il cittadino, bensì di formare il perfetto consumatore."
(Giuseppe Altamore)


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Relazionarsi con fiducia o con paura

Riporto un'osservazione che non mi era mai venuta in mente... forse perché non avevo vissuto, prima d'ora, una relazione come quella che sto vivendo.

Sentirsi liberi e rilassati col partner

La mia relazione attuale ha, tra le sue caratteristiche principali, una grande accettazione e una sorprendente autenticità: ci sentiamo entrambi rilassati e liberi di essere spontanei, come mai ci era successo prima.
Anche nei momenti di conflitto, o quando ci siamo detti "Non mi piace questa cosa di te", c'è sempre stato un senso fondamentale di "Comunque sei ok". Non c'erano pressioni perché l'altro cambiasse.
Non c'era quella sottile sensazione - magari non detta ma presente - di "O cambi, oppure tra noi finisce male".

Relazionarsi con ansia e timore

Oggi, ripensando ad alcune mie relazioni passate, mi sono reso conto di quanto fosse comune una "tensione" di fondo, la paura (in genere inconsapevole) di fare la "cosa sbagliata", e quindi di incrinare (o perdere) la relazione. Una sorta di lieve (impercettibile) ansia costante, per cui non mi lasciavo realmente andare, stavo sul "chi vive".
Non c'era una totale serenità, rilassatezza, c'era sempre il timore - per quanto sottile - del giudizio e di una possibile reazione negativa (delusione, chiusura, fastidio...) da parte dell'altra persona.
E non era solo una paranoia mia: avvenivano realmente momenti di imbarazzo e disagio, in cui un gesto o una parola generavano una reazione sgradita (però quasi mai espressa chiaramente). Era come se si "rompesse" qualcosa, e seguiva una chiusura o un raffreddamento o un irrigidimento. Se chiedevo il perché di questo cambiamento, non ricevevo una spiegazione, oppure queste persone negavano che il cambiamento fosse avvenuto.

Queste stesse persone, ora mi rendo conto, sono quelle che - a un certo punto - sono "scomparse" senza dare spiegazioni, si sono allontanate senza darmi un motivo.

“C'era sempre il timore del giudizio
e di una possibile reazione negativa”

Problema solo mio, o problema di tanti?

Forse sono io ad essere particolarmente problematico o timoroso. Oppure ho incontrato una quantità anomala di donne emotivamente fragili o instabili, chissà.
Eppure, ho la sensazione che sia una dinamica diffusa: la paura di fare "passi falsi" (anche piccole mancanze) con gravi conseguenze; quindi un atteggiamento prudente e timoroso nelle relazioni, anche quelle più intime. La tendenza comune a giudicare ed essere giudicati, per cui ci sentiamo sempre "sul chi vive", in modo pressoché automatico. Mi chiedo a quante persone capiti.
In una società in cui l'immagine e la "facciata" assumono un'importanza sempre maggiore, forse siamo così occupati a presentare sempre la "maschera" migliore al mondo, da dimenticarci di essere quel che siamo. Così, ci può sembrare "naturale" questa tensione continua per non dispiacere o deludere chi ci sta accanto... ma, così facendo, perdiamo la possibilità di una relazione autentica.

Questa discordanza mi appare evidente ora, trovandomi in questa relazione dove non c'è tensione né paura, non ci si preoccupa di essere "giusti" perché non si può essere "sbagliati". Semplicemente, siamo quello che siamo, e ad entrambi va bene così.
Proprio questa rilassatezza ci ha permesso di essere sempre più spontanei ed autentici; il che ha reso la relazione più forte, profonda, intensa, appagante, un luogo dove ci si sente "a casa".

Compiacere l'altro per "comprare" l'amore?

Questo "sentirsi a casa" sembrerebbe la cosa più naturale del mondo in una coppia, eppure guardando il mio passato vedo che è stata più un'eccezione che la regola. E mi chiedo - nuovamente - a quanti succeda lo stesso: quanti vivano in quel disagio preoccupato, in una relazione che è una continua fonte di stress, magari senza nemmeno rendersene conto.
Cerchiamo amore... ma forse lo cerchiamo nel modo errato. Ci sentiamo amati solo quando siamo accettati per quel che siamo. Ma se cerchiamo di "comprare" l'amore forzandoci a compiacere l'altro, vivendo nel timore di sbagliare e quindi perdere la sua approvazione... c'è qualcosa che non funziona.
Se quell'approvazione dobbiamo "comprarla" fingendo di essere quel che non siamo, anche ricevendola non ne saremo appagati. Se sono amato quando non sono autentico, non mi sentirò amato: quell'amore non è rivolto a me, ma a chi fingo di essere.

In situazioni del genere, la scelta sembra essere tra:
  • Continuare il gioco (faticoso) della tensione attenta e dell'assecondare l'altro/a (sapendo che questo favorisce la stabilità della relazione);
  • Oppure abbandonare i timori ed essere autentici (col rischio di scontentare l'altro e perderlo).

“Ci sentiamo amati solo quando
siamo accettati per quel che siamo”

L'autenticità è il dono più grande

Questa autenticità potrebbe essere vista come egoismo ("Sono come sono, a prescindere da quello che tu vorresti"), ma è invece - secondo me - un dono:
  • Mostrandomi come realmente sono, offro all'altro il mio vero essere, la mia verità, il meglio di me (se poi non è di suo gradimento, amen, vuol dire che non siamo fatti per stare insieme).
  • Al tempo stesso, lo incoraggio ad essere - a sua volta - autentico. Se io mi mostro per quel che sono, perché non potrebbe farlo anche lei/lui?
    La mia autenticità diventa quindi il dono più grande, quello che dice "Anche tu vai bene come sei, sei ok".

Naturalmente, quando parlo di "autenticità" non intendo indifferenza o menefreghismo nei confronti dell'altro ma, semplicemente, mostrarsi come si è e ci si sente, senza fingersi diversi. Diventare "trasparente", rendersi visibile senza veli, maschere o artifici.


"Senza essere e rimanere se stessi, non c'è amore."
(Martin Buber)


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Per conquistare qualcuno, prova ad essere autentico

Qual è il miglior modo per avere successo nelle relazioni? E per "conquistare" una persona che ci piace? E' meglio cercare di compiacere gli altri, assecondarli, magari manipolarli... oppure è meglio essere sinceri, mostrarsi per come si è?
Insomma, seguire una strategia oppure essere autentici? L'approccio migliore, direi, dipende da quello a cui puntiamo:
  • Se vogliamo solo ottenere qualcosa a breve termine, allora è probabile che sia più adatta la strategia.
  • Ma se quel che ci interessa è la qualità e la profondità della relazione, allora essere autentici appare la via migliore.
Eppure, osservo con stupore quanto spesso le persone (anche nelle relazioni profonde), fatichino ad essere autentiche. Anche con partner e amici, quante volte ci nascondiamo? Quante volte recitiamo una parte, o tratteniamo quello che ci "pesa" dentro?

Preciso che sto parlando principalmente di relazioni personali; le situazioni lavorative sono un caso diverso. Nel lavoro è abbastanza ovvio che si punta a un risultato, più che alla relazione in sé; essere amici del capo o dei clienti può essere piacevole, ma l'obiettivo è - in genere - il reddito.
Questo non vuol dire che la falsità sul lavoro sia necessariamente remunerativa, anzi: l'onestà alla lunga rende meglio. Però gli scopi sono diversi: nel lavoro, non siamo lì per mostrare chi siamo, quanto per offrire una prestazione o servizio.

“Quante volte ci nascondiamo,
o recitiamo una parte?”

Autenticità e strategia

Quando parlo di autenticità, intendo dire "Mostrare quello che siamo e sentiamo, la propria verità, essere trasparenti e senza maschere". Non per uno scopo, ma solo perché è quello che siamo (possiamo avere uno scopo, ma questo non influenza il nostro comportamento).
In parole povere, "Essere se stessi".

Con strategia intendo, invece, qualsiasi atteggiamento che sia mirato ad ottenere un certo scopo. Non implica necessariamente falsità, ma non è nemmeno autentico, perché non spontaneo: se sorrido per rendermi simpatico, ma non corrisponde a ciò che sento in quel momento, è una strategia. Può accadere intenzionalmente, o involontariamente.
Qualche esempio di strategie:
  • Dire quel che non sentiamo davvero, o tacere quel che sentiamo
  • Nascondere un'emozione (specialmente negativa), o mostrarne una che non proviamo
  • Fare cose di cui non abbiamo alcuna voglia, fingendo di farle volentieri
  • Non fare le cose che corrispondono ai nostri gusti, per assecondare quelli altrui
  • Tenersi dentro pensieri, desideri, fantasie, sofferenze, che vorremmo invece condividere
Non sto implicando che usare strategie sia sbagliato o immorale. Anzi, spesse volte è necessario o richiesto. Tutti tendiamo ad usare delle strategie nelle relazioni:
  • Perché temiamo il giudizio altrui
  • Perché abbiamo bisogno di approvazione
  • Perché temiamo di non piacere per come siamo
  • Perché vogliamo ottenere qualcosa
  • Per evitare di ferire le persone
Ma, al tempo stesso, sentiamo anche l'esigenza di essere noi stessi; vorremmo poterci lasciar andare, ed essere accettati e amati per quello che siamo.

“Sentiamo l'esigenza
di essere accettati e amati
per quello che siamo”

Essere se stessi è una chimera?

La spontaneità è - relativamente - un mito: in quanto creature sociali e bisognose degli altri, non siamo mai del tutto spontanei. Nella vita sociale è abbastanza scontato usare strategie, non solo per ottenere qualcosa, quanto per regole sociali e buona convivenza. Veniamo educati fin da piccoli a compiacere gli altri in questo modo.
Le piccole bugie vengono definite un "lubrificante sociale", proprio perché senza di esse si creerebbero continui attriti. Tutti abbiamo insicurezze, fragilità e punti deboli che non vogliamo vengano urtati.

Nelle relazioni profonde, invece (siano esse sentimentali o di amicizia), l'autenticità è sia una possibilità che un'esigenza; in questo tipo di relazioni:
  • Vogliamo fidarci e sentire che l'altro è onesto, non ci sta ingannando, non mira a usarci: abbiamo bisogno e pretendiamo che l'altro sia autentico.
  • Vogliamo "lasciarci andare", calare le maschere e smettere le recite: abbiamo bisogno di sentirci liberi, di poter essere autentici.
Ma quante volte riusciamo ad essere noi stessi? Quando non ci riusciamo, qual è il motivo?
E specialmente quando una relazione sta nascendo, è meglio essere strategici o autentici?

I motivi per cui fingiamo

Il motivo fondamentale per cui fingiamo di essere diversi da quel che siamo, è la paura di essere giudicati negativamente e respinti. Se desideriamo entrare in relazione con qualcuno, temiamo di essere rifiutati; se siamo in una relazione, temiamo di essere puniti o abbandonati.
(Possiamo anche farlo per evitare di ferire qualcuno, ma è una motivazione minore).

E' quella paura, insieme al desiderio di ottenere quel che vogliamo (e la paura di non riuscirci), che ci induce ad usare strategie: tendiamo a credere che più compiaceremo l'altro, più facilmente otterremo quel che desideriamo da lui o lei (e per molti versi funziona).
Se, invece, ci comportiamo semplicemente per come siamo, c'è sempre la possibilità di non piacere o - addirittura - di allontanare l'altro. Adottare strategie sembra quindi l'atteggiamento più efficace: l'altro è contento, e noi con lui/lei!
Ci sono però diversi rischi o effetti collaterali dell'usare strategie:
  • E' moralmente discutibile, perché stiamo "ingannando" qualcuno: nella misura in cui il nostro comportamento non corrisponde a quello che siamo e sentiamo realmente, siamo artificiosi. Anche se magari con le migliori intenzioni (p.es. vogliamo farlo felice).
    C'è sempre il rischio di manipolare l'altro (fargli fare quel che altrimenti non farebbe) o di usarlo.
  • A livello pratico, non si può fingere all'infinito. Per errori involontari o per stanchezza, prima o poi l'artificio salterà fuori, e l'incoerenza con quel che siamo si manifesterà.
    Quando accadrà, la relazione ne soffrirà; l'altro potrà sentirsi ingannato, deluso, tradito.
  • Inoltre può rivelarsi controproducente (specialmente alla lunga), perché le persone - in genere - percepiscono l'artificiosità, e diffidano delle persone innaturali o poco spontanee.
  • Infine, non abbiamo mai la certezza di essere apprezzati o amati per quel che siamo. Rimane sempre il dubbio che, se smettessimo di "recitare la parte", tutto potrebbe crollare.

“Fingiamo per paura
di essere giudicati negativamente
e respinti”

I motivi per essere se stessi

Quindi, nella misura in cui usiamo delle strategie, rischiamo che la relazione ne risulti - prima o poi - danneggiata. Questo è particolarmente pericoloso agli inizi: se fondiamo la relazione su delle falsità (dicendo o facendo cose che non ci appartengono), essa si baserà su fondamenta fragili. Ciò può aumentare l'insicurezza e l'ansia di essere "scoperti", rendendo il relazionarsi un tormento (per lo sforzo di coprire le proprie finzioni), invece di un piacere.

D'altra parte, scegliere di essere autentici ci impone di confrontarci con le nostre insicurezze: la paura di non piacere, di non valere, di "non essere abbastanza". Potremmo dire che la capacità di essere autentici è direttamente proporzionale alla propria autostima.
Quando questa è abbastanza solida, accettiamo il rischio: se all'altro piaciamo per quel che siamo, bene... altrimenti, va bene lo stesso. Non cadrà il mondo; sopravviveremo; troveremo altre persone più in sintonia con noi.
Quando diventiamo abbastanza forti da trascurare le "vocine interiori" che ci ripetono "Non fare questo...! Devi fare quello...! Così non vai bene...", e ci concediamo il "lusso" di essere semplicemente quello che siamo, scopriamo un modo di relazionarci diverso e molto più sereno:
  • Meno stancante: non ci sforziamo più di fare cose controvoglia.
  • Meno stressante: non dobbiamo più indossare "maschere", né ricordarci di essere coerenti per evitare di scoprirci.
  • Ci sentiamo amati realmente: il sentimento dell'altro è rivolto a quello che noi siamo (e non alla "maschera").
  • Scopriamo una nuova qualità di relazione, più piena e appagante (finché nascondiamo la nostra verità, il livello rende a rimanere superficiale).
  • Viviamo nell'accettazione, di noi stessi e dell'altro.

“La capacità di essere autentici
è proporzionale
alla propria autostima”

Amare con autenticità

La scelta di essere autentici è particolarmente importante nelle relazioni a cui teniamo maggiormente. E' infatti indispensabile per creare qualità e profondità. Se non sono autentico io, non potrà esserlo la relazione.
Quando amiamo davvero qualcuno, il gesto più coraggioso che possiamo fare è proprio quello di lasciar cadere ogni maschera e mostrare il proprio volto. Per quanto la paura sia grande, senza quell'atto di onestà il nostro amore risulterebbe vuoto, privo di consistenza.
Chi ami, se ami qualcuno che non sono davvero io?
Come amo, se chi ti ama non è colui che tu credi?


Anche quando incontriamo qualcuno che ci piace molto, e faremmo di tutto per conquistarlo, e abbiamo timore di fare la minima cosa che possa contrariarlo...
Non facciamoci dominare dalle paure: teniamo presente che se il nostro obiettivo è l'amore, esso si costruisce sulla verità. Chiediamoci cosa vorremmo dall'altro (sincerità o piacevoli bugie?), e comportiamoci di conseguenza.
Se il nostro sentimento è sincero, esso verrà quasi sempre apprezzato, in qualche modo. Come ha scritto Dante, chi viene amato non rimane indifferente ("Amor, ch'a nullo amato amar perdona").
Certo è possibile che l'altra persona non ci ricambi allo stesso modo (ricordiamo che è impossibile piacere a tutti), se non corrispondiamo ai suoi gusti. Ma in questo caso non potremmo comunque fare molto: anche fingendo di essere come l'altro vorrebbe, è una recita che non può durare all'infinito. Senza contare che, il più delle volte, è difficile sapere cosa vogliono gli altri; per cui si rischia di recitare un "ruolo" sbagliato e inefficace!
Allora, tanto vale essere autentici e... se siamo ricambiati, saremo amati per quel che siamo. In caso contrario, troveremo altrove qualcun'altro che ci apprezzerà.

“Se non sono autentico io,
non potrà esserlo
la relazione”

Autentici, non indifferenti od ossessivi

E' il caso di precisare che l'autenticità ha uno scopo positivo, che rispetta l'altro. Essere autentici...
  • Non vuol dire agire sempre di testa propria, senza curarsi degli altri. Una persona "autentica" rispetta gli altri quanto rispetta se stesso.
  • Non vuol dire imporsi sull'altro, scaricare su di lui/lei quel che sentiamo senza riguardo, sopraffarlo con i nostri bisogni o problemi.
  • Non vuol dire ossessionare una persona che ci piace, ma che non ci ricambia o che non è interessata.
  • Non significa rinunciare alla propria privacy. Va bene avere dei segreti, se così vogliamo: autenticità non significa scoprire parti di noi che preferiamo - per il momento - tenere private.
  • Non significa nemmeno dire tutto quel che ci passa per la mente. Certi pensieri possono risultare fastidiosi, o dolorosi, o irrilevanti. Sta alla nostra sensibilità stabilire se rivelarli può arricchire la relazione o meno.
Naturalmente, ci saranno momenti in cui non abbiamo chiaro cosa sentiamo, non sappiamo quale sia la cosa migliore da fare; in cui avremo dei dubbi su cosa vuole l'altro, su cosa è meglio per lui o lei. In caso di dubbi, autenticità vuol dire esprimerli, condividerli, confrontarsi con l'altro.

Una relazione autentica è formata da persone che si vengono incontro e crescono insieme. Mentre in una relazione basata sulle strategie, ciascuno è concentrato principalmente su cosa vuole ottenere.


"Senza essere e rimanere se stessi, non c'è amore."
(Martin Buber)

"Quello che sono sarebbe sufficiente, se solo lo fossi a viso aperto."
(Carl Rogers)

"L'amore non bisogna implorarlo e nemmeno esigerlo. L'amore deve avere la forza di attingere la certezza in se stesso. Allora non sarà trascinato, ma trascinerà."
(Hermann Hesse)


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Quando problemi e sofferenze si ripetono

A volte ci ritroviamo nelle stesse situazioni dolorose, a fronteggiare lo stesso problema ripetutamente, e ci sembra impossibile uscirne.
La reazione più comune è quella di voler cambiare la situazione, o le altre persone coinvolte; ma non sempre è possibile. E' facile allora cadere nelle recriminazioni o nel vittimismo; ma, finché ci lamentiamo e accusiamo le circostanze esterne, continuiamo a girare in tondo: c'è fatica e "rumore", ma tutto rimane com'è.

Quando ripetere non giova

A volte, la situazione si ripete perché noi ripetiamo il medesimo comportamento, e contribuiamo a ricrearla. Ma riconoscere di far questo è difficile, perché vuol dire riconoscere la propria responsabiità a riguardo. E' sempre più facile accusare forze esterne: altre persone, la sfortuna, il governo, Dio...
Ma questa "scappatoia" ci lascia impotenti e passivi: siamo sempre lì, e nulla si risolve. E' solo quando riconosciamo di essere parte del problema, e siamo disposti a cambiare le nostre azioni, che riusciamo ad uscire dal blocco.

Uno splendido esempio di questo concetto, è espresso nel breve racconto che riporto di seguito.

Autobiografia in cinque brevi capitoli

di Portia Nelson

I
Sto camminando per strada.
Nel marciapiede c’è una profonda buca.
Ci cado dentro.
Mi sento perduto... impotente.
Non è colpa mia.
Per trovare il modo di uscire mi ci vuole tantissimo tempo.

II
Sto camminando per la medesima strada.
Nel marciapiede c’è una profonda buca.
Faccio finta di non vederla.
Ci cado dentro di nuovo.
Non posso credere di trovarmi ancora nella medesima situazione.
Ma non è colpa mia.
Per trovare il modo di uscire mi ci vuole ancora molto tempo.

III
Sto camminando per la medesima strada.
Nel marciapiede c’è una profonda buca.
Mi accorgo che c’è.
Ci cado dentro... è un’abitudine.
Ma ora ho gli occhi aperti.
So dove sono.
E’ colpa mia.
Esco subito.

IV
Sto camminando per la medesima strada.
Nel marciapiede c’è una profonda buca.
Ci giro intorno.

V
Scelgo un’altra strada.

Sentirsi in trappola

Quanti di noi si ritrovano nella protagonista? Penso che ci siamo "caduti" tutti, prima o poi.
Quando ci ritroviamo in quel tipo di "buca", siamo sommersi da rabbia, frustrazione, ansia e accuse. Ci sentiamo intrappolati, disperati, perseguitati da un destino avverso, o dalla cattiveria altrui. Offuscati da queste emozioni, ci riesce difficile trovare soluzioni ed uscirne - se mai ci riusciamo.

La vita è una conseguenza delle scelte

Quello che a volte ci dimentichiamo, è che la vita che abbiamo è - in buona parte - il prodotto delle scelte che abbiamo fatto. Poiché siamo sempre liberi di fare scelte diverse, abbiamo anche la possibilità di cambiare direzione.
E' vero che alcuni avvenimenti sono fuori dal nostro controllo, e/o sono inevitabili. Però possiamo sempre scegliere come reagire ad essi. Non posso impedire che piova... ma posso procurarmi un ombrello.

Attenzione: finché siamo convinti di non avere scelta (il che può accadere perché ci crediamo, o perché questo ci ripara dalla responsabilità del cambiamento), stiamo anche rinunciando al potere sulla nostra vita: potere e responsabilità sono strettamente intrecciati.
La responsabilità può spaventarci; per questo, molte persone vivono passivamente, lasciandosi trasportare dagli eventi, o lasciando decidere ad altri. Purtroppo, questo porta - inevitabilmente - a ritrovarsi in una vita che è distante da come la vorremmo.

Vivere ad occhi aperti

E' una questione di aprire gli occhi, di onestà con se stessi... di consapevolezza. Quando smettiamo di raccontarci bugie (o rassicuranti illusioni), la visione si schiarisce e sappiamo cosa fare. Vediamo la strada, vediamo il buco, ed usciamo dal circolo vizioso.

Poiché le traduzioni perdono sempre qualcosa, per chi conosce l'inglese qui è presente la versione originale del racconto che ho riportato sopra.


"La definizione di follia è fare la stessa cosa ripetutamente, e aspettarsi risultati diversi."
(Albert Einstein)


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Avere più soldi può renderti infelice?

Una convinzione molto diffusa, è che la felicità cresce di pari passo con la ricchezza. Ma le convinzioni sono spesso ingannevoli, ed anche questa sembra esserlo.
Per esempio, alcune ricerche hanno dimostrato che, una volta raggiunto un certo livello di reddito (che soddisfi le esigenze base), ulteriori aumenti non influiscono significativamente sul livello di benessere o felicità. Lo studio di cui parlo in questo post, mostra come l'incremento della ricchezza possa portare ad una maggiore infelicità, sia a un livello personale che sociale.

“L'aumento della ricchezza
può portare
maggiore infelicità”

Più ricchezza, meno sostanza

Questo studio degli economisti Eaton ed Eswaran, illustra questa ipotesi: man mano che una nazione aumenta la sua ricchezza (oltre uno standard ragionevole), i consumi si spostano verso status symbol privi di valore intrinseco (auto lussuose, abiti firmati, gioielli...). Il loro possesso non fornisce una soddisfazione per se, ma solo in quanto permette di sentirsi "migliori" degli altri.
Tra le conclusioni degli autori:
  • Il paradosso delle società sviluppate: "Nel corso del tempo, diventiamo più ricchi, ma non diventiamo più felici".
  • La possibilità che il consumo di risorse e i danni all'ambiente, non producano reali benefici per la società.
  • Il dubbio che l'enfasi sulla crescita economica (da parte della società e degli economisti) possa essere gravemente illusoria.

“Diventiamo più ricchi,
ma non diventiamo più felici”

L'importanza dell'apparire

Questo studio è basato sul lavoro di un altro economista, Thorstein Veblen, che nel 1899 scrisse il libro "La teoria della classe agiata". Veblen osserva come la ricerca di status passa attraverso "consumi vistosi o appariscenti" ("conspicuous consumption"), il cui valore non è intrinseco ma dipende dalla possibilità di distinguersi dagli altri.
Man mano che l'economia cresce, le persone tendono sempre più a preferire questi cosiddetti "beni Veblen" (status symbol) rispetto ad altri beni. Poiché questi beni non forniscono una soddisfazione intrinseca, non si raggiunge mai un "punto di sazietà", ma si continua in una escalation.
All'interno di questo tipo di società c'è una costante invidia e frustrazione, sia per i "poveri" (chi non può permettersi questi beni), sia per i "ricchi" (che invidiano chi ha più di loro, e desiderano ulteriori "beni Veblen"). Quindi, mentre la ricchezza di un Paese cresce, il livello di felicità medio diminuisce.

Un circolo vizioso

All'aumentare della produzione, produttività e reddito vengono sempre più dissipati nel vano tentativo di distinguersi, attraverso "consumi vistosi" maggiori dei propri vicini. I "beni Veblen" escludono progressivamente tutti gli altri beni e attività che promuovono benessere (inclusi il tempo libero, le attività sociali e pubbliche).
Questo potrebbe spiegare il motivo per cui, negli ultimi decenni, tutti si sentono estremamente impegnati ("Non ho tempo!" è uno dei lamenti più diffusi - nonostante il progresso ci abbia liberati da molte incombenze), ma non per questo più appagati. Probabilmente le vite si riempiono progressivamente di "attività Veblen" (pensiamo a shopping e viaggi, o ai corsi cui si mandano i figli)... col solo risultato di aumentare stress e frustrazione.

A ben guardare, questa dinamica vale anche per i figli. Più viene concesso benessere ai giovani, e più questi - invece che risultarne appagati - sembrano ossessionati dai "beni Veblen" (cellulari, auto e abiti "giusti"...), a cui legano il senso del loro valore. Probabilmente ancora più degli adulti, a causa della loro minore maturità e maggiore dipendenza dall'approvazione dei loro pari.

Inoltre - osservano gli autori - più si tende all'acquisizione di status symbol, meno si ha tempo e disponibilità per aiutare gli altri. Questo danneggia il senso di fiducia e comunità (si frammentano le relazioni, gli individui si sentono isolati), a scapito della società intera.

Abbasso la miseria!

A questo punto, è importante ricordare che negare una cosa, non implica affermare il suo contrario! In altre parole, affermare che "la ricchezza non dà la felicità" non vuol certo dire che la povertà renda felici. Anzi!
Quindi, né io né gli autori citati esaltiamo la miseria. Certamente la possibilità di soddisfare i propri bisogni fondamentali (cibo, riparo, sicurezza...) è fondamentale per sentirsi felici. Ma, una volta superato quel livello, diventa necessario chiarire i propri bisogni autentici. Anche perché siamo sottoposti a forti pressioni che ci inducono bisogni superflui (che, come abbiamo visto, non producono felicità).

Il meglio della vita

E' probabile che il bisogno di "beni Veblen" (oltre ad essere influenzato dai media), nasca dal fatto che è facile perdere di vista le cose che contano. Le cose più importanti e preziose della vita non si possono comprare, ma richiedono sempre un impegno personale. Se non si ha chiaro quali siano queste "cose preziose" (o non si è disposti all'impegno necessario), la vita risulta vuota e insoddisfacente: allora si cade facilmente nell'illusione che più denaro o più oggetti potrebbero riempire quel vuoto. Ma - ovviamente, e come mostra questo studio - il "superfluo" non appaga, piuttosto induce consumo compulsivo e dipendenza (in modo simile alle droghe).

Ma allora, dove trovare la felicità? Di certo, la felicità autentica è qualcosa di più profondo del piacere, del divertimento, dell'eccitazione (che molti scambiano per felicità). E' uno stato di armonia e appagamento che è fondamentalmente dentro di noi. Per questo è bene iniziare a coltivarlo "dall'interno", cambiando i nostri atteggiamenti e modi di pensare.
Senza dimenticare l'importanza delle "piccole cose", i piccoli piaceri e soddisfazioni che spesso diamo per scontati, ma che arricchiscono la nostra esistenza.

“Le cose più importanti della vita
non si possono comprare”

Attento a quello in cui credi

Come dicevo all'inizio, le convinzioni sono pericolose. Quando crediamo in qualcosa, lo diamo per scontato e basiamo la nostra vita su di esso. Anche quando non otteniamo i risultati sperati, tendiamo a perseguire con maggior sforzo la nostra convinzione, piuttosto che metterla in discussione.
Se crediamo che la ricchezza ci renderà felici, possiamo spendere gran parte della nostra vita nell'inseguirla. Ma se non fosse come pensiamo?
Ancora una volta, è il caso di ponderare bene quello che davvero è importante per noi.


"La ricchezza superflua può comprare solo cose superflue. Non serve denaro per comprare ciò che necessita all'anima."
(Henry David Thoreau)


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Non esiste la donna ideale

Ognuno ha i suoi gusti e desideri; e ognuno vorrebbe trovare un/a partner che incarni tutte le caratteristiche che desidera. Bisogna però fare i conti con la realtà, perché se inseguiamo un sogno impossibile, rischiamo di cercarlo per tutta la vita, senza trovarlo mai.
In particolare, è necessario comprendere che certe caratteristiche si escludono a vicenda; e, sapendo questo, scegliere quale delle due è più importante per noi. Tenendo anche conto che il mondo maschile e quello femminile sono alquanto diversi (vedi nella Bibliografia "Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere"), e che faticano a comprendersi anche a causa di questa diversità.

In questo post parlerò di qualità femminili che interessano gli uomini, mentre in un post analogo tratto di qualità maschili che interessano le donne.

Diversi tipi di donne

Che tipo di donna vorresti? E' importante che tu te lo chieda, perché potresti scoprire che la vuoi con caratteristiche opposte fra loro. Anche a causa dell'assurda contrapposizione fra "madonne" e "puttane" (presente specialmente nelle culture latine e mediterranee), spesso gli uomini vorrebbero una donna che fosse sexy e provocante, ma anche riservata, pudica e casta.
E proseguendo su questa linea, alcuni potrebbero volere una donna che sia...
  • Spregiudicata a letto, ma fedele e fredda con gli altri uomini
  • Estremamente attraente, ma che nessun altro uomo possa insidiare
  • Impulsiva ed emotivamente vivace, ma seria e affidabile
  • Dolcissima ma non "appiccicosa" o dipendente
  • Fantasiosa ma ordinata e concreta...
Insomma, da una parte si vorrebbe una femmina selvaggia che stimoli e assecondi il nostro lato più carnale e dionisiaco... ma, d'altra parte, c'è il timore che una donna così possa essere tentata di condividere la sua passionalità con altri uomini; quindi si vorrebbe pure che, con il resto del mondo, essa manifesti qualità opposte.
Lo stesso accade quando si desidera una compagna spumeggiante, che ci movimenti la vita, ma che sia anche stabile, prevedibile e rassicurante. Queste sono evidenti contraddizioni.
E' possibile che una persona abbia in sé caratteristiche anche opposte, ma è alquanto improbabile che le abbia all'estremo. Ovvero, si può essere un po' fantasiosi e un po' seri, ma è decisamente raro che qualcuno sia estremamente fantasioso ed anche estremamente serio. Gli estremi opposti - in genere - si negano a vicenda.

Non si può avere tutto

Senza contare che è impossibile avere tutto, fare tutto, o essere tutto: gli esseri umani - e la vita stessa - presentano sempre dei limiti. Questo implica la necessità di rinunciare a parte di quello che vorremmo, stabilendo delle priorità tra quello che riteniamo indispensabile e quello che che è solo opzionale. L'illusione di poter avere tutto (un partner perfetto, una vita senza problemi...) è una specie di "delirio di onnipotenza".

Esigenze diverse

Tutti abbiamo in noi esigenze diverse, e vorremmo tanto avere vicino una partner "camaleontica" che le soddisfi tutte. Non a caso, a volte ci innamoriamo di più persone, proprio perché ciascuna reca in sé "doni" differenti (e, peraltro, è il motivo principale per cui tanti uomini e donne si trovano degli amanti, pur restando entro il matrimonio: soddisfano diverse esigenze).
Purtroppo, poiché tutti siamo limitati, è praticamente impossibile trovare una persona che corrisponda in tutto e per tutto alle nostre esigenze... specialmente se queste sono contraddittorie! Se non accettiamo questo limite della realtà, rischiamo di voler cambiare partner ogni volta che ci ritroviamo delusi, nell'illusione che la prossima persona possa essere "quella giusta".
Oppure, può capitare di innamorarci di una donna per certe sue qualità, ma di iniziare a criticarla (o farle pressione perché cambi) quando scopriamo che gliene mancano altre che noi vorremmo (ma questo è il contrario dell'amore - l'amore autentico comporta accettazione - e porta guai certi).

Questo può accadere anche a quegli uomini che non hanno ben chiaro cosa vogliono, ma si dicono che quando incontreranno "quella giusta", tutto andrà bene e saranno perfettamente felici insieme (altro ideale irrealistico: le relazioni non sono mai tutte rose e fiori).

Saper scegliere

E' bene quindi avere chiaro cosa volete da una partner, ma anche imparare a non pretendere l'irreale. Abbiamo tutti dei limiti, e li avranno anche le donne che incontrate. E' importante allora avere chiare le proprie priorità: se decidete che per voi una certa caratteristica è fondamentale, non pretendete anche il suo opposto.
  • Se volete una donna sexy e provocante, accettate che non sarà casta e pudica
  • Se ne volete una che a letto faccia "i fuochi d'artificio", non pretendete che altrove sia fredda e distaccata
  • Se la volete bellissima, accettate che verrà concupita da altri uomini
  • Se per voi dev'essere impulsiva ed esuberante, non aspettatevi estrema serietà o affidabilità
  • Se la volete emotiva e fantasiosa, non pretendete che tenga la casa come uno specchio o che gestisca perfettamente il bilancio familiare...
Ricordando - nuovamente - che amare vuol dire amare l'altro per come è, non per come vorremmo che fosse. Se pretendete una persona che corrisponda in tutto e per tutto ai vostri desideri... forse non state cercando una relazione, ma un "oggetto" al vostro servizio, o un clone di voi stessi.

In altre parole, per mantenere una relazione è necessario accontentarsi del partner, con le sue mancanze e difetti.
In fondo lo sapete: nessuno è perfetto. :-)


"Ben poche sono le donne oneste che non siano stanche di questo ruolo."
(Friedrich Nietzsche)


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Se gli argomenti di questo post ti toccano da vicino e vorresti discuterne, approfondire, o rivolgermi delle domande; oppure se senti il bisogno di parlare dei tuoi problemi, puoi chiedermi un colloquio.

Non esiste l'uomo perfetto

Ognuno ha i suoi gusti e desideri; e ognuno vorrebbe trovare un/a partner che incarni tutte le caratteristiche che desidera. Bisogna però fare i conti con la realtà, perché se inseguiamo un sogno impossibile, rischiamo di cercarlo per tutta la vita senza trovarlo mai.
In particolare, è necessario comprendere che certe caratteristiche si escludono a vicenda; e, sapendo questo, scegliere quale delle due è più importante per noi. Tenendo anche conto che il mondo maschile e quello femminile sono alquanto diversi (vedi nella Bibliografia "Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere"), e che faticano a comprendersi anche a causa di questa diversità.

In questo post parlerò di qualità maschili che interessano le donne, mentre in un post analogo tratto di qualità femminili che interessano gli uomini.

Qualità contraddittorie

Tra le varie qualità che possiamo desiderare in un partner, ecco alcune coppie di qualità che possono risultare contraddittorie e difficili da conciliare:
  • Carattere forte e sicuro - Sensibilità e introspezione
  • Serietà e affidabilità - Estroversione e divertimento
  • Passionalità erotica - Fedeltà
  • Sessualità animale - Raffinatezza culturale
  • Capacità atletiche - Doti intellettuali
  • Perseguire la carriera e il reddito - Dedicare molto tempo alla famiglia
Anche se in teoria è possibile che qualcuno eccella in entrambe le qualità, nella maggior parte dei casi chi è forte in un aspetto è carente nell'altro. Per esempio:
  • le persone molto serie e stabili, in genere non sono campioni di socialità o divertimento;
  • chi è appassionato di sport e dedica molto tempo alla sua forma fisica, raramente è un intellettuale.
Questo limite non è specificamente maschile, ma vale per ogni essere umano. Per alcuni esempi di qualità contraddittorie al femminile, vedere il post analogo a questo sugli aspetti femminili che interessano gli uomini.

Non si può avere tutto

Senza contare che è impossibile avere tutto, fare tutto, o essere tutto: gli esseri umani - e la vita stessa - presentano sempre dei limiti. Questo implica la necessità di rinunciare a parte di quello che vorremmo, stabilendo delle priorità tra quello che riteniamo indispensabile e quello che che è solo opzionale. L'illusione di poter avere tutto (un partner perfetto, una vita senza problemi...) è una specie di "delirio di onnipotenza".

Le donne vogliono tutto?

Per le donne, sembra esserci ancor più che negli uomini la tendenza a volere tutto, ogni cosa ed anche il suo contrario. Questo è in parte spiegato da motivazioni evoluzionistiche: nella relazione e nell'accoppiamento, le femmine hanno esigenze maggiori e più complesse dei maschi (queste motivazioni possono spiegare anche perché le donne spesso sembrano più complicate).

Di seguito parlo di due esigenze femminili, entrambi fondamentali, che però difficilmente vengono soddisfatte dallo stesso uomo: l'attrazione erotica e il bisogno di sentirsi compresa.

Due diversi tipi di uomo

  • Un tipo di uomo che risulta generalmente attraente per le donne è quello virile, forte e mascolino, un po' "selvaggio", carico di testosterone.
  • All'opposto, il tipo di uomo con cui le donne si sentono in sintonia emotiva e comunicativa, con cui possono confidarsi e condividere il proprio mondo interiore, tende verso un tipo più femminile, a volte quasi androgino.
"L'amico gay" delle donne non è solo un personaggio da film. Una donna non può comunicare profondamente e sentirsi compresa da un uomo che sia "troppo maschio" (proprio perché l'essere fortemente maschile di lui, lo rende distante dall'essere femminile di lei; sono come "pianeti diversi").
Questa è una problematica tipica per le donne. A quante è successo (specialmente in gioventù), di sentirsi istintivamente attratte dal "maschione" di turno, dal "bel tenebroso"... per poi ritrovarsi deluse su un piano emotivo, comunicativo o di affidabilità, e cercare consolazione presso "l'amico del cuore"? Quello che le ascolta, le comprende, le rispetta e su cui possono contare (ma che, ahimé, risulta poco o per nulla attraente).

Due diverse esigenze

Questi due tipi di uomini rispondono a due esigenze fondamentali: la passione erotica e la sintonia profonda. Purtroppo il tipo d'uomo che meglio risponde a ciascuna esigenza, non è in grado di soddisfare l'altra. Con questo non voglio dire che sia impossibile conciliare queste esigenze; ma che un uomo superlativo in una delle due, risulta necessariamente carente nell'altra (escludendo casi eccezionali).
L'uomo che ha tutto quel che una donna vorrebbe (fortemente virile e in sintonia con la natura femminile - e ogni altra coppia di qualità contraddittorie) esiste solo nei film romantici e nei romanzi rosa: dei media che - non a caso - hanno lo scopo preciso di rispecchiare i desideri delle donne, il loro immaginario (per questo vengono definiti da alcuni come una "pornografia al femminile"); non certo il mondo reale.

Missione impossibile

Purtroppo, la cultura romantica (e le sue espressioni mediatiche) alimentano l'illusione che questo genere di uomini esista. Per la donna che persegue questa illusione, il rischio è di inseguire un sogno, invece di relazionarsi con gli uomini reali che incontra. E di voler cambiare partner quando questi riveli i suoi limiti, sognando che il prossimo possa essere quello "giusto".
Oppure, rischia di fare pressione sul partner per farlo diventare quel che non è (ma questo non è amore e allontana il partner, che si sente criticato, manipolato e non apprezzato).

Inoltre, poiché l'emozione generalmente vince sulla ragione, è facile che questo tipo di donna si invaghisca di uomini da cui poi verrà delusa. Un esempio che possiamo definire "classico" è il personaggio di Rossella O'Hara in "Via col vento": a cui, verso la fine, Rhett Butler risponde "Francamente mia cara, me ne infischio!". Rhett incarna brillantemente quel tipo di uomo virile, forte, sicuro e affascinante... ma anche egocentrico e poco disponibile (altri esempi cinematografici sono James Bond e Tony Stark/Iron Man).

Saper scegliere

E' bene quindi avere chiaro cosa volete da un partner, ma anche imparare a non pretendere l'irreale. Abbiamo tutti dei limiti, e li avranno anche gli uomini che incontrate. E' importante allora avere chiare le proprie priorità.
Se decidete che per voi la componente erotico-attrattiva è primaria, che volete un uomo decisamente virile, accettate che probabilmente:
Se invece privilegiate la dimensione di intesa, emozionale, comunicativa, intima; se volete che il vostro uomo sia anche il vostro miglior amico, puntate su uomini che abbiano sviluppato il lato femminile, emotivo, interiore; ricordando che:
  • a volte potrebbe mancarvi un tipo più forte e deciso
  • vi capiterà di provare (specialmente in certi periodi) una inspiegabile attrazione per altri uomini
  • potreste avere nostalgia di emozioni forti e relazioni travolgenti
  • la vostra vita sessuale potrebbe rivelarsi "tiepida"
  • potrebbe capitarvi di esclamare "Dove sono finiti gli uomini veri?!?".

In altre parole, per mantenere una relazione è necessario accontentarsi del partner, con le sue mancanze e difetti.
In fondo lo sapete: nessuno è perfetto. :-)


"Quando si capisce che il principe azzurro non esiste, si è costretti a scendere a patti con la realtà."
(Michela Marzano)

"I briganti ti chiedono la borsa o la vita: le donne le vogliono tutte e due."
(Samuel Butler)


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Cosa vuol dire amare

"Amore" è una di quelle parole persino abusate, ma su cui non c'è comune accordo né significato univoco. Per alcuni è sinonimo di passione, per altri di impegno, di bisogno, di altruismo, di attaccamento e dipendenza, di sacrificio...
In passato c'è anche stato chi ha ritenuto che Amore e Morte ("Eros" e "Thanatos" in greco) fossero collegati - ma io non sono d'accordo.

Ora, non pretendo certo di dettar legge su un argomento così fondamentale, antico e dibattuto. Probabilmente l'amore è una di quelle cose che non possono essere definite in modo definitivo e oggettivo. Almeno in parte esso è un fenomeno trascendente e, come tale, va oltre la nostra comprensione e giudizio razionale.
Ma siccome in questo blog si parla anche di amore, ed esso è così prezioso nelle nostre vite (e indispensabile - a mio parere - per la nostra felicità), è utile definire meglio cosa intendo quando parlo di "amore".

Amore come dono o amore romantico

Il sentimento di cui parlo in questo post è l'amore come dono (altruistico), ben diverso da quello incentrato sul ricevere o prendere (tipico dell'amore passionale). In termini psicologici, queste due forme di affezione vengono definite "amore oblativo" e "amore captativo".

Comunemente, però, quando si parla di amore si pensa all'amore romantico, che può essere visto come un misto di dare e ricevere senza soluzione di continuità: gli innamorati sono completamente dediti sia a rendere felice l'altro, che a ricercare la propria personale felicità, e faticano a distinguere le due pulsioni.

L'amore romantico non è l'unico o il vero amore

Molti pensano che l'amore romantico sia l'unico "vero amore", o che ne sia la forma più elevata, ma non è proprio così:
Con questo non voglio negare che abbia i suoi meriti; ma direi che non è il caso di idealizzarlo, né di confondere l'innamoramento con l'amore in sé.

Amore: l'altro al centro

Per come lo intendo io, l'amore è essenzialmente avere a cuore la felicità dell'altro. Quando amiamo qualcuno, il suo ben-essere è per noi importante quanto il nostro - o anche di più (ma non sempre e comunque*).
E' il significato letterale del "voler bene": ovvero, desidero il tuo bene, qualunque esso sia, anche a discapito del mio. E' uno "stato di grazia" in cui il nostro naturale egoismo si acquieta e l'altro assume un posto centrale nei nostri pensieri. Quando accade, quello che era "Altro da Noi" non è più lontano ed estraneo, ma ci diventa prossimo, familiare, prezioso: ci sta a cuore, ci è caro, ce ne prendiamo cura.

* Anche quando amiamo l'altro, continuiamo ad avere bisogni nostri ed amor proprio: quindi una persona equilibrata che ama, metterà al primo posto il bene dell'altro alcune volte, ed il proprio altre volte.
Il mito dell'amore che mette sempre al primo posto la persona amata è idealistico e squillibrato, in quanto "dimentica" l'amor proprio (fondamentale nelle persone e relazioni sane). Anche l'esortazione del Vangelo "Ama il prossimo tuo come te stesso" richiede che esista un amore per se stessi.

“L'amore è avere a cuore
la felicità dell'altro,
anche più della propria”

Amore o bisogno?

Quando amiamo, ci comportiamo così anche se non ci porta alcun vantaggio diretto. Persino a nostro svantaggio.
Questa precisazione è importante, perché spesso è facile confondere l'amore con il bisogno. La differenza principale tra le due pulsioni è questa:
  • Quando sono guidato dall'amore, l'obiettivo primario è il bene/felicità dell'amato (il mio interesse può diventare secondario, o a volte persino irrilevante).
    L'amore ispira a dare. Il fine è altruistico.
  • Quando sono guidato dal bisogno, l'obiettivo primario è quello che io desidero (il mio interesse è rilevante, ed alla fine è ciò che conta).
    Il bisogno spinge a volere, prendere e pretendere. Il fine è egoistico.
Certo, anche quando abbiamo bisogno di qualcuno, vogliamo che questi sia felice... ma vogliamo che lo sia con noi, e alle nostre condizioni. Difficilmente ci sta bene che sia felice per conto suo, o senza di noi: vogliamo possederlo.
Il bisogno pone sempre delle condizioni: "Ti amo a condizione che tu...", mentre l'amore autentico è privo di condizioni: "Ti amo perché tu sei tu".
Naturalmente, amore e bisogno spesso coesistono, ma restano comunque due pulsioni ben diverse.

Distinguere tra amore e bisogno

Qualcuno obietterà: ma a cosa serve distinguere tra amore e bisogno (o passione), se sono così spesso uniti? In effetti, finché va tutto bene non è necessario. Ma quando le cose vanno male (conflitti, abusi, separazioni...) diventa importante distinguere.
In caso di pressioni psicologiche, manipolazione, controllo e coercizione, stalking, aggressioni e violenze, la motivazione è sempre il bisogno e mai l'amore. Non capirlo può indurci a giustificare (se lo facciamo noi) o tollerare (se lo fa l'altro) comportamenti scorretti e pericolosi.
Ogni volta che in una relazione ci sono tensioni o conflitti, è utile chiedersi:
  • Voglio qualcosa per me stesso, oppure perché sono convinto che sia bene anche per l'altro? (e nel secondo caso, come faccio a esserne certo?)
  • Io o l'altro usiamo forse "l'amore" come copertura per i propri interessi, per manipolare il partner?
  • L'altro sta approfittando del mio bisogno di lui a suo vantaggio, procurandomi un danno (abuso)? Se l'altro si giustifica dicendo che lo fa "per amore", dev'essere chiaro che non è vero.
  • In caso di separazione, se nutro risentimento verso chi mi ha lasciato è importante capire che lo faccio per ragioni egoistiche (mi è stato tolto ciò che mi era prezioso), e non perché amo l'altra persona.
  • Quando siamo attaccati a qualcuno che non ci vuole, se capiamo che è per bisogno (e non per amore) ci è più facile staccarci.

“Amore e bisogno
spesso coesistono,
ma restano pulsioni diverse”

Amore o passione?

Molti credono che amore e passione siano la stessa cosa: ma anche se entrambi ci ispirano sentimenti potenti, la differenza è radicale.

La passione riguarda quel che ci serve, o che è nostro

Quando qualcosa ci appassiona ne siamo sì avvinti e persino ossessionati, ma di quella cosa in fondo ci importa poco - se non per nostro beneficio, o perché è una nostra proprietà:
  • Quando dico che "Amo il cioccolato", è ovviamente una passione perché del cioccolato in sé non mi importa, bensì mi interessa il piacere che ne traggo.
  • Se affermo che "Amo la mia casa", è una passione perché non amo realmente i muri o i pavimenti: mi importano per quel che mi danno. Per quanto io possa dedicarmi ad essa, lo farò sempre a scopo personale; se cambio casa, mi importerà ben poco della vecchia.
  • Quando è solo la passione che mi lega a qualcuno, se questa persona si allontana o mi lascia proverò sentimenti negativi per lei (perché mi toglie quello che mi dava); o comunque non mi importerà più molto di lei.

L'amore va oltre il nostro interesse

Viceversa, quando amiamo veramente qualcuno - o qualcosa - abbiamo a cuore la sua esistenza e il suo benessere anche se non ci appartiene, o se non ci offre alcun vantaggio:
  • Quando amo una persona, continuo ad averla a cuore anche quando non siamo più insieme, o lei vive con un altro; la sua felicità continua ad importarmi.
  • L'amore per la natura, o per gli animali, ci porta ad amare anche ciò che mai vedremo, ed anche a sacrificarci per essi (per esempio impegnandoci nell'attivismo, o scegliendo un'alimentazione vegetariana).
  • Il poeta o il patriota in esilio, che amano il proprio Paese e continuano a provare forti sentimenti a riguardo, anche se non lo rivedessero più.

Sentire e agire

Una delle caratteristiche dell'amore autentico è la presenza di sentimento e azione in accordo fra loro:
  1. Provo un sentimento positivo, luminoso e amorevole verso quella persona.
  2. Agisco (come posso) per il suo benessere e la sua felicità, in accordo con il mio sentimento.

Quindi, se provo un forte sentimento ma non agisco a favore di quella persona (anche quando potrei), e mi limito a crogiolarmi nel mio sentimento, è probabile che si tratti più di infatuazione che di amore vero. Forse sono più "innamorato dell'amore" (e delle sensazioni positive che mi suscita) che dell'altra persona.

Oppure, se dico di amare il mio partner ma non mi curo dei suoi bisogni e della sua felicità, per esempio:
  • gli dò poca attenzione e ascolto
  • sono poco paziente e disponibile nei suoi confronti
  • non cerco di capirlo e di andargli incontro
  • gli nego il contatto fisico e la sessualità
è possibile che io mi inganni riguardo quello che provo; magari quello che mi lega al partner è attaccamento, abitudine o dipendenza più che amore (o una forma di amore molto sbiadito).

"L'amore è questa cosa qui: azione. Tutti siamo capaci di dire che amiamo, di fare dichiarazioni, ma la differenza la fa chi è capace di agire, anche contro se stesso."
(Paul Haggis)

Sentimenti contrastanti

Attenzione: questo non esclude la possibilità di avere anche dei sentimenti negativi verso la persona che amiamo: siamo creature complesse e contraddittorie, quindi può succedere di provare sia amore che risentimento o rabbia - o persino odio - verso qualcuno.

Però se dico di amare qualcuno e agisco intenzionalmente contro il suo bene, o per ottenere qualcosa a dispetto dell'altro, quell'azione non viene certo dall'amore: viene dal mio egoismo o dai miei bisogni.
E' normale che l'amore per l'altro e i bisogni personali si mescolino, ma è importante distinguere la reale motivazione delle proprie azioni. Altrimenti si rischia di giustificare comportamenti tossici, del tipo "Non posso lasciarti libero perché ti amo" o "L'ho uccisa perché l'amavo troppo": in questi casi l'amore non c'entra nulla.

Non abbiamo controllo sui sentimenti

Una differenza fondamentale tra azione e sentimento nell'amore, è che abbiamo ben poco controllo sul secondo:
  • Posso decidere di fare qualcosa anche se non ne ho voglia.
  • Ma non posso scegliere di sentire qualcosa solo con la volontà.
In altre parole, non scegliamo cosa sentire: generalmente ci accade. Possiamo gestire emozioni e sentimenti, eventualmente, ma non crearle o spegnerle a piacimento (molte persone negano quello che sentono o simulano ciò che non sentono, ma queste sono forme di nevrosi e sono generalmente dannose).

Quindi, come non scegliamo a priori di amare qualcuno, ma in genere ci accade, così quando quell'amore si attenua solitamente non lo abbiamo scelto, e ci possiamo fare ben poco. O meglio, possiamo continuare ad agire in modo amorevole, attento e premuroso verso quella persona, ma non possiamo forzarci a sentire un determinato sentimento.
E' per quello che promesse del tipo "Ti amerò per sempre!", anche se sincere, sono inaffidabili: non possiamo sapere in anticipo quello che sentiremo in futuro (specialmente sulla lunga distanza), e non possiamo nemmeno deciderlo. E' uno degli aspetti irrazionali dell'animo umano.

I doni dell'amore

Se il desiderio, la brama, il bisogno e l'attaccamento appartengono più alla passione che all'amore (come sostengo nei paragrafi precedenti), quali sono gli atteggiamenti propri dell'amore? Quali sono i doni che offriamo alla persona che amiamo? Elenco quelli che mi sembrano i principali:
  • Ascolto (non solo silenzio ma attenzione focalizzata sull'altro; non solo ascoltare le parole, ma anche l'emozione sottostante; ascoltare col cuore)
  • Attenzione (concentrarci sull'altro; accantonare il nostro ego, mettere l'altro al centro)
  • Accoglienza (nel bene e nel male, nella gioia e nella tristezza, restare aperti all'altro)
  • Assenza di giudizio (giudicare separa, allontana e porta l'altro a chiudersi)
  • Accettazione (accettare l'altro per come è, senza critiche, senza volerlo cambiare)
  • Apprezzamento (notare e apprezzare tutte le sue qualità; celebrare la sua unicità)
  • Comprensione (cercare di capire l'altro, anche quando è diverso da noi, o vuole cose diverse da quelle che vogliamo noi)
  • Compassione (accogliere la sofferenza dell'altro; perdonare le sue mancanze)
  • Gentilezza (parlare ed agire con garbo, attenzione e delicatezza)
  • Rispetto (non aggredire, non pretendere, non ignorare, non dare per scontato)
  • Avere a cuore la felicità dell'amato
  • Prendersi cura (dei suoi bisogni, dei suoi problemi, della sua sofferenza)
  • Dare all'amato spazio per esprimersi liberamente

Accettazione e libertà

L'amore autentico ha sempre due caratteristiche essenziali: accettiamo l'altro e lo lasciamo libero. Quando amiamo veramente qualcuno:
  • Lo accettiamo per come è. Riconosciamo il suo valore. Accogliamo le sue imperfezioni. Non cerchiamo di cambiarlo.
  • Lo lasciamo libero. Anche quando non ci fa comodo, o non siamo d'accordo, o ci fa soffrire. Lasciamo che sia come vuole, rispettiamo le sue scelte.

“ L'amore autentico
ha sempre due caratteristiche essenziali:
accettiamo l'altro e lo lasciamo libero”

Se il bisogno è la necessità di riempire un nostro vuoto o carenza, l'amore è il desiderio che l'altro raggiunga la sua massima pienezza. Il bisogno nasce dalla mancanza o dalla paura, l'amore nasce dalla ricchezza e dalla gioia.


"L'amore è la passione per la gioia dell'altro."
(Edmond Rostand, "Cyrano de Bergerac")

"Col pretesto dell'amore, l'essere umano tenta a volte di controllare e dominare.
Il vero amore si fonda invece sulla libertà, sul rispetto e sul sincero desiderio di contribuire all'arricchimento del partner."

(Marc Alain, "Essere Se Stessi, ogni giorno")

"Forse l’amore è il processo con il quale ti riconduco dolcemente a te stesso.
Non a ciò che io voglio che tu sia, ma a ciò che sei."

(Leo Buscaglia, "Vivere amare capirsi")


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Riflessioni sulla morte

Ho scritto queste riflessioni in seguito all'annuncio della morte improvvisa di un giovane conoscente. Ho pensato che poteva essere interessante condividerle con voi.

Non lo sappiamo mai

Non sappiamo mai quando arriva il nostro momento... potrebbe essere tra 50 anni; oppure il mese prossimo, domani, persino oggi.
Ma tutti cercano sempre di dimenticarlo. La nostra società ha orrore della morte: è uno dei grandi tabù. Nessuno vuole pensarci, nessuno ama parlarne, forse perché tutti ne sono terrorizzati.

Eppure, è saggio confrontarsi con la morte... perché è reale; è inevitabile; è l'unica certezza che abbiamo.
Volerla dimenticare, illuderci immortali, è una fuga infantile: è come il bambino che chiude gli occhi davanti a ciò che lo spaventa, pensando che così lo farà sparire.
La morte è il complemento della vita; danzano insieme, come la notte e il giorno; l'una completa l'altra. Senza l'altra, l'una non avrebbe senso.

Ma qual è il senso della vita?
Io non lo so bene... però so che non è trascinarsi sopravvivendo, fare la "corsa del topo", dannarsi facendo cose che non amiamo, inseguire "la sicurezza degli oggetti", baloccarsi con attività frivole e senza importanza...
C'è di più. Molto di più. Ci deve essere. Vivere è ben altro che questo, ne sono convinto; altrimenti, davvero vivere e morire non avrebbe senso.

La morte ci insegna

Io non ho paura della morte. Anzi, ne sono affascinato.
Un po' perché tendo a credere nella reincarnazione, quindi non la vedo come una fine, ma come un passaggio verso un nuovo inizio, una "avventura" misteriosa, un "viaggio".
Non ho fretta di intraprenderlo ma, al tempo stesso, sono curioso di sapere dove mi porterà... :-)

Ma soprattutto, apprezzo la morte perché mi "aiuta" a vivere.
Sì, perché sapere che abbiamo un termine (e ce l'abbiamo tutti: non è splendidamente egalitario?), se lo teniamo presente, ci aiuta a non sciupare i nostri giorni.
Se vivessimo in eterno, sarebbe facile trascinarci pigramente, evitando rischi e impegni, tanto "C'è sempre tempo...". La parte statica, elusiva e timorosa dell'essere umano prenderebbe il sopravvento.

Invece, l'antica esortazione "Ricordati che devi morire" - per quanto scomoda - ci riporta alla realtà, alla vita: al fatto che ci è dato un certo tempo definito, e che faremmo meglio a spenderlo in modo saggio, fruttuoso, significativo.
Non a caso, chi si dispera sul letto di morte è chi non ha vissuto, chi ha sciupato il suo tempo; invece, chi ha ben speso i suoi giorni se ne va sereno, in pace con se stesso. Senza rimpianti.

La domanda più importante

E' così facile perdersi dietro le chimere dei media e del consumismo, illudendoci che la felicità risieda negli oggetti, nell'evasione, negli svaghi e nel ciclo infinito lavorare-accumulare-spendere (che mi ricorda la corsa del criceto nella ruota, sempre più frenetica ma che non va da nessuna parte).
Questa illusione ci porta - inevitabilmente - a una vita vuota, per quanto piena di "cose"; e quindi alla paura della morte.
E invece, potreste chiedermi, in cosa consiste la felicità vera?
Io non posso saperlo per voi, ognuno ha il suo modo di essere felice, e sta a ciascuno definire la sua personale "ricetta".
Quello che so è che le cose più importanti della vita, quelle che contano davvero, non si possono comprare: l'amore, l'amicizia, l'autostima, la serenità, l'intimità, la forza, la compassione, la saggezza...

Per me, non è la quantità di anni che conta, ma come li spendiamo; preferirei vivere 30 anni "succhiando tutto il midollo della vita", piuttosto che 90 spesi occupandomi di cose senza importanza, tra noia, routine e giorni sempre uguali.
Il "dono" che la morte ci porta, è quello di indurci a chiedere a noi stessi, ogni giorno: "Cosa voglio farne del mio tempo?"

La risposta che diamo a questa domanda (o l'assenza di risposta), determina la vita che faremo.


"Non temere tanto la morte; temi piuttosto lo squallore della vita."
(Bertolt Brecht)

"Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita."
(Rita Levi Montalcini)

"Se desiderate veramente vivere, dovete essere pronti a morire."
(Osho)


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