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Per stare in coppia bisogna accontentarsi

Quando vediamo una coppia di lunga data (oltre due-tre anni), e specialmente se di età superiore ai 30 anni, possiamo essere abbastanza certi che queste persone, in qualche modo, si accontentano*.
  • Entrambi avranno difetti, mancanze ed imperfezioni (cosa inevitabile, essendo umani).
  • Entrambi non troveranno nel partner tutto quello che desiderano, o di cui hanno bisogno (a meno che abbiano creato quella persona su misura, in laboratorio). Non esiste il partner perfetto.
  • Entrambi avranno tratti o comportamenti che l'altro trova fastidiosi o irritanti.

Ma se queste persone continuano a restare in coppia, vuol dire che - nonostante quanto sopra - hanno deciso:
  • Che le qualità positive del partner superano quelle negative o mancanti.
  • Di concentrarsi sugli aspetti positivi e piacevoli della relazione, piuttosto che su quelli spiacevoli o negativi.
  • Che la propria vita è migliore insieme a quella persona, piuttosto che senza.

* Cosa significa "accontentarsi"

"Accontentarsi" vuol dire essere contenti per qualcosa, anche se non è la perfezione o il massimo. Dal dizionario Treccani: accontentarsi = essere o ritenersi contento. Implica un grado di soddisfazione adeguato o accettabile, anche se non ideale. Non vuol dire rassegnarsi o subire, oppure fare finta di essere appagati. Il vecchio detto "Chi si contenta gode" indica proprio questo: colui che non pretende di andare oltre le sue possibilità, e si gode quel che ha raggiunto.
Non esclude nemmeno ambire a qualcosa di meglio: posso benissimo godermi questo momento, e al tempo stesso progettare un futuro migliore (come chi lavora e studia).

Purtroppo nell'uso comune "accontentarsi" viene spesso usato come indice di mediocrità o fallimento; come se si potesse sempre ottenere il massimo, e chi non ci arriva è una persona scadente. Ma in realtà la perfezione non esiste, e ben pochi hanno le capacità (e la fortuna) necessari ad arrivare in cima; alla maggior parte di noi, nella maggior parte dei casi, tocca accontentarsi.
Anche se la pubblicità spesso vuol farci credere il contrario (così da indurci a comprare cose superflue o inutili).

In pratica, le persone più soddisfatte sono proprio quelle capaci di accontentarsi nella vita - ovvero di essere contente e godersi ciò che hanno. Mentre quelle troppo ambiziose ed arriviste non sono mai soddisfatte, perché sempre impegnate ad inseguire un traguardo dopo l'altro.
Senza contare che nessuno può fare o avere tutto nella vita - e questo vale anche nelle relazioni.

“Le persone più soddisfatte
sono proprio quelle
capaci di accontentarsi”

C'è sempre qualche compromesso

Poiché nessuno è perfetto, ogni partner avrà delle caratteristiche che apprezziamo, ed altre di cui faremmo volentieri a meno. In altre parole, in coppia ci adattiamo sempre a qualche compromesso (anche quando non ne siamo consapevoli). Vediamo qualche esempio:
  • Spesso quando troviamo un partner molto attraente, siamo meno esigenti (cioè ci accontentiamo di più) sulle sue mancanze a livello di carattere o comportamento.
  • Oppure, al contrario, un partner con qualità straordinarie a livello di personalità o talenti, ci induce ad accontentarci riguardo il suo aspetto fisico.
  • Magari lui è un uomo affascinante, ma ha la fastidiosa abitudine di flirtare con altre donne.
  • Magari lei è una donna molto sexy, ma ci irritano le sue lunghe telefonate, o il suo continuo fare shopping, o la sua tendenza ai comportamenti drammatici.
  • Lui è alto, ma ha pochi capelli
  • Lei ha belle gambe lunghe, ma poco seno
  • Lui ha un ottima posizione o guadagna bene, ma è spesso assente o ha poco tempo per la famiglia
  • Lei è tanto dolce e disponibile, ma a volte risulta appiccicosa o soffocante
  • Lui è un marito premuroso e un padre affettuoso, ma è poco virile
  • Lei è una compagna fedele e affidabile, ma ha perso ogni interesse per il sesso
  • Lui russa, o si lava poco, o veste in modo trascurato
  • Lei adora guardare programmi TV imbarazzanti, o passa ore sui social network
  • Si scopre di avere pochi argomenti di cui parlare, o pochi interessi in comune
  • Ci si ritrova a litigare spesso per delle sciocchezze
  • E così via...

Ma si resta ugualmente in coppia: perché comunque quella persona ci piace, perché ne abbiamo bisogno, perché nonostante tutto le vogliamo bene... o a volte per abitudine o paura della solitudine.

Qualità contrapposte

E' necessario capire che certe qualità sono opposte fra loro, quindi la stessa persona non può averle entrambe. Per esempio è alquanto improbabile che:
  • Un uomo con un carattere forte e sicuro di sé, sia anche molto sensibile e dall'animo poetico.
  • Una donna molto emotiva, impulsiva e passionale, sia anche estremamente seria e affidabile.

E' anche per questa ragione che non può esistere l'uomo perfetto, e nemmeno la donna ideale (a dispetto del mito romantico della "persona giusta"). Più si possiede una qualità di un certo tipo, meno si avrà la qualità di tipo opposto. Chi vorrebbe entrambe le qualità in un partner, quindi, si trova dover scegliere quale preferire.

“Certe qualità sono opposte fra loro,
quindi una persona
non può averle entrambe”

Quando ci accontentiamo senza saperlo

A volte ci accontentiamo ma non ce ne rendiamo conto: ci auto-convinciamo di essere del tutto appagati, o che il partner sia in tutto e per tutto la persona che vogliamo al fianco (è un processo inconscio, che tende ad evitarci frustrazioni, conflitti interni o dissonanze cognitive). In pratica facciamo come nella favola de "La volpe e l'uva": ci convinciamo di volere quello che abbiamo, o di non volere quello che ci manca.
Questo spiega perché certe coppie dichiarino una piena soddisfazione (in buona fede), anche se dall'esterno le mancanze della coppia, o il loro accontentarsi, ci appare evidente.

La fase dell'innamoramento

All'inizio ho parlato di "coppie di lunga data", perché l'inizio di una relazione funziona in modo particolare. Di solito all'inizio siamo preda di una infatuazione o dell'innamoramento, che ci portano a vedere l'altro come perfetto e meraviglioso, come la persona ideale che vorremmo avere sempre accanto. Finché dura questa fase idilliaca, ci sentiamo del tutto appagati, non ci stiamo accontentando.
Purtroppo l'innamoramento finisce sempre (di solito entro 12-18 mesi), dopodiché iniziamo a vedere l'altro per come è realmente.

Dall'infatuazione alla disillusione

Alla fine dell'innamoramento o dell'infatuazione, arriva necessariamente una fase di disillusione: quando ci rendiamo conto che l'altro non è il partner ideale come ci era sembrato, ma è umano, limitato e fallibile.
  • Chi riesce a superare questa disillusione, ed apprezza comunque le qualità del partner, continua la relazione su basi più realistiche.
  • Chi invece non la supera, e magari rimane attaccato ad un ideale romantico di relazione perfetta ed innamoramento eterno, respingerà il partner ormai "decaduto", e ne cercherà uno nuovo con cui inseguire il sogno.

“Nell'innamoramento
vediamo l'altro come
perfetto e meraviglioso”

Gioventù e maturità

In apertura ho parlato di coppie dopo i 30 anni, perché spesso da giovani ci comportiamo diversamente. E' più raro che una coppia di ventenni scelga di accontentarsi, perché da giovani:
  • Si è più immaturi ed impulsivi, quindi magari si salta da una relazione all'altra alle prime crisi, o prima di stancarsi.
  • Si è dominati dagli ormoni, per cui l'attrazione fisica è spesso un fattore cruciale; quindi se troviamo il partner attraente, il resto passa in secondo piano.
  • Si è più ingenui ed inesperti, non si sa bene cosa vogliamo, quindi si è meno esigenti e più facilmente contenti.

Vari livelli di compatibilità

Naturalmente accontentarsi non significa prendere tutto quello che capita. Per stare bene con qualcuno, ci dev'essere una compatibilità adeguata. Il livello di compatibilità può variare molto:
  • Sotto un certo livello, l'insoddisfazione o la frustrazione sono talmente elevate che la coppia si scioglie (oppure, se i due partner sono particolarmente dipendenti, continua in modo fortemente conflittuale).
  • Ad un buon livello di compatibilità, la coppia è abbastanza legata e felice - nonostante le inevitabili incomprensioni, conflitti e litigi.
  • Ma anche a livelli elevati, la compatibilità non sarà mai totale.

(per approfondire il tema dei vari livelli di compatibilità, vedi il post sulla Relatività Relazionale, e in particolare il paragrafo sull'amore di coppia)

Anche la "persona giusta" è una persona

Il limite maggiore del mito romantico della "persona giusta", è che immagina una compatibilità totale: i due partner sembrano fatti l'uno per l'altra, sono sempre felici insieme e si amano in modo incondizionato.

Questo mito è ovviamente seducente (per questo così tanti ci credono), ma purtroppo irreale: anche la "persona più giusta" è comunque una persona, cioè un individuo unico con gusti, preferenze e interessi propri, che non combaciano mai al 100% con quelli del partner. Invece il mito romantico presenta una coppia dove i partner vivono in funzione dell'altro, privi di impulsi egoistici, rinunciando alla propria individualità per uno stato di "fusione emotiva" che ricorda la simbiosi tra madre e neonato.
Nella fase dell'innamoramento questa compatibilità totale sembra esserci, perché i partner sono come "drogati di endorfine"; ma quando questo effetto decade, gli elementi di incompatibilità si rivelano.

L'illusione di essere speciali

Messi di fronte a queste argomentazioni, molte persone e coppie reagiscono dicendo "Per me/noi sarà diverso!". Cioè si attaccano all'idea di "essere speciali", e che per loro funzionerà in modo diverso dal resto del mondo. Sembra superfluo dire che questa è, nella maggior parte dei casi, un'illusione:

“Quello che accade alla maggioranza,
probabilmente
succederà anche a noi”

Quello che ottengo dipende da quanto offro

Naturalmente, chi ha maggiori qualità da offrire (cioè possiede un "valore di mercato" relazionale più elevato) potrà puntare più in alto e accontentarsi meno - mentre chi ha "minore valore" dovrà accontentarsi di più. Ma ognuno si troverà comunque ad accontentarsi in qualche modo.

La pretesa di volere più di quanto si vale

Un errore che fanno molti, specialmente in ambito sentimentale, è voler credere di poter fare o avere cose straordinarie, anche se sono persone ordinarie. Ma da un seme di pomodoro non può nascere una quercia. Anche in amore, le cose non capitano per caso: le relazioni che saprò creare dipenderanno dalle mie capacità, dal mio valore.

In altre parole, se sono un uomo qualunque o una donna ordinaria, è inverosimile che una persona di qualità eccezionale mi scelga come partner: tale persona sa bene che può aspirare al meglio, quindi cercherà di ottenerlo. Questo vuol dire che se sono una persona comune, a maggior ragione dovrò accontentarmi per creare e mantenere una relazione. Anche se incontrassi una persona straordinaria con tutte le qualità che desidero, costei vorrà un partner altrettanto straordinario - non me che sono "uno qualsiasi".

Chi crede diversamente si attacca ad un "pensiero magico" (pensare che qualcosa possa avvenire senza causa o spiegazione plausibile, come "per magia"), senza nessuna base reale, per cui l'amore accade senza una ragione - e quindi tutto è possibile.

“Se sono una persona comune,
a maggior ragione
dovrò accontentarmi”

Le coppie che durano a lungo

Se leggiamo interviste a coppie felici di lunga data (qualche esempio: Di-Lei [in italiano], The Atlantic, Women's Health [in inglese]) vediamo che nessuno dice di aver trovato un compagno perfetto. Invece, tutte queste coppie rivelano elementi in comune:
  • Si sono impegnati per far funzionare la relazione, persistendo nei momenti difficili
  • Si sono andati incontro accettando dei compromessi
  • Hanno imparato ad apprezzare l'altra persona per come è (sono capaci di gratitudine)
  • Hanno posto l'accento sugli elementi positivi, sorvolando su quelli negativi.

Insomma, per stare bene insieme ed amarsi a lungo, "essere un partner capace" (cioè avere le capacità necessarie a far prosperare una relazione) sembra più importante di "trovare la persona ideale".

Le bugie romantiche danneggiano le relazioni

Ovviamente questo discorso va a "smontare" miti romantici del tipo "E vissero per sempre felici e contenti", o dell'amore eterno e invincibile. Ma per vivere bene le relazioni è necessario rendersi conto che molte idee romantiche sono ingannevoli e, invece di arricchire l'amore, lo danneggiano.

Perché è importante riconoscere queste verità, scomode ma comuni? Per una serie di benefici:
  • Se crediamo al partner perfetto, arriveremo a scartare ogni partner reale - in quanto imperfetto e inadeguato (questo è uno dei motivi per cui certe persone si ritrovano sempre sole).
  • Se crediamo che si possa restare sempre innamorati, o che l'innamoramento equivalga all'amore, quando l'innamoramento decade crederemo che anche l'amore sia finito, e "butteremo via" la relazione nella speranza che il prossimo partner sia la "persona giusta".
  • Quando attraverseremo la fase della disillusione, saremo in grado di capire che siamo noi stessi ad esserci illusi, e non è stato l'altro che ci ha ingannati.
  • Se riconosciamo che il partner non sarà mai perfetto (come d'altronde non lo siamo nemmeno noi), avremo meno aspettative esagerate ed irrealistiche, e ci verrà più facile accettare ed apprezzare il partner per come è (facendolo quindi sentire più amato).
    Viceversa, se critichiamo e/o disprezziamo il partner perché non sappiamo apprezzare quello che ci offre, col tempo i suoi sentimenti per noi si raffredderanno (tutti abbiamo bisogno di sentirci apprezzati), e prima o poi ci abbandonerà.
    In altre parole, apprezzamento e gratitudine alimentano la relazione, mentre pretese e critiche la logorano.

In pratica, rinunceremo ad una visione idealizzata e favolistica dell'amore, per una più reale e umana. A tutto vantaggio di una relazione sana, matura ed appagante - per quanto imperfetta.


"La donna ideale esiste solo per chi non conosce le donne. Come l'uomo ideale, solo per chi non conosce gli uomini."
(Roberto Gervaso)

"Non aspettare che la persona giusta entri nella tua vita. Cerca di essere la persona giusta che entra nella vita di qualcuno."
(Antonia Gravina)

"La caratteristica più radicata nell'umana natura è il bisogno di essere apprezzati."
(William James)


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8 ragioni per cui tutti soffriamo

Spesso capita di chiedersi le ragioni della propria sofferenza, o di stupirsi nel vedere quanto comune sia vedere persone che soffrono.
  • Molti non si capacitano di tutto questo dolore, forse perché ritengono che sia naturale essere felici, e vedono il dolore come una "anomalia".
  • Alcuni si sentono confusi o smarriti, specialmente se credono ad una figura divina amorevole ed onnipotente: "Se Dio ci ama, com'è possibile che questo accada?".
  • Certi sono convinti che tutto questo sia dovuto a "figure oscure", a qualche personaggio malevolo come rappresentato nei film popolari o di supereroi - dove il "cattivone" viene sconfitto e tutto ritorna in pace.

La vita comporta sofferenza

Sull'argomento della sofferenza io concordo con il buddismo, che afferma: "La vita è sofferenza" (o, per meglio dire, nella vita sono inevitabilmente inclusi sofferenza, impermanenza e cambiamento). Quindi la sofferenza è naturale, è parte dell'esistenza stessa, ed è per molti versi inevitabile.
Se crediamo che così non sia, è perché ci hanno "raccontato delle favole", cioè instillato convinzioni che non corrispondono alla realtà (per esempio l'idea di un dio per cui siamo creature privilegiate, o che siamo tutti buoni ma qualche malvagio rovina tutto, o che la felicità sia un diritto, o che ci venga naturale - tutte cose smentite dai fatti).

Capisco che le mie affermazioni possano lasciare increduli: dopo tutto, se vi siete sentiti dire certe cose da una vita, è difficile metterle in discussione. Quindi elenco otto ragioni che dimostrano come la sofferenza sia "normale", spesso inevitabile, e parte della vita stessa.
Naturalmente non vi chiedo di credermi sulla parola. Considerate ognuna di queste ragioni e confrontatela con la realtà, con i fatti concreti; e decidete voi se corrisponde al vero.


Otto ragioni per cui tutti soffriamo

1. Il mondo non è fatto per renderci felici

Pensare che la realtà sia "al nostro servizio" è una forma di egocentrismo clamorosa. Il mondo esisteva molto prima che noi umani entrassimo in scena (siamo "appena arrivati", in tempi cosmici), e continuerà ad esistere molto dopo che ci saremo estinti. Quindi credere che il mondo esista per farci contenti è una follia, che porta inevitabilmente ad aspettative illusorie, delusione e rabbia.

La felicità non è scontata, è un'arte. L'arte non accade di default, per conto suo: va creata con talento, impegno, sacrificio e un pizzico di (o molta) fortuna. La felicità idem. Se uno non coltiva e mette in atto le sue capacità di creare felicità, questa non avverrà (o avverrà di rado, per colpi di fortuna).

2. Non siamo progettati per essere felici - ma per sopravvivere e riprodurci

La felicità è per noi un sottoprodotto, una casualità, un dono dal cielo. L'amigdala, parte del cervello che domina le nostre scelte istintive e viscerali (reazioni "fight or flight", di lotta o fuga), dà una priorità assoluta alla sopravvivenza, e ben poca alla felicità (semmai favorisce il piacere temporaneo, che è cosa diversa).
Potremmo pensare che la nostra parte razionale (neo-corteccia) compensi. Ma nel nostro cervello le parti istintive ed emozionali (come pure l'inconscio), che puntano alla sopravvivenza e a difenderci molto più che alla felicità, sono preponderanti. La neo-corteccia è, sia in termini evolutivi che funzionali, "l'ultima arrivata".

Similmente, le nostre scelte sentimentali sono per lo più guidate da istinti e pulsioni innate, che non hanno come scopo la felicità o il benessere, ma la riproduzione dei propri geni. Essere attratti da qualcuno non dà alcuna garanzia di una relazione felice: è un "trucco" della Natura per indurci a procreare.
"Il sesso è una trappola della natura per evitare l'estinzione."
(Friedrich Nietzsche)

Non c'è quindi da stupirci se le nostre relazioni sono spesso così complicate, insoddisfacenti e deludenti. Il Romanticismo ci dice che lo scopo dell'amore è essere felici insieme, ma la Natura ha priorità ben diverse.

3. Abbiamo aspettative elevate e illusorie, e che diamo per scontate

A molti sembra naturale essere felici, si aspettano che gli altri li rendano felici (i partner), o che si prendano cura di loro (la famiglia, lo Stato). Di conseguenza vivono come bambini passivi, in attesa della "manna dal cielo".
Non si prendono attivamente la responsabilità della propria vita (o lo fanno solo in parte), delegando ad altri questo compito. Tutte le persone che si lamentano abitualmente, che fanno le vittime e si piangono addosso, ma non agiscono per migliorare la situazione, rientrano in questo schema.

Una differenza con epoche precedenti è che, in passato, le persone non si aspettavano di essere felici (il loro obiettivo primo era sopravvivere): vivevano esistenze ben più difficili, e avevano aspettative molto più basse. Oggi invece ci sentiamo in diritto di essere felici (aspettativa che conduce alla delusione). Molte persone soffrono perché si aspettano una vita a "livello 100", e non sanno godersi la loro vita a "livello 30".

4. I media alimentano le nostre illusioni

Pubblicità, social network, ma anche testate informative, continuano a mostrarci vite ideali e sogni in technicolor che ci fanno sentire inferiori, ed in cui tutti sono più belli e felici di noi. Questo alimenta aspettative irreali (la ragazza che vorrebbe un fisico da modella, l'uomo che vorrebbe il posto da manager...) e una continua rincorsa verso una ipotetica felicità futura ("Sarò felice quando...") che non si raggiunge mai (la felicità esiste solo nel momento presente).

Ma la responsabilità non è solo dei media falsi e manipolatori: spesso ci lasciamo ingannare perché vogliamo essere ingannati (sedotti, illusi). Poiché la realtà è sovente scomoda o deludente, rifiutiamo di riconoscerla ed invece siamo pronti a credere alle favole, ad ascoltare il "canto delle sirene".

Come detto nel punto precedente, la felicità (o sofferenza) è direttamente collegata alle aspettative: se io mi aspetto 25 ed ottengo 50, sarò felice; se mi aspetto 75 ed ottengo 50 sarò addolorato. Eppure in entrambi i casi ho ottenuto lo stesso risultato!
In certe culture (o in alcune epoche passate), dove non si esaltano ego ed individualismo, e dove si insegna la moderazione ("In medium stat virtus", la virtù sta nel mezzo), l'accontentarsi e l'adattarsi (Stoicismo), in media le persone sono meno stressate, più serene e più contente della loro vita.

5. Combattiamo con la realtà, invece di accettarla o di collaborare con essa

Se combatto contro l'inevitabile (come la morte) perderò sempre e comunque. Se mi aspetto che la realtà si adatti a me (invece che essere io ad adattarmi ad essa), avrò risultati scarsi o nulli. Invece di vederci - con umile realismo - come piccole particelle di un mondo sconfinato, spesso ci aspettiamo che sia il mondo a girare intorno a noi.

Questo tipo di mentalità "narcisista" ("Il mondo esiste per me, per servire me") è alla base di molte delle sofferenze moderne. Il narcisismo altrui ci fa arrabbiare, ma il nostro ci appare giustificato. Una tendenza egocentrica o narcisista è insita nell'essere umano, ma la società moderna l'ha alimentata a livelli mai visti prima.

6. I genitori sono incompetenti

Molte sofferenze e problemi nascono da esperienze infantili negative o traumatiche. I genitori sbagliano spesso, anche con le migliori intenzioni, perché:
  • A. Errare è umano e inevitabile
  • B. Praticamente nessuno insegna loro come fare
(da notare che B è rimediabile, mentre A no).

In aggiunta, le persone meno adatte a crescere figli (immature, nevrotiche, infelici, ignoranti, primitive...) sono quelle che più probabilmente fanno figli.
Le motivazioni a procreare sono per lo più irrazionali, e spesso sono reazioni a problemi personali (senso di vuoto, mancanza di scopo, insoddisfazioni, ambizioni irrisolte, solitudine e mancanza d'amore...). Raramente i figli crescono con intorno genitori saggi, sereni ed equilibrati.
Le conseguenze inevitabili sono moltitudini di persone problematiche, complessate e scarsamente capaci di affrontare l'esistenza.

7. La complessità della società aumenta continuamente.

Tecnologia, globalizzazione, legislazione, popolazione... la complessità è in continuo aumento, ovunque. Se da una parte questa complessità crescente ci offre sempre maggiori vantaggi (abbondanza di cibo, informazione, cultura, svago, sanità, comodità e lussi...), dall'altra la complessità ci genera ansia, inquietudine e frustrazione. Ci fa sentire smarriti e impotenti (tutto è sempre più complicato e meno comprensibile o gestibile).

Il contadino del 1300 viveva più sereno di noi, perché il suo mondo era circoscritto e statico; però un terzo dei contadini del 1300 sono stati sterminati dalla peste nera. Non si possono avere i vantaggi della modernità senza patirne gli svantaggi (e viceversa).

8. Il primo problema degli esseri umani, sono gli esseri umani stessi

Nel corso del tempo noi umani abbiamo eliminato, o fortemente ridotto, tutte le fonti di sofferenza esterne: malattie, scarsità, predatori, fattori ambientali (rimane la morte, però sempre più lontana). I problemi che ci creiamo noi stessi, però, rimangono i medesimi: siamo egoisti, miopi, insaziabili, concentrati sul breve periodo, litigiosi, vendicativi, prevaricatori. Dominiamo il pianeta, ma non sappiamo dominare noi stessi.

Di conseguenza, la maggior parte della sofferenza umana è creata da noi stessi: a mio parere, gli esseri umani sono fondamentalmente delle "teste di cavolo".
Disprezziamo le bestie, ma in realtà loro vivono più in pace, sereni e godendosi la vita di noi.


Considerazioni sulla sofferenza

Il mondo va sempre peggio?

Quando si parla di problemi e sofferenza, c'è sempre qualche "catastrofista" convinto di vivere in un mondo orribile che va sempre più decadendo, che la situazione non sia mai stata peggiore, e che in passato si stesse meglio.

Ma nonostante la loro forte convinzione, queste persone sono generalmente in errore:
  • La sofferenza è sempre esistita, e sempre esisterà (vedi citazione dal buddismo all'inizio).
  • Le lamentele sul decadimento della società, sulla perdita di valori, sui giovani che sono peggiori degli anziani, sono sempre esistite. Ne troviamo traccia già negli scritti degli antichi greci e romani.
  • Oggi abbiamo molta meno sofferenza materiale che in passato (il numero di persone in condizioni di povertà è in diminuzione da decenni).
    Però sembriamo avere più sofferenza emotiva e psicologica. Forse perché quando si era preoccupati per la sopravvivenza, non si aveva tempo per depressione o problemi esistenziali.

Quindi questo pessimismo è un errore di prospettiva, di solito dovuto ad ignoranza: chi crede di vivere in un'epoca peggiore del passato... di solito non conosce veramente com'era il passato.

La ricerca di un colpevole

Alcune persone sono convinte che i problemi del mondo siano causati da qualche individuo o gruppo di persone malvagi, che tessono trame oscure per rovinare o dominare le vite altrui. I complottisti rientrano in questa categoria.
Di fronte a problemi e sofferenze, quindi, costoro cercano un "colpevole". Ma esiste sempre un colpevole, un atto malvagio volontario?

Secondo me, a volte ci sono dei colpevoli e a volte no. A volte il dolore è semplicemente parte dell'esistenza. A volte gli eventi negativi succedono e basta, perché il mondo è caotico e non ordinato come vorremmo (vedi i concetti di caos e cosmos - disordine e ordine - nella filosofia greca). In inglese si dice "Shit happens", ovvero "Le cose brutte [merda] semplicemente accadono".

Quindi non sempre c'è un senso - o un colpevole - dietro gli eventi. Di nuovo, il mondo non gira intorno a noi o alle nostre esigenze: va per la sua strada.
Però ci sono sempre delle cause; e a volte noi stessi contribuiamo alle cause (per esempio se scelgo sempre un certo tipo di partner, o non affronto dei miei blocchi psicologici). Ma siccome riconoscere di essere parte del problema (essere con-causa) genera una responsabilità che la maggior parte delle persone rifiuta, costoro preferiscono dare la colpa all'esterno e cercare il colpevole in chiunque - tranne che in se stessi.
  • Chi cerca ossessivamente un colpevole, spesso è proprio chi rifiuta la responsabilità personale della propria sofferenza, quindi ha bisogno di trovare qualcun altro a cui attribuire la colpa.
  • Oppure è chi crede che la felicità sia il default (quello che accade di norma), e la sofferenza sia un'eccezione da eliminare. Quindi pensa "Dovrei essere felice, ma non lo sono, quindi qualcosa non va e dev'essere colpa di qualcuno".
Va anche detto che è normale (se non diventa ossessivo) voler identificare un colpevole, o una causa, per i propri problemi. Detestiamo sentirci all'oscuro, l'incertezza ed il caos, per cui cerchiamo istintivamente spiegazioni a quello che ci accade - anche quando non c'è una risposta logica o soddisfacente (per certi versi, le religioni nascono come tentativo di dare una risposta ai misteri dell'esistenza).

Affrontare la sofferenza, coltivare la felicità

Naturalmente, tutto questo non significa che dobbiamo rassegnarci alla sofferenza, o che dobbiamo subirla passivamente. Anche se l'esistenza non è "progettata" per renderci felici, abbiamo comunque la capacità di sentirci gioiosi, sereni ed appagati (basta non pretendere di esserlo sempre e comunque):
  • Possiamo partire dal distinguere tra quello che possiamo cambiare, e ciò che invece sfugge al nostro controllo e possiamo solo accettare (vedi "Preghiera della serenità").
  • Possiamo imparare ad affrontare la sofferenza - in modo da diventare capaci di subirla meno e gestirla meglio.
  • Quando certi eventi dolorosi si ripetono più volte in modo simile, è probabile che noi stessi contribuiamo ad essi (in qualche modo inconsapevole). Scoprire i meccanismi che ci portano a ripetere quei comportamenti, e capirne i motivi, può aiutarci ad uscirne.
  • Molta sofferenza non necessaria nasce dai conflitti con se stessi: questa può essere superata imparando ad accettarsi ed amarsi come siamo.
  • Infine, va ricordato che a volte la sofferenza può essere utile: può essere un sintomo che ci indica quello che non funziona nella nostra vita, od essere un'esperienza necessaria per imparare qualcosa, o contribuire alla nostra crescita come persona. Quindi a volte è benefico comprenderne il senso, invece di rifiutarla a priori.


"Un uomo che teme di soffrire, soffre già di quello che teme."
(Michel E. de Montaigne)

"Voler evitare ogni incontro col dolore significa rinunciare a una parte della propria vita umana."
(Konrad Lorenz)

"Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e toglierci valore e dignità, ma per maturarci."
(Hermann Hesse)


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Perché le donne amano il dramma, e gli uomini lo detestano

Uomini e donne: pianeti diversi?

Uno dei motivi principali per cui uomini e donne faticano ad andare d'accordo, è che sono per molti aspetti diversi: spesso vogliono cose differenti, hanno gusti diversi, e quello che all'uno piace all'altra irrita - o viceversa.

Un esempio eclatante è la passione maschile per motori e tecnologia, e l'ossessione femminile per scarpe, borse e accessori; categorie di cui al sesso opposto importa in genere poco o nulla. Ma le differenze sono numerose, al punto che a volte uomini e donne sembrano appartenere a "specie diverse". Non a caso, uno dei libri di maggior successo sul tema dei rapporti tra i sessi è "Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere" di John Gray (info nella Bibliografia).
Un altro settore in cui presentano grandi differenze è quello della comunicazione, per cui non di rado maschi e femmine non si capiscono.

“Uomini e donne
sembrano provenire
da pianeti diversi”

Tempeste emozionali

In questo post voglio trattare del differente atteggiamento riguardo il "dramma", ovvero:
  • La tendenza a comportarsi in modo fortemente emotivo, melodrammatico, conflittuale, aggressivo o comunque pieno di tensione - tutt'altro che sereno e tranquillo.
  • Reagire abitualmente in modo eccessivo o esagerato rispetto agli eventi o alle cause.
  • Comunicare in modo emotivamente intenso, drammatico, alzando la voce o in tono enfatico, gridando o piangendo, anche quando non c'è un reale motivo.
  • Fino ad arrivare all'estremo, a quelle persone che in inglese vengono definite "drama queen" (le regine del dramma): chi adora fare scenate, alzare la voce, aggredire gli altri o piangersi addosso platealmente - perché ne trae particolare godimento o soddisfazione.

Non di rado queste persone tendono anche a fare le vittime: a dare la colpa agli altri dei loro problemi, a vedersi come impotenti ("Non posso farci nulla!"), a pensare che il mondo ce l'abbia con loro.

Il dramma per le donne, e per gli uomini

Questi comportamenti sono più comuni fra le donne. La maggior parte degli uomini li detestano, si sentono a disagio quando accadono, e non li comprendono:
  • Perché reagire con tanta foga per una sciocchezza?
  • Perché alzare la voce quando la calma è più efficace?
  • Perché fare tutte queste scene quando sarebbe più semplice cercare una soluzione?
(con questo non voglio dire che gli uomini siano esenti dal "dramma": alcuni ci cascano saltuariamente, altri ne dipendono, ma sono più eccezioni che la regola)

Come osserva la blogger e coach Ilaria Cardani nel suo post sull'importanza di controllare l’emotività:
"Agli uomini non piace il 'dramma', non piacciono le donne che si crogiolano nel fare le drammatiche. [...]
Molte donne sono legatissime al 'dramma' e sono convinte che per godersi la vita e l’amore, gli alti e bassi emotivi siano essenziali per vivere i sentimenti in tutta la loro profondità e intensità. [...]
Queste donne sono attaccate al 'dramma' perché hanno una malintesa idea di femminilità (sono convinte che le donne devono essere oltremodo sentimentali) o provengono da una famiglia e da un ambiente dove la modalità 'dramma' ha sempre regolato le relazioni tra persone."

“Agli uomini
non piacciono le donne
che fanno le drammatiche”

C'è sempre un motivo

E' importante capire che chi tende al "dramma" ne trae un "guadagno": anche se difficilmente lo ammettono, questo tipo di persone ricavano dal dramma soddisfazione, riconoscimento o appagamento. Anche se dall'esterno qualcosa può apparire illogico, mai dimenticare che ogni comportamento ha una motivazione.

Ma quali possono essere i motivi per questi atteggiamenti irrazionali? E perché - in genere - le donne sembrano tanto inclini al dramma, e gli uomini così avversi ad esso?

Perché questa differenza

Come spesso accade per i comportamenti umani, i motivi possono essere molteplici. Alcuni sono psicologici, e possono nascere sia dal carattere personale, che dalla cultura. In altri casi può dipendere dalla maturità emozionale della persona.

Donne emotive, uomini razionali

In generale, possiamo dire che le donne sono più emozionali, mentre gli uomini sono più logici e razionali (con le dovute eccezioni). Questo è in parte innato (ci sono differenze nella struttura cerebrale dei due sessi), ed in parte dovuto all'educazione; solitamente:
  • Ai maschi viene insegnato a controllarsi, a trattenere le emozioni, a non mostrare fragilità o debolezza. Vengono educati ad agire, alla produttività, alla competizione.
  • Le femmine sono incoraggiate all'espressione emotiva ed affettiva, all'uso della creatività e fantasia. Vengono educate a sentire, a coltivare le relazioni e all'attenzione verso gli altri.

A disagio con le emozioni

Anche a causa di quanto detto sopra, spesso le emozioni intense mettono in crisi i maschi, che non vi sono abituati e non sanno come gestirle. Specialmente quelli molto razionali (che sono a disagio con le emozioni), oppure quelli tradizionali e di "vecchio stampo" (abituati all'azione e ad ignorare i loro stati d'animo; il modello del "soldato obbediente"). Molti uomini non hanno sviluppato una sufficiente "intelligenza emotiva" per comprendere e gestire le emozioni (le proprie e quelle altrui).
Di fronte al "dramma", questi uomini tendono a chiudersi o fuggire: non perché non tengano alla persona che hanno di fronte, ma per via del loro disagio.

All'estremo opposto, alcune persone non hanno mai imparato a controllare le loro emozioni, oppure a mettere in discussione quello che sentono (specialmente persone con bassa educazione); quindi sanno esprimersi solo in modo emotivo ed impulsivo.

Queste due tipologie di persone (razionali o emotive) difficilmente riescono a capirsi. Anche quando in relazione da tempo, possono rimanere come "estranei" l'uno per l'altra, perché le loro vite interiori sono come mondi diversi.

“Le donne sono più emozionali,
gli uomini sono più razionali”

Dramma come reazione ad una sofferenza

A volte i modi di espressione "drammatici" vengono adottati da persone annoiate, che si sentono sole, affamate di attenzione, o che provano un senso di vuoto. Sono un modo inconsapevole e impulsivo per sentirsi vivi ed eccitati, provare emozioni intense, mettersi in mostra e sentirsi "visti" e riconosciuti, ricevere attenzione o riempire un vuoto.
Possono essere un "grido di disperazione": "Sono qui, guardami, ascoltami, fammi sentire importante, reagisci, mostrami quello che senti...", in particolare da persone che si sentono ignorate o trascurate.

Dramma per scarsa maturità

A volte si tratta di persone immature, infantili, che quindi non hanno la forza di carattere per affrontare le difficoltà in modo calmo e maturo, e tendono invece a reagire esageratamente o a scaricare all'esterno responsabilità e colpe.

Come i nostri antenati

Troviamo un'altra spiegazione nella psicologia evoluzionistica, ovvero quella che spiega i nostri comportamenti in base alle abitudini sviluppate nel corso dell'evoluzione (perché utili alla sopravvivenza o alla riproduzione).
Per milioni di anni, fino alla diffusione dell'agricoltura (circa 10.000 anni fa), gli esseri umani hanno vissuto in tribù dove maschi e femmine avevano ruoli ben diversi:
  1. Gli uomini andavano a caccia e procuravano il cibo, oppure combattevano i nemici.
  2. Le donne restavano nella caverna o nel villaggio, occupandosi di faccende domestiche, preparazione del cibo e cura dei figli.

In queste situazioni, è chiaro che i due tipi di attività portano ad atteggiamenti ben diversi:
  1. L'uomo è occupato in attività ad alto rischio ed eccitazione (caccia, fuga dai predatori, combattimento), che comportano un stress psicologico ed anche fisico.
    Al suo ritorno, è ovvio che abbia bisogno di riposo e quiete. La sua giornata è già stata drammatica, non vuole certo altra tensione.
  2. La donna è occupata in attività noiose e ripetitive, poco stimolanti. La cura dei figli necessita grande abilità nel percepire emozioni e stati d'animo (non potendo i piccoli comunicare verbalmente), che quindi per lei risultano essenziali.
    A fine giornata, desidera un'attività differente per alleviare la noia, e vuole condividere quanto ha fatto per sentisi apprezzata e importante.
Quindi da una parte abbiamo un uomo d'azione stanco che vuole rilassarsi, e dall'altra una donna emotiva annoiata che cerca stimoli. E' uno schema che vi suona familiare? Avendo vissuto in tal modo per il 99% della storia umana, è plausibile che certe modalità siano diventate innate.

Anche oggi, nel mondo moderno in cui lo stile di vita è radicalmente diverso dalla preistoria, lo stesso atteggiamento spesso permane:
  1. A fine giornata, l'uomo torna a casa stanco e stressato, e tutto quello che desidera è mettersi tranquillo con qualcosa che lo distrae dalla tensione della giornata (la TV, il giornale, i videogiochi...).
  2. Mentre la donna - sia che ritorni anch'essa dal lavoro, sia che abbia passato la giornata in casa - ricerca emozioni, connessione ed interazione. Ha voglia di parlare di sé (anche delle quisquilie), di essere ascoltata, di dare risalto a quello che sente - anche a costo di farne una versione "romanzata" e, appunto, drammatica (che è spesso un modo di richiamare attenzione su di sé, o di contrastare un vuoto esistenziale).

“Per il 99% della storia umana,
gli uomini andavano a caccia e
le donne restavano nel villaggio”

Prima lo voglio, poi mi annoia

Un aspetto ironico della vita, è che molte donne aspirano alla stabilità affettiva del matrimonio, alla tranquillità della vita casalinga, o alle soddisfazioni della maternità. Ma quando poi vivono concretamente quelle situazioni, spesso si scoprono annoiate, frustrate e insoddisfatte; in fondo:
  • Passato il primo periodo di novità, la routine e l'abitudine della vita coniugale può facilmente annoiare. Senza contare che gli esseri umani non sono fatti per la monogamia - e questo vale anche per le donne.
  • Occuparsi della propria casa non è sicuramente la più stimolante ed appagante delle attività, anzi. Serie televisive come "Desperate Housewives" ("Casalinghe disperate") nascono proprio per rappresentare il tedio o la frustrazione che si celano dietro esistenze apparentemente serene.
  • Per quanto si ami il proprio figlio, stare dietro a quella creaturina continuamente bisognosa, dipendente e capricciosa può logorare ed esaurire.

In molti casi, la tendenza al dramma è una conseguenza di quella noia e frustrazione. Invece di ammettere che la loro vita non le appaga (o perché non ne sono consapevoli), queste donne usano il "dramma" per sentirsi vive, per provare emozioni intense, per scaricare la rabbia od esternare la sofferenza (lo stesso può accadere ad un uomo infelice nella sua vita, che però non sappia riconoscerlo od ammetterlo).

Qualche suggerimento

Prima di tutto, è necessario riconoscere la diversità degli altri e rispettarla - anche quando ci dà fastidio. Uno degli errori fondamentali nelle relazioni, è credere che gli altri siano come noi, o che dovrebbero esserlo (o addirittura volere cambiare le altre persone).

Poi, occorre riconoscere in noi stessi se apparteniamo all'una o all'altra modalità: finché non ammettiamo i nostri limiti, non potremo mai superarli. Quando invece riconosciamo che tendiamo ad essere molto emotivi, o - al contrario - a rifuggere dalle emozioni intense, possiamo arginare i nostri impulsi ed andare incontro a chi è diverso da noi.

La passione

Per le persone "drammatiche", o per chi tende ad esprimersi con molta enfasi: rendetevi conto che per gli altri può essere stressante o persino insopportabile. Anche se vi è difficile, cercate di contenervi, o di spiegare le vostre ragioni in modi più pacati e meno aggressivi. Ne ricaverete il sentirvi meno respinti e più compresi.
Quando non vi sentite in grado, prendetevi qualche momento per respirare a fondo e calmarvi. Chiedetevi cosa ci guadagnate ad alimentare il dramma, e cosa ci potreste perdere in termini di relazioni.

La ragione

Per chi preferisce la calma e la razionalità: ricordate che l'altro ha le sue ragioni, anche se vi appaiono incomprensibili. Informate il vostro interlocutore che avete bisogno di essere trattati con più rispetto; ma che, in caso contrario, vi allontanerete finché questo non diverrà possibile (l'altro ha diritto di essere come vuole, ma voi non avete il dovere di sopportarlo).
Chiedetevi se avete la tendenza a frequentare persone "drammatiche", ed il motivo; magari questa diversità vi stimola, o forse ne siete segretamente affascinati perché nascondete in voi un simile impulso - che però negate a voi stessi. Oppure vi ricordano una figura genitoriale a cui siete ancora legati.


"Non è che sono contrario al matrimonio; però mi pare che un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi."
(Massimo Troisi)


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