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Cosa fare quando veniamo rifiutati o lasciati

Essere rifiutati da chi desideriamo, o venire lasciati dalla persona a cui siamo legati, sono tra le esperienze più emotivamente devastanti. A causa di ciò, quello che si può dire in proposito è poca cosa rispetto all'enormità della sofferenza.
Al tempo stesso, però, affrontare il dolore con una certa lucidità è parte dell'arte di vivere. Così come può essere utile leggere verità che da soli non vogliamo riconoscere. Scrivo quindi alcune riflessioni e suggerimenti, nella speranza che possano essere in qualche modo di aiuto...

Accogli il tuo dolore

In primo luogo, non cercare di minimizzare quanto è successo. Accetta e onora la tua sofferenza; respingerla non farà altro che aumentarla. Non c'è motivo di fare "l'eroe": concedi alla tua tristezza molto spazio, molto tempo, molti pianti, molte canzoni malinconiche, fino a quando la sensazione di "lutto" (*) si attenuerà, e ritroverai interesse per la vita.
Questo è specialmente vero per i maschi, a cui spesso viene insegnato a reprimere le proprie emozioni, stringere i denti e ignorare il dolore.

(*) "Lutto" è inteso non solo in senso letterale, di decesso, ma in psicologia è usato anche per indicare la grave esperienza emotiva di perdita, quando veniamo separati da una persona per noi importante.

Non coltivare illusioni

Credi a quello che l'altra persona ti ha detto, quando ti ha respinto o lasciato. Non pensare che la dolcezza e le parole gentili del passato fossero una promessa implicita di impegno futuro. Soffoca ogni speranza residua, se non l'ha già fatto l'altra persona; coltivare speranze illusorie è un modo crudele di continuare a farti inutilmente del male.
(ovviamente, abbandona le speranze solo dopo che tutto è stato detto e chiarito, ed esserti accertato che non c'è più nulla da fare)

L'amore non si comanda

Non credere che si possa amare a comando. L'impulso dell'attrazione rimane al di fuori del nostro controllo. Non è questione di impegno o di volerlo abbastanza: se non sentiamo amore, attrazione o interesse per qualcuno, c'è ben poco da fare.
Riconosci che ci sono situazioni che non si possono cambiare.

Non è questione di buoni o cattivi

Non cercare un significato "morale" in quello che ti è accaduto: chi ti ha rifiutato non è "cattivo" per il fatto di non volerti o amarti, così come il desiderare o amare qualcuno non ti rende per questo "buono". Ognuno cerca il piacere, la soddisfazione e la felicità; ognuno persegue i propri interessi. Ma spesso gli interessi di due persone divergono, oppure coincidono solo per un tratto di strada. A volte ciò che rende felice te non rende felice l'altro - che quindi cercherà altrove.
La nostra mente cosciente è come una barchetta sballottata dai cavalloni oceanici degli impulsi biologici e delle vastità inconsce. Non pensare che questi fenomeni naturali e spesso impenetrabili abbiano a che fare con la morale.

E' difficile per entrambi

Se l'altra persona si è comportata in modo sgarbato o impacciato, non è perché sia cattiva, né in dubbio su cosa vuole. Semplicemente si sentiva terribilmente in colpa e a disagio, perché - molto probabilmente - è una persona gentile e non vorrebbe ferire gli altri. Il che però non vuol dire affatto che ti vuole.

Amare chi non ti vuole non è amore

Molti sono affascinati o attratti dalle persone che non li vogliono. E' un comportamento che ha le sue radici nel disprezzo di sé: non è romantico, è patologico. Continuiamo a desiderare chi non ci vuole quando abbiamo scarsa autostima e siamo privi di amore per noi stessi.
La vera conquista è smettere di correre dietro a chi non ti vuole, ed iniziare ad apprezzare chi si interessa a te.

Non vederci quello che non c'era

A volte qualcuno ti piace così tanto, che trascuri di notare come l'interesse non sia reciproco. Capita che uno dei due provi una forte attrazione, passione, coinvolgimento, persino amore... ma l'altro provi molto meno, oppure persino nulla. Purtroppo è normale: provare un sentimento forte non garantisce che verrai ricambiato.
Se ti è accaduto questo, è meglio allontanarti con dignità, piuttosto di implorare l'altro o volerlo a tutti i costi convincere a provare qualcosa che non ha mai sentito.

Non credere che l'altro sia perfetto

Quando siamo innamorati di qualcuno, tendiamo a vederlo "giusto" per noi, perfetto e magnifico, la fonte di ogni felicità. Ma questa è un'illusione, perché in realtà ognuno ha limiti, difetti, mancanze e aspetti sgradevoli. La nostra illusione dura semplicemente perché non conosciamo davvero quella persona; siamo abbagliati da alcune doti affascinanti, e non vediamo tutto il resto. Finché ci rimane ignota, possiamo coltivarne un'immagine idealizzata e meravigliosa.

Se riuscissimo a conoscere veramente quella persona, arriveremmo a capire come sia in fondo simile a tante altre. Non a caso, la quotidianità e la convivenza finiscono irrimediabilmente con lo spegnere le passioni. Per attenuare la sofferenza di un amore non ricambiato, quindi, sarebbe utile conoscere il più possibile la persona che non ci vuole: più ci sarà nota, più ci renderemo conto che non è la soluzione a tutti i nostri problemi.
E se non ci è possibile conoscerla, possiamo appoggiarci alla consapevolezza che quella persona - in quanto essere umano - avrà i difetti e i lati oscuri che tutti quanti, chi più chi meno, possediamo.

Tutto scorre, tutto cambia

Non aggrapparti al passato, con la speranza - o la pretesa - che rimanga com'era. Tutte le cose vive cambiano: anche la relazione più felice, anche l'amore più appassionato, può mutare, attenuarsi, spesso anche appassire. Il passato non è mai garanzia del futuro. Non usare la gioia passata come argomento per convincere qualcuno a restare: per l'altro evidentemente ora non è più così.

Piuttosto, puoi considerare quello che hai vissuto con l'altra persona come un dono - finché è durato; se riconosci che nulla dura per sempre, potresti persino provare gratitudine. Puoi anche cullarti nei bei ricordi per consolarti, se questo ti fa bene: ma non se i ricordi alimentano una speranza vana.

Quando sei tu a farlo

Ripensa a quando sei stato tu a rifiutare o lasciare qualcuno: nella maggior parte dei casi, non provavi per loro odio o rimpianti. Le emozioni che provavi erano, probabilmente, soprattutto di imbarazzo e compassione.

Il rifiuto o l'abbandono non definiscono il tuo valore

Non collegare il rifiuto o l'abbandono con quello che temi o detesti di te stesso: potrebbe non c'entrare nulla. Quando qualcuno non ti vuole ci possono essere molte ragioni, e le ragioni dell'altro probabilmente sono diverse dalle tue.
Non trasformare questa esperienza in una prova che sei una persona brutta, senza valore o indegna d'amore. Il fatto che non ti hanno voluto dice molto dell'altra persona e delle sue esigenze, ma ben poco di te (una persona può essere adorata da alcuni e disprezzata da altri: perciò questo non parla del suo valore, ma dei diversi gusti che hanno le diverse persone).

Niente accuse, né manipolazione

Non accusare l'altro di essere un vigliacco: le scelte relazionali sono una questione di gusti, compatibilità ed esigenze personali, non di coraggio o "paura dell'intimità".
Evita di esaltare le sue qualità, insistere sulla sua unicità, offrire regali o sesso, nella speranza di fargli cambiare idea. Non pensare che qualcuno possa innamorarsi nuovamente se mosso da sentimenti di pietà o sensi di colpa.

Le cinque fasi del lutto

Specialmente dopo la fine di una relazione importante, può capitare di vivere una profonda esperienza di "lutto" (inteso come grave perdita), spesso caratterizzata da diversi tipi di reazione emotiva.
La psichiatra Elisabeth Kübler-Ross ha sviluppato un modello di questa esperienza, suddiviso in cinque fasi di elaborazione del lutto. Conoscere queste fasi può aiutarti a capire quello che stai passando, e può aiutare le persone vicine a te a supportarti nel modo migliore.

Se scopri i tuoi bisogni, l'altro diventa sostituibile

Quando siamo innamorati di qualcuno, quella persona ci appare unica e insostituibile. Anche se è vero che ognuno è unico, questo atteggiamento non ci aiuta, perché incoraggia la nostra fissazione e alimenta la disperazione per non poter avere ciò che desideriamo.
Per questo è utile ricordarci che, fondamentalmente, quello che cerchiamo negli altri è la soddisfazione dei nostri bisogni (infatti tendiamo ad amare chi nutre quei bisogni, o chi ci rende felice). Perciò, se anche quella persona non ci vuole (più), potremmo sempre trovarne un'altra che ci soddisfi e ci renda felici. I miti romantici ci ingannano, convincendoci che esiste un'unica persona "giusta" per noi, e che solo lei potrà renderci felici; ma questo è smentito dal fatto che i più si innamorano ripetutamente, e amano diverse persone nella loro vita.
Quindi puoi chiederti "Cosa mi piace tanto di quella persona? Cosa la rende così speciale per me?" (ci sono sempre dei motivi, anche quando non li vediamo). Quando identifichi le qualità e i doni che in quella persona ti conquistano, realizzi che puoi trovare qualità simili anche in altri - e perciò, che potresti anche desiderare e amare qualcun altro. Certo questo non basta a superare la sofferenza e l'abbandono, ma ti aiuta a vedere il futuro con maggiore fiducia e speranza.

Col tempo andrà meglio

Se puoi, cerca di riderci sopra. Prova a passare dal vederla come una tragedia che capita solo a te, a un evento imbarazzante che è capitato a tutti.
Vedrai, tra molti anni sorriderai di certe esperienze, e capirai che le persone che non ti hanno voluto, non erano effettivamente adatte a te. Di alcune, ti ritroverai persino a chiederti cosa diavolo ci avevi trovato di così speciale...

E se la cosa può aiutarti a star meglio, concediti anche qualche incontro di sesso senza impegno. Stare fra le braccia di qualcuno, anche per poche ore, può essere di conforto.

Non era la relazione che credevi

Ma soprattutto, non continuare a vedere il rifiuto o l'abbandono come una terribile perdita: l'unica relazione davvero valida, è quella che entrambe le persone vogliono intensamente. Evidentemente, a dispetto dei segnali positivi e delle speranze, questa relazione non era affatto di quel genere.


(liberamente adattato da "How to get over a rejection", The School of Life)

"E' stato meglio lasciarsi, che non esserci mai incontrati."
(Fabrizio DeAndrè)


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Come chiudere una relazione

Terminare una relazione (in modo maturo, sensibile e compassionevole) è una capacità importante quanto quella per iniziarne una - ma ci dedichiamo ad essa in maniera infinitamente minore. Solitamente siamo del tutto impreparati e inadeguati ad affrontarla; esitiamo, farfugliamo, rimandiamo, ci mostriamo distanti...

C'è una ragione per cui ci comportiamo in modo così confuso. Non è perché siamo incapaci o stupidi o crudeli. E' perché cerchiamo di essere gentili; vorremmo a tutti i costi evitare di ferire l'altra persona. Questa è l'origine della nostra apparente inettitudine, stupidità e crudeltà.

Vogliamo apparire buoni

Ci tratteniamo dall'essere freddi e cerchiamo di essere buoni, perché siamo sentimentali. L'essenza del sentimentalismo è voler essere apprezzati, anche da parte di coloro che non ci piacciono più, e di cui ormai ci importa poco. E' il desiderio narcisistico di continuare a ricevere emozioni positive senza volerne pagare il prezzo.
Ma l'essere buoni non ha alcun ruolo da svolgere nella fine tormentata di una relazione. Essere dolce e comprensivo ha il solo risultato di prolungare il tormento per l'altra persona. Se ci comportiamo con tanta tenerezza - può pensare l'altro - come può essere che intendiamo davvero dire le parole sgradevoli che stiamo dicendo? Davvero possiamo essere così affettuosi, e al tempo stesso dire che è finita?

Eliminare la speranza

Quando vogliamo lasciare qualcuno, dobbiamo prima di tutto eliminare la speranza. Ma invece, fin troppo spesso, esitiamo e giriamo intorno al punto. Marcel Proust osservava saggiamente: "Alla fine di una relazione, è quello non innamorato a fare i discorsi teneri".
Due partner che si separano possono ritrovarsi in questa situazione paradossale: una persona piange perché viene lasciata, e l'altra piange a causa dell'angoscia che l'aver dichiarato la separazione le causa; e le lacrime di quest'ultima vengono interpretate dalla persona lasciata come un segno che l'altro tiene ancora a loro (e in un certo senso può darsi che ci tenga, ma come essere umano, non più come partner).

Il modo più "gentile" per terminare una relazione è quello di parlare in modo estremamente franco e diretto, senza fare giri di parole o indorare la pillola; bisogna essere così onesti e "spietati", da non lasciare all'altra persona alcun dubbio sul fatto che non siamo (più) una persona buona e amorevole nei loro confronti.
Il modo veramente coraggioso di lasciare qualcuno, è quello di consentire a te stesso di essere odiato dalla persona che ti ama.

Non esitare, non prolungare, non mentire

Non c'è ragione di esitare, e non ci sono scuse valide per farlo. Non pensate di star facendo un favore a qualcuno, se continuate a prolungare in loro l'illusione di essere voluti. La loro più grande priorità è quella di smettere di sprecare la loro vita. Non raccontarti che non potranno mai trovare nessun altro come te: perché potrebbero crederci, e persino dirti amorevolmente che è proprio così.
Ma non potranno più crederci quando finalmente capiranno chi sei, e cosa vuoi veramente. La vera bontà d'animo consiste nell'allontanarsi - anche se la vacanza è stata prenotata, o avete firmato il mutuo, o la data del matrimonio è fissata, e sarà terribilmente imbarazzante dirlo a tutti.

Non c'è niente di sbagliato nel decidere che qualcuno non fa per voi (non è affatto vero che l'amore autentico deve durare per sempre).
C'è invece molto di sbagliato nel rovinare una parte significativa della vita di qualcuno, mentre continuate a mentire loro, ed esitate in modo codardo e sentimentale a togliervi di torno.

Ancora amici? E' possibile ma...

Nonostante quanto detto sopra, a volte è possibile rimanere amici dopo la fine di una relazione; specialmente se entrambi provano ancora affetto e stima per l'altra persona. In genere bisogna però lasciar prima passare un certo tempo, e sono comunque necessarie una serie di condizioni, che esploro nel post "Si può essere ancora amici fra ex partner?".


(liberamente adattato da "How to end a relationship", The School of Life)


" Lasciare qualcuno richiede forza. Uno costruisce sull'altro e lasciarlo significa anche lasciarsi."
(Efraim Medina Reyes)


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Perché siamo circondati da bugie - e ci crediamo

Spesso osservo come siamo circondati da inganni e menzogne: la pubblicità, i media, i politici, le varie religioni, regole sociali senza senso, falsi amici e amanti inaffidabili, e tutti quelli che distorcono la realtà per "tirare l'acqua al proprio mulino"... In certi momenti potremmo pensare che il mondo sia pieno di bugiardi, e solo noi siamo sinceri.
Ma in realtà, in numerose occasioni siamo proprio noi a mentire per primi a noi stessi. Lo facciamo principalmente per evitare la paura e la sofferenza, e per la stessa ragione tendiamo a credere a molte delle falsità che ci circondano. Perché, se siamo onesti, dobbiamo ammettere che molte delle bugie intorno a noi sono abbastanza ovvie e riconoscibili: le promesse del politico, la pubblicità seducente, i miti che ci affascinano... il più delle volte, ci crediamo perché vogliamo crederci: perché credere a quelle falsità ci conforta e ci rassicura (e, quindi, attenua le nostre paure, e lenisce la nostra sofferenza):
  • Crediamo al politico perché vogliamo credere in un futuro migliore, speriamo che ci risolverà dei problemi, e sembra avere risposte mentre noi ci sentiamo pieni di dubbi.
  • Crediamo alla pubblicità nell'illusione di superare i nostri limiti, e la fatica del vivere quotidiano (l'auto che ci rende liberi, i cosmetici che vincono l'età e ci rendono affascinanti, l'abito o il profumo che ci rende desiderabili...)
  • Crediamo ai miti perché ci riparano dai dubbi e ci offrono delle sicurezze a cui appoggiarci - anche se sono illusorie -, ci offrono stabilità e certezze (l'amore eterno, la monogamia, il potere del denaro, il partito...)
Se fossimo davvero onesti con noi stessi, vedremmo facilmente attraverso questi "canti delle sirene", e riconosceremmo l'illusorietà delle loro promesse. Ma così facendo, perderemmo il potere consolatorio e rassicurante che ci offrono, ci ritroveremmo immersi nelle solite incertezze, dubbi, paure e confusione: ed è per quello che, il più delle volte, vogliamo crederci.

I miti che ci seducono

Alcuni esempi di miti a cui molti vogliono credere, a dispetto dell'assenza di prove, o dell'abbondanza di prove contrarie...
  • Il mito romantico: la relazione ideale, perfetta, di amore incondizionato ed eterno, in cui trovare tutto ciò che desideriamo.
  • Il mito della monogamia: che un partner possa essere tutto per noi, che l'innamoramento duri per sempre, che l'amore escluda il desiderio o l'interesse per altri, che la monogamia sia uno stato naturale...
    (solo il 3% dei mammiferi sono monogami, e nessuno dei primati sociali lo è).
  • I miti religiosi: l'esistenza di un dio amorevole che si occupa di noi, la sconfitta della morte, l'idea che la nostra fede ci rende superiori agli altri...
    (ovviamente non ci sono prove dell'esistenza o assenza di un dio; ma guardando come funziona il mondo, corrisponde ben poco alle promesse delle religioni).
  • Il mito del denaro: l'idea che il denaro ci renda felici, che la soddisfazione cresca di pari passo con la ricchezza (mentre può essere vero il contrario), che il successo ci renderà apprezzati e amati.

Le cinque ragioni per cui vogliamo credere alle bugie

Come mai siamo così inclini a ingannare noi stessi, oppure a credere in certe bugie? Accade perché vogliamo negare, respingere o esorcizzare cinque condizioni fondamentali della vita, in buona parte inevitabili, e l'angoscia che ci procurano:
  • Impermanenza
    Tutto cambia, me stesso incluso, e prima o poi tutto finisce, e ognuno muore.
  • Impotenza
    In molte situazioni non abbiamo alcun potere di cambiarle; siamo in balìa di forze a noi estranee, ed enormemente più grandi di noi.
  • Ininfluenza
    Abbiamo paura di essere insignificanti e sostituibili, di non fare alcuna differenza; di essere solo un anonimo granello di polvere nel deserto sconfinato.
  • Casualità o fato
    Vogliamo credere che c'è sempre un motivo dietro a quello che ci capita, perché così possiamo prevedere e influenzare gli eventi. Ma in realtà buona parte degli eventi sembra accadere per caso o per ragioni slegate da noi, il che significa essere in balìa di un fato indifferente, dove qualsiasi cosa potrebbe succederci in qualsiasi momento.
  • Ignoranza
    Siamo tutti ignoranti: le cose che sappiamo sono sempre meno di quelle che non sappiamo, o che avremmo bisogno di sapere. Da qui i continui dubbi, incertezze, ansie e paure per il futuro.

Impermanenza e Buddhismo

Il Buddhismo è una delle filosofie che meglio ha affrontato il tema dell'impermanenza e la sofferenza ad esso legata. Ci dice che l'impermanenza, il cambiamento, sono intrinsecamente parte della vita, quindi combatterli è futile: solo con l'accettazione possiamo trovare serenità.

Ininfluenza

Abbiamo tutti bisogno di sentirci unici, importanti, insostituibili: l'idea che un altro possa prendere il nostro posto (nelle relazioni, nel lavoro...), o che non facciamo alcuna differenza, ci ispira un terrore esistenziale e profondo. Ma in buona misura è proprio così: senza di noi il mondo andrebbe avanti come se nulla fosse (a parte i nostri cari, ovviamente), e se non ci fossimo noi a fare quello che facciamo, lo farebbe qualcun altro. La realtà è che siamo tutti sostituibili, e in gran parte incapaci di influire sullo scorrimento degli eventi; per la maggior parte di noi, lasciare un segno positivo nella vita di alcune persone è già una conquista.
La paura di essere ininfluente (o irrilevante) è collegata alla paura della morte: "Morirò e sarà come se non fossi mai esistito". Per questo ammiriamo e invidiamo i personaggi famosi o i geni: sappiamo che essi vengono ricordati anche dopo morti - ed è come se non fossero morti del tutto.

Ignoranza

La fondamentale ignoranza che affligge gli esseri umani è raramente ammessa, proprio perché è fonte di angoscia; ad essa preferiamo l'illusione di conoscere e controllare il mondo. Eppure questa vasta ignoranza è il nostro stato costante, per esempio:
  • Non conosciamo mai veramente gli altri; persino dopo una vita insieme, l'altro ci rimane per buona parte ignoto.
  • Peraltro, non conosciamo mai del tutto nemmeno noi stessi: la prevalenza dell'inconscio, la complessità del cervello, i lati oscuri che non vogliamo vedere, questo ed altro fa di ognuno un mistero vivente.
  • Quando c'è da prendere una decisione, non abbiamo mai tutte le informazioni a riguardo (e se cerchiamo di averle tutte rischiamo una "paralisi da analisi", o "paralysis by analysis"): quindi facciamo scelte approssimate, senza mai poter essere certi del risultato.
  • Il campo dello scibile umano cresce costantemente in ampiezza e complessità: nessuno può sapere tutto. Inoltre, l'avanzamento della tecnologia è tale per cui anche i migliori tendono a rimanere indietro.
  • Non abbiamo la possibilità di prevedere gli eventi, quindi siamo sempre soggetti all'incertezza su quello che potrà avvenire; come se camminassimo su una strada semibuia.
Certo, possiamo sempre imparare e scoprire, ma comunque non potremo mai conoscere tutto: il nostro tempo e le nostre capacità cognitive sono limitati. Inoltre, certe incognite dell'esistenza (le profondità dell'anima, i misteri dell'Universo, il futuro...) sono in gran parte insuperabili.

E' però importante sottolineare che l'ignoranza, fra le cinque condizioni sopra esposte, è quella che meglio possiamo attivamente contrastare: imparare continuamente, mantenere la mente aperta, mettersi in discussione, ci permettono di diminuire l'ampiezza di ciò che non comprendiamo.

Perché tutto questo ci atterrisce

Se consideriamo le paure sopra esposte, è facile intuire che generano un profondo disagio di fronte alla vita. E' in buona parte per questi motivi che vivere può essere un'esperienza così angosciante, ed è per le stesse ragioni che l'umanità ha da sempre cercato dei modi per attenuare questo disagio:
  • Per esempio, i miti e le religioni sono nati come risposta a un mondo inspiegabile e minaccioso, e tutt'ora svolgono compiti di sostegno e rassicurazione.
  • Oppure la ricerca di strumenti che ci fanno sentire più sicuri e meno alla mercé di forze estranee (il potere, il denaro, la bellezza).
  • O ancora l'uso di sostanze inebrianti (alcol, droghe), per ovviare al disagio e alla sofferenza che accompagnano le nostre vite.
Una delle bugie che ci hanno raccontato è che "la vita è meravigliosa". Ma la verità è che la vita può essere meravigliosa, ma molto spesso è invece incerta, dolorosa o terrificante. E le bugie che ci raccontiamo, ci aiutano ad andare avanti senza esserne sopraffatti.

Possiamo fare qualcosa?

Come già detto, quelle cinque condizioni sono parti inevitabili dell'esistenza. Lottare contro di esse è in genere futile (ignoranza a parte). Ma allora, cosa possiamo fare per esserne meno influenzati, e vivere più serenamente?
Due strumenti importanti sono l'accettazione, e l'onestà con se stessi.

Accettazione

Quando si parla di accettazione, molti si risentono perché la interpretano come passività, rassegnazione o vigliaccheria, ma l'accettazione è invece un'espressione di forza e saggezza. Come ben espresso nella "Preghiera della serenità", esistono due situazioni possibili:
  1. Quelle che possiamo cambiare: in queste ha senso impegnarsi per migliorarle.
  2. Quelle che non possiamo cambiare: qui lottare è vano, e sarebbe più saggio mettersi il cuore in pace.
La persona saggia non spreca le sue forze lottando contro i mulini a vento, ma le impiega per creare reale miglioramento: non si lamenta dove non serve, agisce dove è utile.
Nelle situazioni che non può cambiare, invece, la persona saggia le accoglie con grazia e stoica forza; consapevole che inveire e protestare non porta da nessuna parte.
Accettazione quindi non implica rassegnazione, ma l'intelligenza per distinguere dove applicare le proprie (limitate) energie.

Onestà con se stessi

Se da una parte certe bugie possono aiutarci a vivere più serenamente, dall'altra illuderci eccessivamente porta spesso a gravi errori o delusioni. Per vivere in modo efficace, dobbiamo confrontarci con la realtà: solo basandoci su ciò che è vero, possiamo agire in modo funzionale; solo riconoscendo i nostri limiti, possiamo provare a superarli.
Quindi, è importante essere onesti con se stessi, non farci abbindolare dalle illusioni più seducenti e ingannevoli, e riconoscere le verità importanti anche quando sono scomode. Riconoscendo ciò che è vero, saremo meglio equipaggiati per affrontare le situazioni, ed eviteremo di crollare quando verremo delusi. Viceversa, se voglio credere che tutto andrà bene, quando le cose andranno male sentirò il mondo che mi crolla intorno... perché avrò costruito il mio mondo sulle illusioni.


"La nostra mente è così abile a raccontarsi le bugie da credere che siano la verità."
(Ronald Laing)

"Dubitare è doloroso."
(Eduardo Giannetti, in "Le bugie con cui viviamo")

"Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità."
(Joseph Goebbels)


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A volte nessuno ha torto o ragione

Quando viviamo situazioni problematiche, di conflitto o di sofferenza, il più delle volte tendiamo a cercare un "colpevole": ci chiediamo chi ha sbagliato, chi è in torto, chi deve cambiare. Questo accade specialmente nelle relazioni (in particolar modo quelle sentimentali), ma anche a livello politico, religioso o internazionale.
Ma il fatto è che, molto spesso, in queste situazioni nessuno ha realmente torto o ragione, nessuno ha sbagliato (almeno intenzionalmente): quello che succede è che ognuno è diverso, ha esigenze diverse, o vede le cose in modo diverso dall'altro. Il conflitto quindi nasce dalle differenze, non da un errore oggettivo o da un torto reale:
  • se io desidero passare le vacanze al mare e tu in montagna, nessuno è in torto;
  • se io ho sempre voglia di fare sesso e tu no, nessuno è colpevole;
  • se io intendo avere dei figli e tu no, nessuno è sbagliato.
Semplicemente, abbiamo bisogni diversi o diverse priorità.

L'errore di cercare sempre il bene e il male

Purtroppo la nostra cultura "occidentale" ci insegna a giudicare in modo dicotomico, ovvero a vedere due parti in opposizione di cui solo una può essere "giusta" (è il "bene", ha ragione, ecc.), mentre l'altra è per forza "sbagliata" (è il "male", ha torto, è in errore, ecc.). Questa visione ci impedisce di vedere che, in molti conflitti, ognuno ha le sue ragioni, ognuno agisce secondo quello che a lui sembra giusto, ognuno fa il meglio che può; in questi casi:
  • non ha senso cercare un colpevole, perché nessuno ha colpa (cioè, nessuno sta creando il conflitto intenzionalmente);
  • non serve a nulla decidere chi ha torto o ragione, perché ciascuno ha le sue ragioni per agire in quel modo;
  • è inutile individuare chi è sbagliato o deve cambiare, perché nessuno è giusto o sbagliato, e nessuno dovrebbe cambiare (se non per propria libera scelta).

Oppure, a volte semplicemente qualcosa va storto, senza che che le persone coinvolte abbiano alcuna colpa, perché la vita va così: un imprevisto, un incidente, un evento naturale avverso. La vita non è equa, e il mondo non è fatto per renderci felici (è uno dei motivi per cui, a volte, la sofferenza è inevitabile).

A volte c'è chi ha ragione; altre volte hanno tutti ragione

In altre parole, è vero che in alcune situazioni c'è chi è oggettivamente in torto (per esempio chi ha violato la legge) oppure ha veramente sbagliato (p.es. chi intenzionalmente fa del male o danneggia un altro); ma negli altri casi, ci sono semplicemente bisogni e opinioni diverse. In questi casi, cercare un colpevole (che non c'è) o giudicare chi ci sembra essere in errore, ci porta a condannare chi non ha colpe e ci impedisce di risolvere il conflitto. L'unica via per uscire da questi conflitti è riconoscere le esigenze di ogni parte, e cercare una soluzione che possa accontentare tutti, o un compromesso ragionevole. E se questo risulta impossibile, è meglio ammettere questo "blocco", invece di voler dichiarare per forza un vincitore e uno sconfitto.
Per esempio, se io voglio dei figli e la mia partner no, e non riusciamo a trovare un punto d'incontro, è meglio riconoscere questa fondamentale incompatibilità (ed eventualmente separarsi), piuttosto che forzare uno dei due a vivere in un modo che vìola la sua natura, e che lo renderebbe frustrato, infelice e risentito.

Le esigenze contrastanti

La maggior parte dei conflitti nasce da bisogni o esigenze contrastanti: siccome siamo tutti diversi, è del tutto normale volere cose diverse (anche nelle coppie più affiatate, o nelle comunità più strette). E siccome tutti tendiamo a credere di avere ragione (vedi paragrafo successivo), svalutiamo le esigenze altrui, o ci appaiono prive di senso.
Ma questo atteggiamento è simile a quello di un bambino che pesta i piedi, e pretende che il mondo giri a modo suo. Quando sono gli altri a farlo con noi, li troviamo irragionevoli e oltremodo irritanti; proviamo a ricordarlo, quando siamo noi a fare altrettanto e vogliamo "dettar legge" (come ci ricorda una canzone degli anni '80, "Tutti vogliono governare il mondo" - "Everybody wants to rule the world", Tears for Fears).

Tutti pensiamo di avere ragione - e quasi sempre ci sbagliamo

Uno dei maggiori ostacoli all'avere una prospettiva aperta alle esigenze altrui, è l'umana tendenza a credere che la nostra personale opinione sia la migliore possibile, e/o che sia oggettivamente giusta. In realtà:
  • I fatti possono essere oggettivamente giusti oppure sbagliati, le opinioni no: preferire il rosso al verde, le donne agli uomini, la sicurezza alla libertà, sono solo inclinazioni personali e soggettive.
    Sui fatti oggettivi e dimostrabili si può arrivare a una posizione unanime (per esempio nelle verità scientifiche), sulle opinioni ci sarà sempre diversità e discordia.
  • Quindi nessuna opinione è "giusta" o migliore in assoluto, ma è solo uno dei tanti possibili modi di vedere le cose; lo dimostra il fatto che quasi sempre esiste una pluralità di opinioni, e che queste cambiano nel tempo e nelle diverse culture.
  • Inoltre, la nostra opinione agisce da "filtro" che "colora" la realtà a seconda di quello che crediamo; pensiamo di vedere la realtà per come è, in modo oggettivo, ma invece la interpretiamo a seconda delle nostre convinzioni.
Questo accade anche perché tendiamo a fidarci delle nostre emozioni: quando sentiamo qualcosa di potente dentro di noi, crediamo che indichi qualcosa di reale; diciamo "Me lo sento!" come se fosse una prova concreta, invece di una pura sensazione. Come spiega anche lo psicologo Daniel Gilbert nel suo libro "Stumbling on happiness" ("Felici si diventa", info nella Bibliografia), le nostre emozioni spesso ci fuorviano: ci fanno credere cose improbabili o non vere, ci portano a fare scelte sbagliate, e/o rafforzano i nostri pregiudizi e convinzioni.
Gran parte delle convinzioni comuni - come "Le donne dovrebbero...", "Gli uomini sono...", "Il vero amore è...", così come quelle su etnie, religioni o sistemi politici - che molte persone vedono come verità indubitabili, sono in realtà opinioni soggettive e arbitrarie, tanto è vero che sono sempre mutevoli nel tempo e fra le varie nazioni.

Credere che la propria opinione sia la migliore, o addirittura l'unica accettabile, è il (tragico) errore alla base di molte violenze, atti di terrorismo e guerre. Si tende a dividere le persone in due campi opposti, quelli che sono "con me" e quelli che sono "contro di me", senza possibilità intermedie. Si aggredisce chi non la pensa come noi, perché non si riconosce che la sua opinione - ancorché diversa - può valere quanto la nostra, e lo si vede come una minaccia, un nemico della (nostra) verità.

Ricorda, nessuno è normale

Un'altra convinzione che contribuisce a questo problema, è credere che esista una normalità oggettiva, e chi non vi rientra sia in qualche modo sbagliato. In realtà quella che chiamiamo "normalità" è semplicemente il comportamento più comune, o quello più tradizionale; ma tutto questo cambia col tempo e nelle varie culture, quindi non vi è nulla di oggettivo. Quello che a noi può sembrare disgustoso (per esempio mangiare insetti) altrove risulta delizioso; quello che oggi vediamo come inaccettabile (p.es. la schiavitù o il genocidio) un tempo era considerato normale.
In altre parole, la normalità non esiste realmente, è solo un'idea arbitraria, e le persone che ci sembrano "normali" lo sono solo perché non le conosciamo a fondo (visto da vicino, ognuno è un microcosmo unico di complessità e contraddizioni).

Tutti i gusti sono gusti

Infine, ricordiamoci che già i Latini dicevano "De gustibus non est disputandum" ("I gusti non sono argomento su cui dibattere"). Nel senso che è inutile discutere (per far cambiare idea agli altri) su argomenti di preferenze personali od opinioni soggettive: ognuno vede le cose a modo suo, e opinioni diverse non cambieranno ciò. Nel caso migliore, si può confrontare le diverse opinioni per comprendere le altre ed allargare la propria visione; ma discutere per imporre la propria, sarà solo fonte di scontri ed incomprensioni.

Dal conflitto alla comprensione

Quindi, quando ci scontriamo con posizioni ed opinioni diverse dalla nostra, non facciamoci sedurre dalla convinzione di essere "nel giusto" e potere (o dovere) prevalere sull'altro. Piuttosto, ricordiamoci che l'altro ha sicuramente delle ragioni per sostenere la sua posizione (anche se magari non le ha chiare in mente), e cerchiamo di capirle; una volta compresa la sua posizione, potremo mediare le diverse esigenze e cercare una soluzione accettabile per tutti.
Nel caso peggiore potremmo arrivare a capire che non ci sono soluzioni possibili (almeno al momento); ma lo faremmo riconoscendo ad entrambi il diritto alla propria posizione, vedendo l'altro come nostro pari, invece di vederlo come un nemico da sottomettere o annientare.
E questa sarebbe già una grande vittoria. :-)


"Per ragionare deve esserci indifferente l'avere ragione."
(Maurizio Fogliato)

"Si può considerare 'l'aver ragione' la 'malattia terminale dell'Occidente'."
(Wayne W. Dyer)

"Un vero uomo di cultura non crede mai d'aver ragione fino in fondo."
(Giansiro Ferrata)


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