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La gelosia nasce dalla paura

La gelosia è un problema per molti, e una tragedia per alcuni. Da una parte è una debolezza del tutto umana, ma dall'altra ci è difficile affrontarla, soprattutto perché viene spesso fraintesa e mitizzata (l'illusione romantica ci fa credere che "la gelosia è segno d'amore").
In realtà la gelosia non nasce dall'amore, ma piuttosto dalla paura, dal bisogno e dall'insicurezza. Tutti aspetti molto umani, ma che però non giustificano lo scaricarla sull'altro; dovrebbero invece suggerirci che è necessario prenderci cura delle nostre paure per superarle.

Preciso che in questo post parlo principalmente della gelosia immotivata, senza cause reali, che nasce solo da nostre insicurezze e "fantasmi". Se invece siamo gelosi perché il partner ce ne dà validi motivi, il problema è diverso e ne parlo in un paragrafo dedicato.

Le radici della gelosia

Ecco una lista delle cause più comuni di gelosia:
  1. Bassa autostima
  2. Forme di nevrosi
  3. Sensazione di insicurezza e possessività
  4. Dipendenza dal partner
  5. Sensazione di inadeguatezza nella relazione
  6. Stile di attaccamento ansioso
(elenco tratto da un articolo di Psychology Today, in inglese, basato su numerose ricerche).

Fondamentalmente, la gelosia è la paura che qualcuno ci porti via quello che ci è prezioso. La gelosia è scatenata da qualunque minaccia (reale o apparente) che possa sottrarci quello a cui teniamo e a cui siamo legati emotivamente (spesso un partner, ma può essere anche un'amicizia, un lavoro o uno status sociale).

Questa paura è probabilmente radicata in esperienze infantili, alla paura che un genitore non ci amasse abbastanza o non più, o di essere trascurati e abbandonati. Per un bambino queste paure sono terrificanti, perché inconsapevolmente sa che se i genitori lo lasciassero, lui morirebbe.

Siamo gelosi di un "avversario"

Ma attenzione, non è semplicemente paura della perdita: la gelosia è legata alla paura della sottrazione da parte di qualcuno (o qualcosa). Se una malattia minaccia il nostro partner, siamo sì spaventati ma non gelosi; idem se perdiamo il lavoro per via di una crisi economica. In questi casi la minaccia è impersonale e, per quanto grave, non ne siamo gelosi.
Invece, siamo gelosi di qualcuno che minaccia di portarci via il partner o il lavoro perché lo vediamo come un nostro "avversario", e viviamo la perdita come un'affronto personale. In altre parole, la gelosia può anche essere vista come la paura dell'ego di essere ferito e sminuito. Non solo non vogliamo perdere il bene amato, ma non sopportiamo che qualcuno ce lo porti via perché dimostrerebbe di valere più di noi. Questo vale anche se la minaccia non è una persona: il lavoro, un hobby, un interesse del partner, che ci toglie attenzione e sembra essere più importante di noi.

Anche questo aspetto della gelosia è probabilmente legato ad esperienze infantili, in cui l'amore e l'attenzione di un genitore (che volevamo tutto per noi), ci è stato sottratto da qualcuno o qualcosa (l'altro genitore, un fratello o sorella, impegni), o ci è sembrato che quel qualcuno venisse preferito a noi.

Gelosia in difesa dell'identità

Similmente, la gelosia è collegata alla nostra identità (il senso di chi sono e cosa valgo): se qualcuno mi porta via la persona amata non soffro solo perché mi manca, ma perché sento venire meno il mio valore, mi sento sminuito e umiliato come persona. Se la mia partner preferisce altri a me (anche solo temporaneamente), lo interpreto come segno che non valgo abbastanza (anche per via dell'illusione romantica per cui la persona "giusta" dovrebbe rendere il partner completamente felice - mentre invece nessun partner può mai darci tutto quello di cui abbiamo bisogno).
Possiamo vederne un esempio nel caso del "delitto d'onore", che giustifica l'omicidio in quanto considera il tradimento un affronto gravissimo verso il valore (onore) e l'immagine pubblica della persona tradita.

Ovviamente questo è tanto più grave quanto più il senso di identità è fragile: se sono ben certo di chi sono e quanto valgo, gli eventi esterni (incluso un tradimento o un abbandono) potranno forse incrinare questa certezza, ma non distruggerla. Se invece ho un'identità debole, ogni evento negativo che mi riguarda tenderà a frantumare la scarsa considerazione che ho di me stesso.

Gelosia come altro nome per l'invidia

Per estensione, può essere chiamata gelosia anche quando altri hanno qualcosa che noi vorremmo ma non possiamo avere (un partner, un oggetto, una capacità), e la nostra frustrazione si esprime come avversione verso chi invece quel qualcosa lo possiede: "Sono geloso di Roberto, vorrei avere io i suoi soldi / la sua casa / sua moglie...".
In questo caso sarebbe forse più corretto parlare di invidia (il dolore che deriva dal volere qualcosa che altri hanno e noi no; il desiderio bruciante di essere al posto di qualcun altro). Anche questo sentimento è radicato nell'insicurezza, nella convinzione di non essere abbastanza, e che altri siano meglio di noi.

La gelosia nasce da paura e insicurezza

In sintesi, la gelosia ha sempre radici nella paura, nell'insicurezza, nella fragilità.
  • Più sono sicuro di me, del mio valore come persona, meno avrò paura di essere tradito o abbandonato (certo è possibile, ma lo vedrò come possibilità remota e improbabile).
    Più sono consapevole delle mie qualità come partner, delle mie capacità di soddisfare l'altro (o gli altri), meno avrò da temere una immaginaria "concorrenza" (in amore o in altre situazioni).
  • Viceversa, più credo di non valere, più ho paura di non avere alcuna qualità, e più avrò costantemente paura di essere "sostituito" da qualcuno migliore di me; vedrò tutti come potenziali avversari, perché vedrò in ognuno qualità che a me mancano.
    Meno credo in me stesso, più vivrò nella paura di perdere quello che ho. Anzi, finirò col sabotarmi inconsciamente, perché sarò convinto di non meritarlo, quindi tenderò ad allontanare anche chi mi vuole.

Ne consegue che la "cura" alla gelosia non sta nel controllare o cambiare l'altro, ma nel rafforzare se stessi.
Se penso di essere una persona scadente, se mi sento un mediocre, se credo che il partner mi preferirà altri perché migliori di me, allora la reazione più fruttuosa è diventare una persona migliore: man mano che aumento le mie qualità, acquisisco quella forza e quella sicurezza che sono il miglior antidoto alla gelosia.

“Più sono sicuro di me e del mio valore,
meno avrò paura di essere tradito o abbandonato”

La gelosia è - per certi versi - naturale

Mostrando la gelosia come radicata in emozioni negative, non voglio certo dire che appartenga solo alle persone più deboli e limitate. Tutt'altro: essa è un'emozione alquanto naturale e comune praticamente a tutti.
In un certo senso è parte della vita, perché non possiamo mai essere sicuri di nulla al 100%: l'esistenza non offre sicurezze, tutto scorre, c'è sempre qualcuno più bravo o migliore di noi in qualcosa; senza contare l'impermanenza (tutto cambia o finisce prima o poi), di cui il Buddhismo ha parlato ampiamente.
Quindi, la paura di perdere ciò che ci è caro, o che qualcuno ce lo sottragga, è parte della precarietà della vita stessa.

Inoltre, quasi tutti veniamo cresciuti da genitori umanamente imperfetti che ci amano in modo imperfetto, lasciando in noi il timore di non essere abbastanza amabili o di essere in qualche modo "sbagliati". Da qui la paura di non meritare pienamente l'amore altrui, e che in qualsiasi momento possa arrivare qualcuno a portarcelo via.

Naturalmente è anche un questione di livello:
  • provare un po' d'ansia se il nostro partner ha un collega attraente, o se incontra l'ex, è comprensibile;
  • ma sottoporre l'altro a interrogatorio, spiargli di nascosto il telefono o l'e-mail, voler decidere cosa può indossare o chi può frequentare... sono comportamenti che mancano di rispetto, minano la relazione e rivelano una personalità non equilibrata.

... Ma questo non è una giustificazione

Il fatto che la gelosia sia - per certi versi - un'emozione naturale, non giustifica però concedergli eccessivo spazio, farsene condizionare, o scaricarla sugli altri e pretendere di controllarli.
Questo tipo di insicurezze vanno riconosciute e affrontate, altrimenti si passa tutta la vita dominati dalla paura, e si rimane incapaci di vivere serenamente le relazioni (che restano inquinate da dubbi, sospetti e conflitti, anche dove non ve ne sia ragione).

Relazionarsi da adulti

Farsi dominare dalla gelosia e cercare di condizionare l'altro può essere comprensibile durante l'adolescenza, mentre stiamo ancora scoprendo chi siamo, e siamo pieni di dubbi e confusione su noi stessi e gli altri. Diventa però meno accettabile da adulti, quando è parte dei nostri compiti quello di diventare (ragionevolmente) padroni di noi stessi, e in grado di relazionarci con gli altri in modo costruttivo, senza pretese infantili e senza rovesciare su di loro le nostre problematiche.
Questo non vuol dire fingere una forza che non abbiamo, nascondere le nostre emozioni o doversene vergognare: ognuno fa quello che può, e ci sono emozioni che sono più forti della nostra volontà. Vuol dire però prendersi la responsabilità delle proprie emozioni e, nel caso della gelosia, riconoscere che è un proprio problema di cui occuparsi, non dell'altro che dovrebbe fare i salti mortali per attenuare le nostre insicurezze.

Proprio come, da adulti, impariamo a gestire la nostra rabbia e aggressività (non andiamo in giro a picchiare le persone che ci stanno antipatiche, per quanto potremmo averne voglia), così possiamo imparare a gestire la nostra gelosia.
  • In primo luogo riconoscendo che è una debolezza del nostro carattere, che non giustifica azioni lesive dei diritti altrui (dire "Sono una persona gelosa" non giustifica nulla, proprio come dire "Sono una persona nervosa" non giustifica comportamenti aggressivi: è un tuo problema, occupatene).
  • In secondo luogo cercando di chiarire le radici della propria gelosia (quali paure, quali insicurezze o fragilità ne sono alla base), e provando a sanarle. Se ho il terrore di essere abbandonato, o non riesco a fidarmi degli altri, sono ferite psicologiche che possono trarre giovamento da una terapia, o anche solo dal leggere libri sull'argomento.
  • Inoltre, è importante comunicare al partner le nostre emozioni in modo aperto e sincero, senza però fargli pressioni o manipolarlo. E' giusto che il partner sappia cosa proviamo, ma dobbiamo dirlo come condivisione, non per farlo sentire in colpa; con un'intento del tipo "Ho queste difficoltà con la mia gelosia, ti prego sii paziente con me, rassicurami se puoi e aiutami ad affrontarla".
  • Infine, è necessario essere onesti e non nascondersi dietro alibi o scusanti: quando feriamo l'altro o vogliamo limitarlo, dire "Sono geloso perché ti amo", "Siamo tutti gelosi, è normale", "Sei tu che non dovresti fare...", "Se tu mi amassi allora non faresti...", ecc., sono modi infantili per scaricare all'esterno la responsabilità o la colpa.

La gelosia non è amore

La gelosia non è mai espressione d'amore:
  • L'amore autentico desidera il bene dell'altro, la sua felicità - è un sentimento altruistico, in cui l'altro è al centro.
  • Invece la gelosia è un sentimento egoistico, che mira esclusivamente al proprio benessere e alla soddisfazione dei propri bisogni. Non si è mai gelosi per il bene altrui, ma solo e soltanto per il proprio.
  • Tanto è vero che l'atto estremo di gelosia, l'uccisione della persona "amata", non ha ovviamente alcunché di amorevole. E' piuttosto l'espressione di una personalità infantile e capricciosa, un "bambino" che distrugge il proprio "giocattolo" piuttosto che cederlo ad altri.

L'amore autentico, sano, adulto, si preoccupa della felicità dell'altro (oltre che della propria). Se il partner manifesta interesse per altre persone, una persona che ama in modo maturo può sentirsi addolorata o preoccupata (teme di perdere il bene amato) ma, al tempo stesso, considera i bisogni e la felicità del partner (oltre ai propri). Può arrivare a dire (per quanto a fatica) "Se l'altro ti rende più felice, va bene se scegli lui" (oppure "se scegli anche lui", nel caso di relazioni non-monogamiche).
L'espressione di amore più generoso può essere un "Ti amo a tal punto da lasciarti andare verso ciò che desideri - anche se questo vuol dire perderti".

“Non si è mai gelosi per il bene altrui,
ma solo e soltanto per il proprio”

Perché confondiamo gelosia e amore

Confondiamo la gelosia con l'amore perché, quando siamo legati a qualcuno da un forte sentimento, quella persona diventa per noi preziosa, necessaria, indispensabile. Di conseguenza il nostro benessere, la nostra felicità, persino la nostra stessa vita (apparentemente) dipendono da essa. L'idea che qualcuno ci porti via tutto questo ci appare insopportabile, perché senza la nostra vita diventerebbe assai più povera.

E' pero evidente che questa paura non nasce dall'amore per quella persona, bensì dal bisogno che abbiamo di lei, dal bisogno che ci renda felici. In realtà non siamo davvero gelosi della persona, ma di tutto quello che ne riceviamo.
Se immaginiamo qualcuno che amiamo ma che non può più darci nulla, che non può più nutrire i nostri bisogni (per esempio una persona cara caduta in coma irreversibile), vediamo che la gelosia non ha più ragion d'essere: non siamo gelosi del dottore che la cura, non entriamo in competizione con l'infermiera che se ne occupa. Questo perché non temiamo che ci possano togliere qualcosa di prezioso: la persona che amiamo c'è ancora, ma siccome quello che ci dava non c'è più, non temiamo che possa esserci sottratto.

Vogliamo essere unici

Tra i bisogni dell'essere umano c'è quello di sentirsi unico e insostituibile. Sentirsi "uno qualunque", oppure a rischio di essere sostituito da altri (che sia in amore o sul lavoro) è fonte di forte disagio e inquietudine. Quindi è del tutto umano desiderare di essere l'unico destinatario dell'amore del partner, dei suoi pensieri e dei suoi desideri sessuali; oppure volersi sentir dire che non amerà mai nessuno come ama noi. Sono piccole vanità innocue. :-)

Purtroppo però la vita non funziona in questo modo. Nonostante illusioni romantiche quali: "Quando ami qualcuno, non desideri nessun altro", oppure "Si può amare una sola persona per volta", i sentimenti reali sono spesso più molteplici e mutevoli di quanto vogliamo ammettere. Basti pensare ai genitori che amano tutti i loro figli (magari ognuno in modo diverso), o i diversi amici a cui siamo più legati; per non parlare di tutti quelli che hanno legami importanti, ma che vivono anche relazioni clandestine.
La verità dei sentimenti umani è che possono essere (e spesso sono) vissuti con diverse persone (con ciascuno in modo diverso), anche in sovrapposizione. Ciascuno è - a suo modo - unico, certo; ma nessuno è "padrone" esclusivo delle nostre emozioni (se non, per certi versi, quando ci innamoriamo - ma è comunque uno stato temporaneo).

Per non parlare della sostituibilità: per quanto possiamo essere unici e speciali, se usciamo dalla vita di qualcuno (per qualsiasi motivo), entro un certo tempo questi troverà altre persone che riempiranno il ruolo una volta nostro. Ogni volta che amiamo qualcuno questi potrà sembrarci unico e insostituibile, ma se la relazione finisce, prima o poi ci ritroveremo ad amare qualcun altro - e questo, probabilmente, accadrà più volte nella nostra vita.
Perché le relazioni sono guidate in primo luogo dai bisogni, e dalle necessità che essi vengano soddisfatti.

Quindi, senza voler negare il nostro umanissimo desidero di unicità, bisogna però anche accettare la realtà per cui siamo tutti sostituibili (anche se siamo unici come individui).
La soluzione al timore di essere sostituiti non sta, nuovamente, nel controllare l'altro o privarlo di ogni tentazione; ma nel diventare un partner così capace ed appagante, che l'altro non abbia alcun motivo di andarsi a cercare un'alternativa!

“Le relazioni sono guidate
in primo luogo dai bisogni”

Gli inganni della gelosia

Non solo la gelosia tende ad inquinare le relazioni, a minare la fiducia e - col tempo - a logorare i sentimenti; ha anche l'effetto preoccupante di accecarci e farci vedere cose che non esistono. Essere preda di forte gelosia è un po' come essere ubriachi ed avere allucinazioni.

Il geloso vede fantasmi dappertutto

Chi soffre di gelosia intensa diventa preda delle proprie paure, e tende a credere a loro più che ai fatti. Anche in assenza di prove, anche di fronte alle rassicurazioni accorate del partner, o alle testimonianze convinte degli amici, egli tenderà a credere invece alle proprie paranoie, e trasformerà ogni piccolo evento in un indizio accusatorio. Arrivando magari ad azioni gravi anche in assenza di alcuna ragione reale.
Contrastare questo tipo di gelosia non solo vuol dire rispettare il partner e curarsi della propria relazione; vuol dire anche mantenere la propria sanità mentale.

Il geloso crea la propria disfatta

Inoltre, la persona ossessivamente gelosa finisce spesso col creare proprio ciò che teme: il partner, esasperato dalla mania di controllo e dalla sfiducia, non di rado abbandona la coppia o finisce tra le braccia di qualcuno più positivo e comprensivo.

In pratica, alimentare la propria gelosia spesso la trasforma in una "profezia" che si auto-avvera: quello in cui credi, benché prima falso, finisce col diventare reale. Il paradosso della gelosia patologica è che, invece di difendere dal rischio di abbandono o tradimento, lo incrementa: e quando le cose precipitano il geloso usa l'evento per giustificare le proprie paranoie ("Vedi? L'avevo sempre saputo...!"), invece di riconoscere di avervi contribuito.

Quando la gelosia è motivata

Come ho scritto all'inizio, qui ho parlato principalmente della gelosia immotivata, senza cause reali. Che quindi, come tale, non va scaricata sul partner (che non ha colpe), ma gestita da persona mature - per quanto possibile.

Se invece siamo gelosi per via di comportamenti reali del partner (comprovati, non solo presunti), il nostro problema non è più la gelosia (che ha ragion d'essere), ma la relazione stessa; e in particolare gli "accordi" su cui si basa. Questi accordi sono le regole condivise che valgono nella relazione (che però non sempre sono esplicitate o discusse): per esempio l'accordo di non mostrare interesse verso altre persone, o di fare sesso solo col partner.
Dovremmo quindi confrontarci col partner su questi accordi, per chiarire quali sono le regole e i limiti reciproci; potremmo scoprire che:
  • Non era mai stato esplicitato un accordo in merito (la regola veniva data per scontata, ma ciascuno la pensava diversamente a riguardo).
  • Non ci si era chiariti con precisione sull'accordo (magari uno pensava che flirtare per gioco fosse ammesso, ma l'altro no).
  • Oppure l'accordo era esplicito, ma uno dei due non l'ha rispettato.
Nei primi due casi c'è stata una comunicazione insufficiente, che va rimediata (mai dare nulla per scontato; tenere presente che uomini e donne spesso faticano a capirsi).

Nel terzo caso invece bisogna affrontare la violazione dell'accordo: parlatene con la maggior calma possibile (mai discutere di cose importanti se si è in preda a forti emozioni), e decidete se questo è accettabile o meno. Non date per scontato che questo significhi la fine della relazione:
  • Potrebbe essere stato un passo falso momentaneo (dopo tutto errare è umano).
  • Potrebbero esserci state delle corresponsabilità (magari chi ha tradito era stato ferito o trascurato).
  • Potreste decidere che per voi mantenere la relazione è più importante dell'offesa.
  • Oppure potreste scoprire che la fedeltà e l'esclusività sessuale non funzionano per voi, e magari volete provare strade diverse (vedi paragrafo successivo).

Oltre la gelosia: poliamore e compersione

Prima ho menzionato le relazioni non-monogamiche. Nella nostra cultura diamo per scontata l'esclusività sessuale in amore, la gelosia e il desiderio di possesso del partner. Ma è il caso di notare che in realtà queste inclinazioni non sono inevitabili né universali: il matrimonio basato sull'amore e sulla fedeltà è una "invenzione" relativamente recente, sviluppatasi a partire dalla fine del XVIII secolo e giunta a diventare lo standard in Occidente solo nella metà del XX secolo. Per approfondire vedi "Marriage, a History" - "Storia del matrimonio".

Quindi non solo è possibile fare liberamente sesso con più partner (come avviene tra scambisti e nelle "coppie aperte"), o amare più persone contemporaneamente (come accade a milioni di persone poliamorose), gestendo e in qualche modo superando la gelosia. Ma è persino possibile vivere un sentimento opposto alla gelosia: la compersione, ovvero "uno stato di gioia empatica che si prova quando una persona che amiamo è felice con un suo altro partner" (da "I dodici pilastri del poliamore"). Una forma di amore così aperta e generosa da gioire della felicità altrui vissuta altrove, invece di volerla tutta per sé.

Con questo non voglio dire che sia facile o che tutti dovremmo arrivarci (dico sempre che in amore - e nella vita - non esistono ricette universali, ed ognuno deve scoprire cosa funziona per lui o lei). Però ho voluto menzionare la possibilità di sentimenti che vadano oltre la gelosia, invece di darla per scontata com'è d'uso.

“Il matrimonio basato su amore e fedeltà
è una invenzione recente”

Come superare la gelosia

In questo post ho voluto concentrarmi soprattutto sulla comprensione dei meccanismi che muovono la gelosia, nonché sull'importanza di diventarne consapevoli e assumersene la responsabilità: qualunque "guarigione" parte necessariamente da questi elementi. Dopodiché, vi invito a cercare in Rete (per esempio "come superare la gelosia"), e troverete numerosi suggerimenti in proposito - su cui non voglio dilungarmi anche perché ognuno vive le emozioni a modo proprio, e deve quindi trovare le parole che meglio risuonano nel suo caso.

Come NON superare la gelosia

Voglio però menzionare alcune strategie che sicuramente non vi porteranno da nessuna parte, se non a ritrovarvi cornificati, abbandonati, insultati, disprezzati, e magari con una denuncia (nei casi peggiori):
  • Non alimentare le tue paure con pensieri ossessivi: la mente è uno strano animale, se la nutri di "pensieri-spazzatura" entra in un circolo vizioso che la porta ad immaginare il peggio - e a crederci.
  • Non ascoltare le malelingue: gli amici veri esitano a dirti cose negative sul partner. Chi lo fa volentieri e con piacere, il più delle volte agisce per suo tornaconto, non di rado mentendo.
  • Non controllare il partner (né il suo comportamento, né i suoi oggetti personali): una relazione sana si basa sulla fiducia, senza fiducia sicuramente naufragherà.
  • Non voler limitare la sua vita: hai mai notato che più ti proibiscono qualcosa, più ti viene voglia di farla? Per l'altro è lo stesso, se gli proibisci un'azione, lo indurrai solo in tentazione.
  • Non credere di poter possedere il partner: non si possono possedere gli esseri viventi (persino il tuo cane è "tuo" solo fino a che lo vuole anche lui), solo gli oggetti.
  • Non scaricare sull'altro le tue ossessioni (con interrogatori, discussioni estenuanti o stalking): l'ossessione non nasce dall'amore e non genera mai amore, ma solo fastidio, poi irritazione, esasperazione e infine fuga liberatoria.
  • Non credere di poter tenere a distanza tutte le minacce o tutti gli "avversari": ci sarà sempre qualcuno o qualcosa che sfugge al tuo controllo (l'illusione del controllo è - appunto - un'illusione).
  • Non pensare che siano gli altri a "rubarti" il partner: se ti tradisce o ti lascia è perché ha deciso di farlo, non perché qualcuno l'ha "ipnotizzato" con i suoi magici poteri.
  • Non usare mai la violenza: anche se ti ha tradito, se alzi le mani passi dalla parte del torto (oltre a rischiare azioni penali). Se ti ha deluso a tal punto, l'azione migliore è liberartene; pensa che ti meriti di meglio.


Infine, riporto il link ad un articolo della nota dott.ssa Alessandra Graziottin: "La gelosia non è amore, è paura", per citare una fonte ben più competente di me.


"Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero di esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri."
(Roland Barthes)


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Se gli argomenti di questo post ti toccano da vicino e vorresti discuterne, approfondire, o rivolgermi delle domande; oppure se senti il bisogno di parlare dei tuoi problemi, puoi chiedermi un colloquio.

Liberarsi dai giudizi altrui

Per la maggior parte di noi, essere giudicati è un'esperienza tra le più sgradevoli e limitanti. Non pochi ne sono seriamente condizionati, fino al punto da sentirsi paralizzati quando si sentono sotto osservazione.

Da dove nasce la paura del giudizio

La paura del giudizio proviene principalmente dalla nostra natura di "animali sociali": non solo abbiamo bisogno di sentirci approvati ed amati, ma senza l'appoggio degli altri ci diventa difficile affrontare la vita (questo è meno vero in epoca moderna, ma per milioni di anni essere allontanato dal gruppo voleva dire morte quasi certa). Per quello sentirsi giudicati ci provoca una reazione così viscerale: abbiamo paura di venire respinti e abbandonati.

Schiavi dell'approvazione

La soluzione apparente a questo bisogno è quella di piacere a tutti, di diventare una persona che tutti approvano. Molti spendono una gran quantità di tempo ed energie a questo scopo, per esempio:
  • Chi cura ossessivamente il proprio aspetto (sia a livello fisico che di abbigliamento)
  • Chi dedica tutta la sua vita a diventare ricco e/o famoso
  • I cosiddetti "bravi ragazzi" che cercano di fare contenti tutti

Purtroppo questi sforzi sono inevitabilmente fallimentari. Liberarsi completamente dai giudizi altrui è impossibile, perché siamo tutti diversi ed ognuno vede le cose a modo suo: quindi non sarà mai possibile piacere a tutti.
Quello che possiamo fare è imparare a ignorare i giudizi (specialmente delle persone senza importanza), a non dargli peso, o a capire perché certe persone ci giudicano: se capisco che lo fanno per un problema loro, mi sarà più facile non farmi carico di quel che dicono.

Quando la paura dei giudizi è paralizzante

Anche se tutti temiamo il giudizio, per alcuni questa paura raggiunge livelli angoscianti e ossessivi, a volte fino a bloccare ogni iniziativa della persona. Questo livello di preoccupazione può nascere da un'esperienza familiare con genitori molto critici, severi od esigenti: se il bambino si sentiva continuamente sotto osservazione, se niente di quello che faceva era considerato sufficiente, e magari veniva punito ad ogni mancanza, può sviluppare un trauma tale da seguirlo anche in età adulta.
Chi ha subìto tale tipo di trauma spesso interiorizza quel modello comportamentale, e lo prosegue anche se i genitori sono ormai lontani o persino defunti. In pratica, le voci critiche dei genitori continuano a vivere nella sua testa sotto forma di giudizi continui. Molte persone insicure o ansiose hanno questo tipo di ferita.
Queste persone hanno bisogno di realizzare che il loro problema non è nel mondo reale, ma nella loro mente ancora condizionata. Per liberarsi devono imparare ad ignorare o disattivare queste voci critiche (anche se, nei casi gravi, per riuscirci potrebbe essere necessario l'aiuto di un terapeuta).

“Quando la paura dei giudizi ti paralizza,
può derivare da genitori critici, severi od esigenti ”

Sei meno giudicato di quanto pensi

Prima di tutto, occorre capire che spesso temiamo di essere giudicati anche quando non avviene realmente. Molte persone (specialmente quelle più insicure) vanno in giro con la paura che tutti siano intenti a guardarli e giudicarli, ma il più delle volte questo non è vero.
Molti anni fa sentii raccontare questo aneddoto, che tutt'ora trovo molto realistico:
"A 20 anni me ne fregavo di cosa la gente pensasse di me.
A 30 anni ero ossessionato da cosa la gente pensasse di me.
A 40 anni ho capito che la gente mi bada a malapena".

Questo accade a molti: solo in tarda età ci rendiamo conto che tutti sono così presi da se stessi, che la maggior parte dei nostri comportamenti od errori passa inosservata. Quindi, quando temi i giudizi ricordati che le persone intorno a te probabilmente ti stanno dedicando meno attenzione di quanto pensi. Pensare che tutti siano pronti a giudicarti è una sorta di "ossessione egocentrica": in realtà il mondo ha di meglio da fare che badare a te.
Ovviamente questo non vale in ambienti o situazioni particolari (per esempio in un ambiente familiare rigido, o durante un lavoro importante).

Anche se sbagli non succede nulla

Dietro la paura del giudizio c'è la paura delle conseguenze: temiamo che se facciamo o diciamo qualcosa di sbagliato, ci succederà qualcosa di spiacevole (venire respinti, disprezzati, ridicolizzati, abbandonati, ecc.).

Ma in realtà, il più delle volte le conseguenze dei giudizi sono irrilevanti o quasi. Se vado in giro vestito male o in modo bizzarro, se mi metto le dita nel naso, se canto per strada, se rutto, se sbaglio un congiuntivo... cosa succede? Nella maggior parte dei casi, niente di niente. Assolutamente niente. Le persone intorno ci fanno a malapena caso, e poi pensano ad altro (di solito ai cavoli loro).
Invece spesso viviamo con il terrore che ogni nostro passo falso porterà gravi conseguenze, perché ci portiamo dietro quella paura dai tempi in cui eravamo bambini (e scontentare i nostri genitori poteva portarci effetti gravi e dolorosi). Ma come adulti non è più un problema: il mondo è grande e, se a qualcuno non piace come siamo, ci sono altri otto miliardi di esseri umani verso cui andare.

Ovviamente questo non vale in certe situazioni, come sul lavoro o di fronte a qualcuno a cui teniamo: in questi casi il giudizio conta, ed è importante comportarsi in modo efficace. Ma nella maggior parte del tempo, possiamo tranquillamente rilassarci, comportarci come ci viene (nei limiti del rispetto e dell'educazione comune), e non ci succederà nulla di male.

“Le conseguenze dei giudizi
sono molto spesso irrilevanti”

Non puoi piacere a tutti

Una delle più grandi illusioni che esistano, è pensare che se ci sforziamo abbastanza riusciremo a piacere a tutti, ad essere amati da chiunque. Purtroppo non succede mai, perché siamo tutti diversi e vogliamo cose diverse: per cui, in qualunque maniera tu sia, ci sarà sempre qualcuno a cui non vai bene.

Persino gli individui migliori e più brillanti hanno i loro detrattori e critici. Charlie Chaplin (il mitico Charlot), attore celebrato come uno dei più grandi geni comici di sempre, ha scritto:
"Ti criticheranno sempre, parleranno male di te, e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere cosi come sei, quindi vivi, e fai quel che il tuo cuore ti suggerisce..."

("They'll always criticize you, speak badly of you, it'll be hard to meet someone who will like you as you are, so live, do what your heart tells you to do...")

Quindi voler piacere a tutti, o pensare di raggiungere una "perfezione" per cui tutti ti ammirano, è una pura utopia.

Segui la tua "bussola"

Il fatto che siamo tutti diversi comporta pure che una cosa sbagliata per altri, può essere giusta per te. Per questo bisogna imparare a pensare con la propria testa e saper decidere cosa è meglio per se stessi - accettando il rischio di commettere errori. Se non si sviluppa questa capacità decisionale autonoma, questa "bussola" interna, si rimane delle banderuole spinte di qua e di là dall'influenza di opinioni e giudizi altrui.

“Una cosa sbagliata per altri,
può essere giusta per te”

Impara a distinguere le fonti

La paura dei giudizi ci porta a dare importanza a tutte le critiche che riceviamo, ma questo è un grosso errore. Molti giudizi sono senza valore, o decisamente stupidi, o del tutto falsi, oppure arrivano da persone insignificanti: perché mai dovremmo dar retta a tutte queste scempiaggini?
E' quindi importante saper riconoscere le "fonti" degne di nota (sensate, ragionevoli, utili), e trascurare le altre. In particolare, le persone da ascoltare sono quelle che tengono davvero a noi, che anche quando ci criticano lo fanno con affetto e buone intenzioni. Invece, chi giudica per partito preso, per interesse personale o senza riguardo, è bene lasciarlo perdere.

Il dottor Seuss (autore molto amato in America), ha scritto:
"Sii ciò che sei
e dì quel che senti,
perchè quelli che hanno da ridire non contano
e quelli che contano non hanno da ridire."


("Be who you are
and say what you feel,
because those who mind don't matter
and those who matter don't mind."
)

Quando ti senti giudicato, disprezzato e umiliato, ricordati questo:
  • Le persone che contano davvero nella tua vita, sono quelle che ti vogliono bene e ti accettano per come sei. Che ti incoraggiano ad essere autentico, a dire ciò che pensi. Se costoro ti criticano, lo fanno per aiutarti, con rispetto, e per valide ragioni. Non giudicano le tue stranezze, le piccole imperfezioni o gli errori che a tutti capita di commettere.
  • Invece, le persone che ti criticano pesantemente, che ti fanno sentire inferiore o sbagliato, che insistono su ogni tua piccola mancanza o imperfezione, che non si curano se ti fanno stare male, queste sono le persone che non contano; che faresti bene ad ignorare, e magari anche da tenere a distanza.
    Questo vale anche se sono tuoi familiari, o persone che dicono di volerti bene ma non lo dimostrano nei fatti.

Se un giudizio ti colpisce, è perché ci credi

Non tutti i giudizi ci colpiscono allo stesso modo: in genere, quelli che più ci turbano e ci fanno soffrire sono quelli che confermano le convinzioni negative che già abbiamo su noi stessi.
  • In altre parole, se credo di avere un difetto e qualcuno mi giudica per quello, mi sentirò ferito per la conferma di quello che già penso.
  • Invece, se non credo che quella critica sia reale, resterò indiffente o avrò una reazione lieve.
Facciamo un esempio: se qualcuno mi disprezza perché ho i capelli verdi, non mi sentirò ferito; riderò dell'accusa, o penserò che quella persona ha le idee confuse. Perché dovrei risentirmi, se so benissimo di non avere i capelli verdi?

"Nessuno può farvi sentire inferiore senza il vostro consenso."
(Eleanor Roosevelt)

Questo vale anche quando non riconosciamo razionalmente quel nostro difetto, ma lo crediamo a livello inconscio. Anzi, un giudizio che conferma una convinzione negativa inconscia ci fa ancora più male: è come se svelassero un nostro "segreto" che vorremmo nascondere a tutti, persino a noi stessi.

Una reazione forte rivela qualcosa di te

Quindi, provare una reazione molto forte ad un giudizio altrui, potrebbe rivelare una convinzione negativa su noi stessi che non vogliamo ammettere. In poche parole: se un giudizio mi fa davvero molto male, è perché io stesso ci credo - anche se dico il contrario.
Riconoscere questa convinzione inconscia mi permette di portarla alla luce, quindi di lavorarci su per liberarmene. Finché invece rimane nascosta nell'inconscio, continuerà a condizionarmi ed io non potrò farci nulla - perché mi rimane invisibile.

L'autostima ci protegge dai giudizi

Lo sviluppo di una sana autostima è quindi una delle "protezioni" migliori contro i giudizi altrui. Se sono convinto di essere una bella persona, non darò molta importanza a chi dice il contrario: penserò che si sbaglia, che è male informato, o che è un suo problema.

"Chi rispetta se stesso è al sicuro da tutti: indossa una cotta di maglia che nessuno potrà mai penetrare."
(Henry Wadsworth Longfellow)

Se i giudizi altrui sono per voi un serio problema, non concentratevi sugli altri nella speranza di fargli cambiare idea. Piuttosto, concentratevi su voi stessi, sulle vostre ferite e limitazioni, e impegnatevi per migliorare: più aumenti le tue qualità, meglio starai con te stesso e meno sarai influenzato dai giudizi.
Ma poiché nessuno è perfetto, e avremo sempre tutti qualche mancanza, oltre a migliorarsi è indispensabile anche coltivare l'accettazione di se stessi e della propria (inevitabile) imperfezione.

L'accettazione neutralizza i giudizi

  • Fin dalla nascita, a quasi tutti viene insegnato che non vanno bene come sono, che devono nascondere alcune parti di sé, che devono adattarsi alle regole altrui. Questo produce una vita tormentata: non possiamo sentirci felici vivendo in conflitto con la nostra natura.
  • Inoltre, quasi tutti abbiamo paura di non essere "abbastanza qualcosa": non abbastanza bravo, bello, intelligente, attraente, ricco, ecc. Questa paura provoca un senso di inadeguatezza logorante: qualunque cosa siamo o facciamo, ci sembra non sia mai sufficiente.
I giudizi altrui non fanno che alimentare e confermare queste paure.

Questi due elementi (il conflitto con la propria natura, e il senso di inadeguatezza) sono alla radice di buona parte della sofferenza umana. Molti fanno di tutto per sfuggirvi, di solito sforzandosi per sembrare meglio di quel che sono, o per assomigliare a qualcun'altro. Ma poiché è una lotta contro se stessi, non può essere vinta.
Invece, una soluzione efficace per uscire da conflitto e tensione continui, è fare proprio il contrario: accettare quello che sei, inclusi i limiti e le imperfezioni. Suona paradossale, ma accettando se stessi diventa anche più facile dare il meglio di sé, e migliorare in modo sereno.

Quando riesci a dire a te stesso "Sono come sono, e va bene così", non solo ritrovi pace e ottimismo, ma i giudizi altrui diventano secondari. Una volta che sei in pace con te stesso, quello che pensano gli altri smette di avere potere su di te: hai ottenuto l'approvazione della persona più importante della tua vita (l'unica che sarà sempre con te), ed è quello che più conta.

"Quello che sono sarebbe sufficiente, se solo lo fossi a viso aperto."
(Carl Rogers)

Difendersi dai giudizi altrui

A volte la reazione migliore ai giudizi è ignorarli, non dargli importanza, oppure evitare le persone giudicanti. Altre volte, però, è il caso di difendersi:
  • se veniamo giudicati ingiustamente, o con eccessiva severità;
  • se ci sentiamo feriti e umiliati;
  • se non veniamo rispettati...
è bene farci sentire, arginare le critiche e domandare rispetto. A volte gli altri non si rendono conto di ferirci, oppure credono di aiutarci; o, ancora, c'è chi se ne frega di noi, e va ridimensionato. In tutti questi casi, è bene esprimere apertamente la propria frustrazione, e chiedere con decisione che l'altro la smetta: alcuni saranno stupiti, altri frustrati, ma voi rimanete fermi e continuate ad esigere rispetto.

Ricordate che, il più delle volte, gli altri ci trattano come noi permettiamo loro di trattarci: il rispetto deve quindi partire da dentro. Se rispetto me stesso, anche gli altri saranno indotti a rispettarmi.

“Gli altri ci trattano
come noi permettiamo loro di trattarci”

Perché gli altri ci giudicano

Ci sono vari motivi per cui tendiamo a giudicare: in genere è una forma di difesa, contro ciò che non capiamo, che ci crea disagio o ci spaventa. Capire le origini del giudizio può aiutarci ad ignorarlo, o a non farsene influenzare.
Di seguito alcuni dei motivi più comuni.

Paura del diverso

Specialmente le persone "piccole" e limitate (fragili, insicure, ignoranti, di vedute ristrette), sono spaventate da ciò che non è loro familiare. Quindi tendono a giudicare tutto ciò che appare diverso e fuori dai loro - ristretti - schemi. Tra costoro troviamo spesso tradizionalisti, bigotti e fanatici religiosi.
Queste persone tendono a ragionare in modo schematico, binario ("bianco o nero", "buono o cattivo"):

Proiezioni

Quando qualcuno è in conflitto con se stesso, oppure ha degli squilibri emotivi, spesso "proietta" i propri problemi sugli altri (la "proiezione" è una delle difese inconsce identificate da Sigmund Freud). In pratica, queste persone vedono nell'altro problemi che l'altro non ha, o ne esagerano la presenza; l'altro diventa uno "schermo" su cui "proiettano" il proprio disagio interno:
  • Il moralista che non ammette i propri impulsi erotici, e si convince della propria "purezza", tende a vedere gli altri come peccatori e promiscui (attribuendo loro comportamenti che lui, in realtà, vorrebbe vivere).
  • La persona egocentrica sempre alla ricerca di attenzione, pronta ad accusare gli altri di egoismo appena vengono meno alle sue richieste.
  • La tipica persona sempre negativa e infelice, che invece di riconoscerlo (e magari fare qualcosa per migliorare la propria condizione), passa il suo tempo a criticare tutto e tutti, incapace di vedere alcun aspetto positivo, perché dominata dalla sua stessa negatività.

Come capire quando qualcuno proietta

Quando vieni accusato di qualcosa che ti sembra non aver nulla a che fare con te, è possibile che l'accusatore stia proiettando su di te qualcosa che è solo suo (attenzione però: questo è vero se la critica ti lascia più perplesso che ferito; se invece hai una forte reazione emotiva, è probabile che la critica ti riguardi in qualche modo, anche se non lo riconosci).
Quando qualcuno giudica con molta enfasi, in modo viscerale, è molto probabile che stia proiettando: una critica sensata viene solitamente espressa in modo ragionevole, mentre quando proiettiamo siamo quasi sempre preda di forti emozioni.

Per manipolarci

A volte i giudizi vengono usati per manipolarci e farci comportare in un certo modo, inducendo sensi di colpa e di inadeguatezza. Per esempio:
  • A livello pubblico, la società usa i giudizi per condizionare gli individui, specialmente di certe categorie (per reprimere la sessualità femminile; per indurre i maschi ad azioni pericolose, tacciandoli di codardia o disonore se si rifiutano).
  • Anche le religioni usano spesso questo metodo per influenzare i fedeli.
  • A livello privato, le madri sono particolarmente inclini a condizionare i figli in questo modo. Molte madri sono autentiche maestre dei sensi di colpa.
Quando ci rendiamo conto che qualcuno usa i giudizi per manipolarci, diventa più facile ignorarlo o screditarne le ragioni. Perché dovrei dare retta a una persona subdola che mi vuole usare per i suoi scopi?

Attenzione anche ai giudizi positivi

Poiché i giudizi negativi ci fanno così male, potrebbe sembrare che i giudizi positivi siano invece del tutto benefici - ma anch'essi presentano degli aspetti dannosi.
  • Prima di tutto, un giudizio è sempre una valutazione, quindi anche quando ne riceviamo di positivi ci sentiamo scrutati, misurati e quindi non pienamente accettati. Potremmo avere il timore che ora veniamo approvati, ma se cambiassimo o rivelassimo altre parti di noi, magari le reazioni positive finirebbero.
  • Tutti abbiamo bisogno di approvazione, è naturale. Ma se questo bisogno prende il sopravvento e ci condiziona, rischiamo di dedicare molti sforzi ed energie pur di riceverne in continuazione. In questo modo i giudizi positivi diventano una specie di "droga" da cui dipendiamo, perdendo quindi la nostra libertà e autenticità.

Questo non vuol dire rifiutare complimenti e apprezzamenti: ci fanno bene ed è giusto esserne grati. Però è utile tenere conto anche del "lato oscuro" dei giudizi positivi.

Giudicare è naturale

Per quanto sentirsi giudicati sia sgradevole, va anche detto che giudicare è un atto del tutto istintivo e naturale. In generale, giudicare è una forma di difesa, sia pratica (ci aiuta a identificare rischi e minacce) che emozionale (giudicare gli altri è una forma di sfogo, oppure ci fa sentire migliori di loro).
Anche per queste ragioni, l'idea di eliminare il giudizio dalla vita è del tutto irreale. Vediamolo piuttosto come un "brutto vizio" che è meglio limitare in noi stessi, ed ignorare (od arginare quando necessario) negli altri.

Convivere con i giudizi

Infine, non possiamo pretendere da noi stessi di diventare immuni ai giudizi. Così come giudicare ci viene naturale, allo stesso modo il bisogno di approvazione è innato. Quindi ci sarà sempre una parte di noi che ci rimane male quando siamo giudicati: non disprezziamoci per questa fragilità (così facendo, aggiungeremmo giudizio al giudizio!), piuttosto sorridiamo della nostra umanità.
L'importante è che la parte di noi che teme i giudizi non ci condizioni eccessivamente, e non diventi il criterio primario che guida le nostre azioni.


"E quello che gli altri pensano di te, è problema loro."
(Charlie Chaplin)

"Pensare è molto difficile - per questo la maggior parte della gente giudica."
(C. Gustav Jung)

"Per evitare le critiche, non fare niente, non dire niente, non essere niente."
(Aristotele)


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Se gli argomenti di questo post ti toccano da vicino e vorresti discuterne, approfondire, o rivolgermi delle domande; oppure se senti il bisogno di parlare dei tuoi problemi, puoi chiedermi un colloquio.

Sette semplici trucchi per piacere agli altri

Alcune persone sembrano dotate della capacità di risultare gradevoli agli altri: iniziano conversazioni, tutti li ascoltano, fanno amicizia, e magari seducono senza apparente sforzo. In realtà pochissimi sono naturalmente dotati di questo charme, ma non è solo questione di doti innate: diversi fattori che determinano il nostro successo sociale sono stati analizzati dalla scienza, e possono essere coltivati.

L'impressione iniziale

Le ricerche hanno mostrato che le persone spesso si fanno un'opinione iniziale di qualcuno semplicemente basandosi sul suo aspetto. Alexander Todorov, professore di psicologia a Princeton, ha dimostrato che le persone sviluppano giudizi sulla simpatia, l'affidabilità e la competenza di qualcuno dopo aver visto il loro volto per un decimo di secondo (Todorov è l'autore del libro "Face value: the irresistible influence of first impressions" - "A prima vista: l'influenza irresistibile delle prime impressioni"; recensioni in inglese).

Imparare a sorridere

E' vero che alcune reazioni sono collegate a caratteristiche fisiche che non possiamo modificare, ma altre (come il fidarsi e persino l'attrazione) dipendono in buona parte dalle espressioni facciali. Quindi, anche se non possiamo alterare i nostri connotati, possiamo però modificare la nostra espressione e sorridere. Le ricerche di Todorov mostrano come un volto felice e sorridente viene percepito come degno di fiducia, caloroso e socievole.
Questo effetto funziona anche successivamente, permettendoci di recuperare una prima impressione negativa: l'importante è saper trasmettere un'impressione emotivamente positiva.

Tre modi di apparire amichevole

Il nostro cervello scandaglia costantemente l'ambiente circostante, per cogliere segnali di eventuali minacce od opportunità (è una funzione che ci ha permesso di sopravvivere per milioni di anni in ambienti ostili, ed è attiva tuttora). Quando ci approcciamo a qualcuno, ci sono tre modi primari che segnalano a quella persona che non siamo ostili:
  • Un rapido inarcamento delle sopracciglia (si alzano e si abbassano in una frazione di secondo)
  • Una leggera inclinazione della testa
  • Un sorriso
Se queste modalità non vi vengono spontaneamente, potete imparare praticandole. Ovviamente bisogna evitare di esagerare, altrimenti si risulterà artificiosi o persino inquietanti: la parola chiave dovrebbe essere "naturalezza".


Trucchi per piacere di più

Una volta entrati in contatto con una persona, ci sono una serie di comportamenti che ci possono rendere più piacevoli ed interessanti ai suoi occhi. La prima regola è quella di porre l'altro al centro della situazione, piuttosto che se stessi: dedicati all'altro e a quello che può farlo sentire bene, invece di restare concentrato su quello che vorresti ottenere tu.

Fai parlare l'altro

Quando iniziamo una conversazione, vuoi per nervosismo o per cercare di impressionare l'altro, spesso tendiamo a parlare molto di noi. Questo è un grave errore, perché ogni persona è interessata prima di tutto a se stessa: perciò il modo migliore di farla sentire bene è quello di farla parlare di sé (questo può non valere per persone particolarmente riservate, almeno fino a che non si sentono a loro agio).
Quindi poni delle domande, e ascolta con interesse le risposte. Se hai difficoltà a trovare spunti, puoi basarti su:
  • Dettagli dell'altra persona (aspetto, abbigliamento, voce...)
  • Ambiente circostante (persone, oggetti, località...)
  • Condividere brevemente una tua opinione, e chiedere cosa pensa l'altro in proposito
All'inizio è opportuno non fare domande eccessivamente personali; ma quelle sono comunque meglio di restare sul vago e sul banale, direzione che porta facilmente la conversazione a spegnersi. Meglio rischiare un po' (magari scherzando sulla propria curiosità), piuttosto di apparire insignificanti.

Mostra interesse per l'altro

Mentre l'altra persona parla, osservala dedicandogli la tua totale attenzione. Ricevere l'attenzione incondizionata di qualcuno ci fa sentire importanti e apprezzati, una sensazione molto piacevole che di solito non lascia indifferenti.
Fai caso al tono della voce, all'intensità dello sguardo, alle emozioni espresse, alla gestualità. Quando viene espresso qualcosa che colpisce la tua attenzione, annuisci, inarca le sopracciglia o emetti un lieve suono di sorpresa o approvazione: mostra di stare seguendo ciò che viene detto.

Se fai fatica a concentrarti sull'altro, un trucco è quello di focalizzare l'attenzione sui diversi colori delle sue iridi: in questo modo il tuo sguardo mostrerà interesse.

Fai sentire bene l'altro

Un sistema efficace per risultare gradevole, è quello di far sentire bene l'altra persona a proposito di se stessa. Puoi farle dei complimenti sull'aspetto, oppure sulle sue capacità o sui risultati ottenuti (se li conosci; se invece non li conosci, informati facendo domande, e mostrando apprezzamento su quello che viene detto).
Quando fai complimenti, cerca di essere sincero e di non esagerare; in generale tutti gradiamo sentirci apprezzati, ma se l'apprezzamento suona insincero o eccessivo, diventiamo diffidenti o increduli.

Un modo indiretto di far sentire bene l'altro, è farlo parlare delle cose che ama o di cui va fiero. Quando intuisci che un certo argomento è caro al tuo interlocutore, mostra interesse e chiedi di raccontarti quello che sa o che ha fatto in proposito. Se non sai nulla di quella persona, puoi chiedere ad amici comuni di riferirti qualcosa di significativo che la riguarda.

Trova qualcosa in comune

Anche se siamo tutti diversi, in quanto esseri umani abbiamo sempre qualcosa in comune con le altre persone: interessi, gusti, opinioni, esperienze. Quando l'altro scopre che abbiamo qualcosa in comune con lui, ci sente più affini e più vicini. Quindi trova elementi condivisi, falli notare e fanne argomento di conversazione.

Anche quando siete in disaccordo su qualcosa, cerca di ascoltare la sua opinione in proposito, piuttosto di preparare la tua replica (che è quello che istintivamente tendiamo a fare). Se ascolti con attenzione, è probabile che trovi qualche punto condiviso o comunque apprezzabile.

Rispecchia l'altro

Un altro elemento che ci rende gradevoli è quello di "rispecchiare" il linguaggio corporeo dell'altro ("mirroring" nel linguaggio della PNL - Programmazione Neuro Linguistica).
"Rispecchiare" qualcuno vuol dire imitare la sua postura e i suoi gesti (ma in modo sottile e non immediato, non deve diventare uno scimmiottamento). Quando due persone parlano e i loro corpi si muovono in sintonia, è segno che quelle persone hanno una buona intesa: quindi emulare i suoi comportamenti fa sentire all'altro che siete in sintonia.

Rivelati poco per volta

Come detto prima, parlare molto di se stessi in genere provoca reazioni sgradevoli. Questo però non vuol dire che dobbiamo restare silenziosi o impenetrabili: piuttosto, è bene rivelare informazioni su di sé poco alla volta, in modo da stimolare la curiosità dell'altro. Un po' come le briciole che Hansel e Gretel lasciavano per segnare il cammino, scoprire una serie di piccoli dettagli funziona come "invito" per l'altro a venire verso di noi per conoscerci meglio.

Rivelare parti di sé, o proprie esperienze, serve anche come stimolo perché l'altro si apra e si confidi. Spesso le persone esitano a mostrarsi, perché temono di essere giudicate o ferite: nel momento in cui sono io che mi scopro, però, l'altro sente di poter fare altrettanto. Uno dei sistemi migliori per indurre una persona a fidarsi di te, e ad aprirsi, è proprio quello di mostrare fiducia e apertura per primo: l'altro si sentirà ispirato a fare lo stesso.


Agisci a fin di bene

Anche se queste tecniche sono fondamentalmente semplici e innocenti, possono essere usate sia in modo costruttivo che malevolo. Il mio intento è quello di aiutarvi a diventare più socievoli e apprezzati, non subdoli e manipolativi: non solo non sarebbe etico, ma finirebbe col danneggiare la vostra vita sociale.
Racconti allegorici come quello di "Guerre stellari" mostrano chiaramente che chi usa il proprio potere per scopi maligni ("il lato oscuro della Forza"), finisce col distruggere se stesso.

Non fingere, mettiti in gioco

Non sto consigliando di recitare una parte, ma di imparare atteggiamenti costruttivi e utili. Allo scopo di migliorare la vostra vita relazionale, e non per ingannare o manipolare gli altri (cosa che, alla lunga, porta solo danni).
Sono convinto che, nella maggior parte dei casi, essere autentici sia il modo migliore di porsi. Se però abbiamo difficoltà nell'approccio o nelle conversazioni, questi trucchi possono aiutarci a sciogliere il ghiaccio.

Sii sincero

Se assumi questi comportamenti solo per arrivare ad uno scopo, senza curarti dell'altro (per esempio: ti faccio parlare solo perché voglio arrivare a fare sesso con te), è probabile che risulterai meccanico e innaturale. Cerca piuttosto di concentrarti sul desiderio di creare interazioni umane autentiche, anche se per pochi minuti; interessati davvero all'altro, fallo sentire sinceramente apprezzato.
Puoi cercare di "amplificare" quello che provi, ma se lo simuli completamente gli altri se ne accorgeranno e ti eviteranno. E' quello che capita a chi segue in modo meccanico le tecniche di comunicazione o di seduzione, e si ritrova il vuoto intorno: "Ho fatto tutto quello che mi hanno consigliato, non capisco perché nessuno mi vuole". La tecnica da sola non basta, bisogna anche "metterci il cuore".

“Concentrati sul desiderio
di creare interazioni umane autentiche”

Ingredienti per una buona vita sociale

Oltre alle tecniche elencate sopra, di seguito riporto alcuni temi importanti per capire meglio le relazioni sociali, e viverle con più successo (con link a post di approfondimento).

Superare la timidezza

La timidezza non è una forma di personalità (come molti credono), ma una reazione difensiva, che nasce soprattutto dalla paura del giudizio altrui. Poiché non è innata, ma acquisita, può essere superata.

Capire gli altri

Se gli altri ti risultano incomprensibili, diventa difficile entrare in contatto con loro. E' quindi indispensabile cercare di capire le altre persone, e in particolare:
In particolare, uomini e donne hanno spesso modi di vivere e comunicare diversi: quindi occorre imparare il linguaggio e le modalità dell'altro sesso.

Non puoi piacere a tutti

Molti si abbattono quando vengono rifiutati, e pensano di essere sbagliati e indesiderabili. Oppure vorrebbero piacere a tutti, senza mai riuscirci. In realtà, nessuno può piacere a tutti: ci sarà sempre qualcuno a cui non puoi piacere, o che non piace a te.
Quando veniamo rifiutati, vuol dire semplicemente che non siamo in sintonia con i gusti e i bisogni di quella persona, non che siamo privi di valore. La soluzione non è sforzarsi per piacere di più, ma andare verso persone con cui siamo in sintonia.

Attenzione alle aspettative ingannevoli

Quando andiamo incontro agli altri, quasi sempre portiamo con noi aspettative irreali - specialmente nella comunicazione - basate su pregiudizi, luoghi comuni o incomprensione: ovviamente, gli altri poi finiscono col deluderci.
Ma invece di dare loro la colpa (come di solito tendiamo a fare), è molto più costruttivo riconoscere che eravamo noi ad avere aspettative infondate, e adattarle alla realtà. In fondo, gli altri sono esseri umani limitati e fallibili - proprio come noi.

“Gli altri sono esseri umani limitati e fallibili,
proprio come noi”

Nessun uomo è un'isola

Infine, qualche parola di incoraggiamento per chi fatica a sviluppare relazioni sociali: non siete sbagliati o incapaci, è solo che nessuno ve l'ha insegnato, ed è un campo piuttosto complicato. Invece di scoraggiarvi, vedetelo come un lungo cammino da percorrere a piccoli passi.

Puoi sempre migliorare

Per creare relazioni positive, dobbiamo credere di avere qualcosa di valido da offrire. Se pensi di valere poco o nulla, sei come un seme che non è ancora fiorito. Ma non è mai troppo tardi per iniziare a sviluppare le tue capacità: tutti abbiamo talenti nascosti, o potenziali non ancora espressi.
Se ritieni di essere poco interessante, di avere ben poco da dire, forse è il caso che ti dedichi a migliorare te stesso e la tua vita. Non si tratta di diventare un altro, ma di diventare una versione più "evoluta" di te stesso.

Sentirsi solo è normale

Se ti ritrovi spesso solo, nonostante i tuoi tentativi di socializzare, non abbatterti troppo e, soprattutto, non pensare di essere "anormale" o l'unico: in realtà, sentirsi soli è parte della condizione umana - e capita a chiunque.


(parte di questo post è liberamente adattata da "The tricks to make yourself effortlessly charming", BBC)


"Nessuno piace a tutti, e tutti piacciono almeno a qualcuno."
(Yamada Takumi)

"Il mio concetto di persona piacevole è quello di una persona che è d'accordo con me."
(Benjamin Disraeli)

"Nessun uomo è un'isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente; una parte del tutto."
(John Donne)


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Parla con me

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Stiamo insieme per amore o per bisogno?

Quando si parla di relazioni sentimentali, nella maggior parte dei casi vengono motivate (almeno ufficialmente) con l'amore: desideriamo qualcuno perché "lo amiamo", vogliamo stare insieme o sposarci "per amore". Questo è particolarmente frequente nelle donne.
Se osserviamo attentamente le relazioni, però, scopriamo che possono essere motivate da numerosi fattori, il primo dei quali è la soddisfazione dei propri bisogni. Non c'è nulla di male, in sé: avere bisogni è cosa del tutto naturale. Il guaio è che avere idee confuse sui sentimenti genera spesso incomprensioni e conflitti, specialmente quando le relazioni hanno problemi o non funzionano.
Passione, attaccamento, bisogno, gelosia, dipendenza o possesso sono cosa diversa dall'amore - anche se molti li credono equivalenti. In questi casi non capiamo veramente le nostre azioni o quelle dell'altro, perché le valutiamo basandoci su criteri ingannevoli.

Perché confondiamo i sentimenti

Forse il primo errore che molti commettono è confondere l'amore con il relazionarsi:
  • Si ama in modo gratuito, fine a se stesso; non per un tornaconto*. Lo scopo dell'amore è la felicità della persona amata.
  • Ci si relaziona per ricevere e dare. Lo scopo primo di una relazione è l'appagamento dei partner.
In altre parole: si ama qualcuno per farlo felice; si sta insieme a qualcuno per fare felice se stesso - ed eventualmente anche l'altro. Gli idealisti che negano questo, provino a chiedersi quanto starebbero in relazione con qualcuno che non gli desse assolutamente mai nulla.

* Se amo al solo scopo di essere amato, o per avere qualcosa in cambio, allora non è amore ma "commercio", transazione, scambio di prestazioni (cosa che non ha nulla di male, ma non andrebbe chiamata "amore").
L'amore è un dono: ti amo perché sei tu, non per "comprare" il tuo amore.

“L'amore è un dono:
ti amo perché sei tu”

Le molte ragioni alla base delle relazioni (oltre all'amore)

In concreto, cosa ci porta ad iniziare relazioni amorose, ed a restare in esse (a volte a dispetto di problemi e sofferenze)? La risposta più comune è "Per amore", ma in realtà le motivazioni alla base delle relazioni sentimentali sono molteplici. Questa "confusione in amore" può facilmente portare a problemi di relazione (è alla base di aspettative infondate e comunicazione inefficace tra uomini e donne): quando ci basiamo su convinzioni errate, le cose non vanno mai come ci aspettiamo.

Essenzialmente, desideriamo un partner e restiamo attaccati ad esso per uno o più dei seguenti motivi:
  • Bisogni personali (l'altro ci dà quello di cui abbiamo bisogno; oppure crediamo che lo farà):
    • Sentirci amati, bisogno d'affetto
    • Sentirci apprezzati, riconosciuti, validati
    • Sicurezza
    • Sessualità, contatto fisico
    • Bisogni economici, sostentamento, beni materiali
    • Bisogno che qualcuno si prenda cura di noi
    • Creare una famiglia, un "nido"
  • Attrazione fisica e/o sessuale
  • Riempire un vuoto (affettivo o esistenziale)
  • Paura della solitudine / Disagio a stare con se stessi
  • Ricerca di figure genitoriali che ci mancano
  • Completamento (il partner compensa le nostre carenze)
  • Amore: amare l'altro, prendercene cura

Esistono anche motivazioni patologiche, che portano chi ne soffre a restare in relazioni disfunzionali o "tossiche":
  • Co-dipendenza
  • Auto-punizione
  • Mentalità da vittima o da abusato, per cui ci leghiamo a carnefici o persone abusanti

“Le relazioni sono motivate da numerosi fattori,
in primis la soddisfazione dei propri bisogni”

Motivazioni diverse possono coesistere

Anche se qui per chiarezza distinguo tra i vari motivi, sia chiaro che spesso abbiamo più motivazioni insieme che ci spingono verso qualcuno: per esempio, è comune provare bisogno, gelosia, risentimento ed anche amore verso lo stesso partner; i sentimenti contrastanti non si annullano, ma coesistono. Ricordiamo che gli esseri umani sono creature complesse e spesso contraddittorie.
Quindi, quando parlo separatamente di amore e bisogno lo faccio per rendere più chiare le diverse motivazioni, non perché queste si escludano a vicenda.


Esempi in cui prevale il bisogno

Di seguito alcuni esempi di situazioni relazionali in cui sono i bisogni a muoverci (anche quando la motivazione dichiarata è l'amore).

La bellezza ci fa sognare

Quando la bellezza di una persona sconosciuta ci colpisce e ci conquista, spesso proviamo sentimenti che chiamiamo di amore. Ma come possiamo amare qualcuno che nemmeno conosciamo? In realtà, quello che sentiamo è una speranza di felicità, la promessa di un futuro eccitante (la bellezza ha questo potere di farci sognare): ma quella felicità e quella eccitazione riguardano noi; raramente ci interroghiamo su cosa renderebbe felice l'altra persona (vogliamo credere di essere noi la risposta, perché pensare diversamente infrangerebbe il nostro sogno).

Se l'altro ci rifiuta

Quando siamo attratti o affascinati da qualcuno, a volte ci sembra di essere spinti dall'amore (mentre in realtà è un impulso egoistico): se costui non ci vuole, di solito insistiamo e proviamo ogni modo per essere ricambiati. Questo proprio perché il nostro obiettivo primario è la nostra felicità, la nostra soddisfazione, non la sua.
Oppure se costui ci preferisce un'altra persona, è evidente che ritiene di stare meglio con lei. Ma, di nuovo, raramente accettiamo questa preferenza: invece di solito proviamo gelosia verso la concorrenza, risentimento verso chi non ci ricambia, ed altri sentimenti ben poco nobili che con l'amore non c'entrano nulla - ma hanno invece tutto a che fare con i nostri bisogni ed esigenze frustrati.

Se la persona amata non ci dà più nulla

La dimostrazione più chiara di quanto sostengo, è immaginare che la persona amata entri in coma, oppure divenga completamente paralizzata: per un certo periodo l'amore ci terrà vicini a lei, ma prima o poi (settimane, mesi o anni) i nostri bisogni emergeranno e ci spingeranno verso altre persone.
Eppure la persona amata è sempre lei, cosa è cambiato? Che non è più in grado di darci quello che ci dava prima. Il nostro amore non è sparito: continueremo ad amare quella persona, ma l'assenza di "nutrimento" inevitabilmente si farà sentire. Prima o poi incontreremo qualcuno in grado di nutrire i nostri bisogni insoddisfatti, e andremo incontro a questa nuova persona.

Dopo una separazione

  • Quando una coppia si separa, il più delle volte non rimane molto amore per l'ex partner (anche se magari fino a una settimana prima sembrava tutt'altro). Una volta che non è più vicino a nutrire i nostri bisogni, in effetti, forse il motivo di quell'amore viene a mancare.
  • Se poi è stato proprio l'ex partner a lasciarci, di rado rimane amore nei suoi confronti. Molto più facile che ci sia invece rabbia, rancore ed odio. Vuol forse dire che l'amore dura finché non veniamo delusi?
  • Per coloro che rimangono molto attaccati all'ex partner dopo una separazione, c'è da chiedersi quanto questo attaccamento sia amore e quanto sia bisogno e dipendenza. Magari quel che ci manca non è tanto la persona, ma tutto quello che ci dava.
Quando veniamo delusi o feriti dall'altro, spesso l'amore per lui sembra attenuarsi o addirittura scomparire (ponendo il dubbio se sia mai esistito realmente). Tutto quello che sembra rimanere è invece il dolore, la frustrazione o la rabbia dei nostri bisogni negati, ignorati o trascurati.


Motivi reali per cui una relazione finisce

L'argomento di questo post è una delle spiegazioni più probabili per la fine di una relazione. Spesso la rottura della coppia viene spiegata con un semplicistico "Non lo amo più", "Non ci amiamo più", ma è più probabile che la fine sia stata provocata da bisogni non più soddisfatti, da felicità o soddisfazione che è venuta a mancare, forse dall'innamoramento che si è spento (come prima o poi accade a tutti), o da aspettative irreali (magari mai espresse apertamente) poi inevitabilmente deluse.

In altre parole, entriamo nelle relazioni con un senso di eccitazione, felicità e soddisfazione (e l'aspettativa che questo continui): e molti chiamano questo mix di emozioni "amore". Ma se l'eccitazione si spegne, la felicità si disperde e la soddisfazione cala (come spesso succede, e per certi versi è anche naturale), anche quello che chiamavamo "amore" decade.

Perché ci inganniamo sui sentimenti

Ma perché quello che sentiamo ci risulta così confuso? In parte è perché pochi hanno una sufficiente educazione emotiva, quindi non sono in grado di comprendere il proprio mondo interiore, né di distinguere quello che provano: sono come "analfabeti emotivi".

Inoltre, quando consideriamo i nostri sentimenti spesso tendiamo ad ingannare noi stessi, attribuendoci motivazioni diverse da quelle reali (elencate all'inizio), perché:
  • Ci piace vederci migliori di quel che siamo, mossi da sentimenti "nobili" ed elevati (invece che egoistici).
  • Non ci piace ammettere di avere bisogno, ci fa sentire deboli e vulnerabili.
  • Non abbiamo chiare le emozioni dentro di noi, le confondiamo (in questo spinti anche dai media, che ci porgono messaggi confusi e ingannevoli sulle relazioni, per esempio attraverso canzoni e film romantici).
In pratica, "l'amore" risulta la spiegazione più semplice, comoda e gratificante. Invece, ammettere che vogliamo l'altro per ragioni egoistiche e utilitarie ci risulta sgradevole e imbarazzante; al punto da nasconderlo prima di tutto a noi stessi.

“L'amore risulta la spiegazione
più semplice, comoda e gratificante”

L'amore esiste

Con questo post non voglio dire che nelle relazioni non ci sia amore, o che l'amore non esista. Tutt'altro: sono convinto che l'amore esista eccome, ed anzi che sia più diffuso di quanto crediamo. Quello che voglio mostrare è che dietro la parola "amore" spesso può celarsi molto altro - a volte anche il suo opposto.
Il mio scopo non è il cinismo, ma la chiarezza: con se stessi in primis, poi verso gli altri. Confondere l'amore con i bisogni, la passione, il possesso e la dipendenza non fa bene all'amore: al contrario, lo fa apparire sospetto e inquinato. Chi si lamenta che "L'amore non esiste!", infatti, spesso lo fa perché scottato da esperienze negative che erano state spacciate per amore, ma che molto probabilmente erano ben altra cosa.

Ma a cosa mi serve...?

Qual è l'utilità di tutto questo discorso?
Semplice: quando una relazione ha problemi o finisce, è importante avere le idee chiare, per risolvere i problemi o chiudere i conti col passato. Invece, la confusione su sentimenti, motivazioni e aspettative amplifica i problemi e rende impossibile superarli.
Credere che "L'amore è tutto" o "E' tutto dovuto all'amore" suona molto romantico, ma è come credere che basti legarsi delle ali alle braccia per volare: la caduta sarà inevitabile - e dolorosa. Le relazioni sono complesse (altrimenti non staremmo tutti a lambiccarci su di esse), e fare finta che siano semplici non ci aiuterà. Invece, quel che ci aiuta è osservarle con onestà, chiarezza e comprensione, per capire noi stessi e chi abbiamo accanto.

Infine, sapere che non è l'amore (o non solo) a legarmi a qualcuno, ma sono bisogni ed esigenze, può aiutarmi a:
  • Scegliere meglio un partner (avendo chiaro cosa cerco)
  • Vivere in modo più sano le relazioni (non devo sopportare comportarmenti negativi "in nome dell'amore")
  • Dopo una separazione: lasciar andare più serenamente l'ex (perché non lo idealizzo più come "l'amore della mia vita"), e avere più fiducia di incontrare futuri partner (poiché i bisogni possono essere nutriti da diverse persone).


"La migliore relazione è quella in cui l'amore per l'altro supera il bisogno dell'altro."
(Dalai Lama)


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Se gli argomenti di questo post ti toccano da vicino e vorresti discuterne, approfondire, o rivolgermi delle domande; oppure se senti il bisogno di parlare dei tuoi problemi, puoi chiedermi un colloquio.

Perché facciamo scelte sbagliate: siamo tutti condizionati

Quante volte ci ritroviamo infelici senza capirne il motivo? Quante volte ci rendiamo conto di avere compiuto scelte sbagliate, nonostante le nostre migliori intenzioni? Quante volte ci stupiamo delle nostre azioni, che sembrano andare in direzioni opposte a quello che vogliamo?
Sembra quasi che, dentro di noi, sia in azione uno "spiritello maligno" che opera a nostro sfavore. E, per certi versi, potrebbe essere proprio così.

Quando non siamo padroni delle nostre scelte

Il problema è che, più spesso di quanto crediamo, non siamo padroni delle nostre opinioni né delle nostre scelte. Ogni scelta ed azione è influenzata da idee, valori e convinzioni, ma buona parte di questi possono essere sia inconsci che opposti a quello che siamo e vogliamo. Per esempio:
  • Voglio approcciare una persona che mi piace, che mi ha dato segnali positivi: ma una voce interiore mi scoraggia, dicendomi "Figurati se le interessi, non provarci nemmeno".
  • Ad un esame o colloquio di lavoro, per cui sono qualificato, una tensione nervosa mi porta ad arrivare in ritardo, o a presentarmi male, o ad esprimermi in modo goffo, per cui rendo molto meno di quanto potrei.
  • Compio scelte importanti nella vita (carriera, relazioni, luogo dove vivere...) che a prima vista mi sembrano ottimali, ma che sulla distanza mi procurano più frustrazione e infelicità che altro. Mi ritrovo a dirmi "Cosa ci faccio qui?" o mi sembra di vivere una vita senza senso.
Alla base di queste difficoltà o fallimenti, molto spesso ci sono pulsioni o convinzioni interne che influenzano le nostre azioni e ci sabotano. Ma il più delle volte non sappiamo nemmeno di averle, quindi ci è impossibile opporci od arginarle.
Per esempio, potrei credere in certi pregiudizi (sul sesso opposto; su certe professioni, etnie o partiti), che non corrispondono alla realtà; ma che mi sembrano così scontati da non poterli mettere in discussione. Oppure potrei avere convinzioni negative su me stesso ("Non valgo abbastanza. Sono sbagliato. Non merito amore."), che mi portano a non mettermi in gioco, a chiudermi, alla paralisi; ma che essendo inconsci non posso contrastare.

“Spesso non siamo padroni delle nostre opinioni
né delle nostre scelte”

Non sappiamo cosa è vero

Il problema è che noi crediamo istintivamente che le nostre convinzioni corrispondano al vero, e siano una nostra scelta autonoma. Purtroppo, invece, ci capita sovente di credere a cosa che non sono vere affatto, o lo sono solo parzialmente. E soprattutto molte delle "nostre" convinzioni le abbiamo passivamente ricevute da altri: sono in realtà condizionamenti, a volte quasi un "lavaggio del cervello".

Che cosa mi influenza?

Se ci rendessimo conto di quanti influssi ci condizionano in ogni istante della vita, potremmo almeno cercare di arginarli o controllarli. Purtroppo invece ci piace pensare di essere liberi, autonomi, indipendenti, padroni della nostra mente - anche quando non è affatto vero.
Potremmo invece partire dal chiederci: "Cosa mi influenza?". Di seguito una breve lista di fattori che toccano chiunque.

Biochimica

Nel nostro corpo circolano una quantità di sostanze (principalmente neurotrasmettitori ed ormoni) che influenzano sia l'umore che il comportamento.
---> Un esempio classico è quando ci innamoriamo, o quando siamo preda di forti passioni: per molti versi non è la nostra coscienza che sceglie o decide, è la biochimica che ci spinge.

Pulsioni evoluzionistiche

Nel nostro cervello sono "programmate" una serie di reazioni che puntano alla sopravvivenza e alla riproduzione ottimale. In molti casi non siamo noi a scegliere, ma sono queste reazioni che lo fanno al di là della volontà.
---> Esempi in cui questo accade sono i vari motivi per cui proviamo attrazione, o le reazioni di lotta o fuga (in inglese "fight or flight") di fronte a situazioni minacciose.

Estetica

Anche la reazione alla bellezza ha una valenza evoluzionistica, ma la cito a parte per la sua particolare rilevanza emotiva. Quando noi reagiamo all'aspetto estetico (sia di cose che di persone, sia in modo positivo che negativo), crediamo di scegliere cosa ci piace, ma fondamentalmente quelle scelte sono decise da criteri innati su cui non abbiamo potere.
---> Infatti, non di rado quelle scelte risultano ingannevoli e non ci portano i risultati positivi che ci aspettavamo (la persona attraente che si rivela egocentrica o insopportabile, l'auto fascinosa che si scopre troppo costosa o poco pratica...).

Un altro aspetto per cui l'estetica ci condiziona, è quando ci lasciamo convincere dai modelli di bellezza promossi dalla società o dai media: finiamo così col criticare o rifiutare il nostro aspetto naturale, ed inseguire invece un ideale di bellezza artificioso o impossibile.

Condizionamenti dall'infanzia

Fin dalla nascita, riceviamo una serie di giudizi e idee su cui abbiamo poca o nessuna influenza. Assorbiamo tutte queste informazioni praticamente senza spirito critico, ed esse diventano le "fondamenta" della nostra personalità e delle nostre convinzioni.
---> Col risultato, a volte, di portarci a vivere in un modo che ha ben poco a che fare con la nostra reale natura: e, di conseguenza, a vivere una vita che percepiamo come vuota e insignificante, o che ci rende costantemente infelici.
I primi vent'anni della nostra vita sono così fondamentali che vi dedico un approfondimento più sotto.

Falsità e pregiudizi

Anche dopo che abbiamo raggiunto un'autonomia di pensiero, siamo costantemente esposti ad informazioni errate o ingannevoli a cui spesso crediamo ugualmente: perché abbiamo bisogno di credere a qualcosa, perché non abbiamo modo di verificarle, o perché corrispondono a nostri pregiudizi (tendiamo a credere a quello che conferma ciò in cui già crediamo).
---> Il risultato è che operiamo nella nostra vita basandoci su idee falsate, compiendo scelte erronee - o persino disastrose - a livello personale, sentimentale, sociale, finanziario e politico.

Chi mi influenza?

Quelli elencati sopra sono fattori di influsso (il "cosa" mi influenza), ma un altro modo di considerare i condizionamenti sono le fonti da cui arrivano (il "chi"): la prima e più ovvia è la famiglia, a cui seguono la scuola, le amicizie, i partner, i colleghi, la religione (anche per i non credenti, se è diffusa nel proprio ambiente), e più in generale la società e la cultura in cui viviamo (inclusi i vari media).
Più persone esprimono un'idea o un giudizio, o più autorevoli riteniamo le fonti da cui questi provengono, e più tenderemo a crederci.

Vent'anni di condizionamenti... e oltre

Siamo esposti a influssi e condizionamenti per tutta la vita, ma nessun periodo è così fondamentale per il nostro sviluppo (come persone e come idee) quanto quello dell'infanzia - e, per molti versi, anche dell'adolescenza. Questo principalmente perché, durante quel periodo:
  • Si formano la nostra mente, la nostra personalità e la nostra visione del mondo
  • Siamo altamente influenzabili e privi di capacità critiche
  • Dipendiamo in tutto e per tutto dalle persone intorno a noi (almeno fino ad una certa età)

Dalla nascita all'adolescenza

Dalla nascita fino all'adolescenza, sviluppare un'opinione autonoma è praticamente impossibile: non solo non sappiamo nulla o quasi della vita, ma siamo circondati da persone più sagge e più forti di noi, di cui ci viene istintivo fidarci: genitori, parenti, insegnanti. Anche se ci sorgono timide obiezioni a quel che ci viene detto, esse sono facilmente sgretolate dall'autorità e dal potere degli adulti.
Senza contare che noi dipendiamo da loro in tutto e per tutto: la nostra stessa sopravvivenza è nelle loro mani, per cui impariamo presto che non ci conviene opporci o contrariarli.

In questo contesto, se ci viene detto tutti i giorni che una cosa è vera, che è giusta, che è quello che vogliamo o dobbiamo fare, sarà quasi impossibile non crederci: se tutte queste persone così grandi e capaci ripetono quella cosa, come posso io, piccolo debole e ignorante, saperne più di loro? Il loro pensiero diventa il nostro pensiero.

L'origine dell'identità

Lo stesso vale per la nostra identità: ovvero il senso di chi siamo, di quanto valiamo, l'autostima, l'opinione che abbiamo di noi stessi e delle nostre capacità. L'identità si forma dai "messaggi" che riceviamo e dalle nostre esperienze: se questi sono positivi sviluppiamo un'immagine positiva di noi stessi, e viceversa. Per esempio:
  • Se il bambino viene spesso criticato, svilupperà una tendenza insicura, ansiosa, inibita. Anche da adulto, esiterà ad esprimere il suo vero sé per paura di ricevere giudizi e conseguenze negative.
  • Se i genitori sono rigidi e giudicanti, il bambino potrebbe sviluppare una personalità da "bravo ragazzo", che però non è autentica ma solo una maschera con cui cerca approvazione (senza però trovarla).
  • Se una parte della sua personalità viene criticata fortemente, egli la "rimuoverà" dalla sua coscienza, relegandola nella "parte ombra". Un classico caso di "ombra" è la figura di Hyde nel romanzo "Dr. Jekyll e Mr. Hyde".
  • Spesso, i maschi vengono spinti a reprimere le emozioni e nascondere la fragilità; alle femmine viene insegnato a reprimere l'aggressività. Da adulti, è probabile che costoro diventino uomini duri e insensibili, o donne insicure e deboli: ma queste non sono attitudini innate (come molti credono), bensì ruoli sociali indotti.
  • Se un bambino (o ancor più una bambina) riceve frequenti messaggi negativi sulla corporeità o sulla sessualità, potrebbe sviluppare conflitti verso il proprio corpo (fino ad arrivare a disturbi come anoressia o bulimia), e/o disturbi sessuali (come incapacità di lasciarsi andare e godersi il sesso, anorgasmia, frigidità o problemi collegati).
Questo genere di influssi porta le persone a credere di essere in un certo modo (timide, riservate, remissive, caste, ecc.) anche se quella non è affatto la loro natura, ma solo il risultato di condizionamenti. In pratica, dimentichiamo chi siamo davvero, e crediamo di essere come ci hanno detto che dovremmo essere.

“Dimentichiamo chi siamo davvero”

Durante l'adolescenza

Entrando nell'adolescenza, cominciamo a sviluppare autonomia, capacità critiche e una visione individuale: ci viene naturale dubitare degli adulti ed opporci alle loro opinioni (siamo però ancora dipendenti da essi, per cui in una posizione di debolezza psicologica oltre che fisica).
In questa fase ci confrontiamo con i nostri pari, con gli amici: ma anch'essi sono stati condizionati nell'infanzia, e magari anche loro ci ripeteranno che una certa cosa è giusta o sbagliata. E siccome dipendiamo affettivamente da loro, e abbiamo un fortissimo bisogno della loro approvazione, se tutti gli amici o le amiche sostengono una certa posizione, anche qui ci sarà molto difficile opporci e sostenere un'opinione autonoma. Tenderemo a "seguire il gregge" (vedi "Groupthink" in inglese).

Diventati adulti

Una volta adulti, cominciamo ad affrontare la vita in modo autonomo. Ma lo facciamo carichi di un bagaglio di idee e convinzioni che non sono veramente "nostre", che comunque ci guidano e condizionano le nostre scelte:
  • Scuola
  • Partner
  • Lavoro
  • Persone da frequentare o evitare
  • Persone da temere o da odiare
  • Orientamento politico
Ogni scelta che compiano in tutti questi settori potrebbe essere "sbagliata per noi" (magari non errata in sé, ma inadatta a noi, ai nostri potenziali e aspirazioni, alla nostra felicità), ma rischiamo di sceglierla ugualmente perché ci hanno convinto che è invece quella "giusta".

Solo pochi si ribellano

Solo pochi individui, dotati di spiccata tendenza all'indipendenza e alla ribellione, sviluppano una capacità di pensiero e di opinione autonome già in giovane età. Anch'essi, comunque, rischiano di assorbire alcuni condizionamenti, perché la natura sociale dell'essere umano fa sì che non possiamo mai essere del tutto indipendenti dall'ambiente in cui viviamo.

Anche da adulti l'influsso continua

Anche nella vita adulta i condizionamenti continuano a influenzarci: da una parte quelli che abbiamo assorbito mentre crescevamo e ora sono incorporati dentro di noi; dall'altra quelli che provengono dalle persone intorno a noi, specialmente quelle che ci stanno a cuore o che ammiriamo.
Questo vale in particolare per i genitori: in generale, ci sentiamo spinti a non deluderli, a farli contenti, e lo facciamo anche a costo di ignorare quello che davvero sentiamo o vorremmo fare. Spesso però non vogliamo riconoscere questo conflitto di interessi: perché vorrebbe dire scontrarsi con loro, o perché non assecondarli ci sembra un atto di slealtà o tradimento nei loro confronti.

Convinzioni portate all'estremo

All'estremo, questi condizionamenti possono portare anche a gesti folli o assurdi; che però diventano più comprensibili se li vediamo come il risultato di convinzioni devianti credute ciecamente:
  • Una persona che uccide il coniuge perché è stato tradito, o è stato "offeso nell'onore".
  • Un estremista religioso disposto ad azioni criminali in nome della sua fede.
  • Un kamikaze giapponese durante la seconda guerra mondiale.
Credenze come il razzismo, il sessismo o l'anti-semitismo (e molti "ismi"), non hanno alcuna base razionale o concreta: sono solo idee false che vengono tramandate. Eppure hanno a volte diffusione di massa, e possono portare a tragedie come lo schiavismo o l'Olocausto.

Il risultato è una vita infelice

Molto spesso, il risultato di tutti questi condizionamenti è quello di indurci a vivere vite inadatte a noi, e che quindi producono continuo stress, insoddisfazione e infelicità:
  • Un percorso di studi verso cui non ho reale interesse, affinità o talento...
    Ma che è stato scelto su pressione dei genitori, o in base alle loro ambizioni.
  • Una carriera, o un ambiente di lavoro, con cui non sono in sintonia, che non utilizza le mie capacità o che va contro i miei valori...
    Ma che è stato scelto perché nella mia famiglia o gruppo sociale quello che conta è un certo prestigio, una certa qualifica, un certo reddito.
  • Una certa attività o professione scelta oppure, al contrario, scartata...
    Perché mi è stato insegnato cosa un "vero uomo" - o una "vera donna" - dovrebbe o non dovrebbe fare.
  • Una relazione sentimentale con una persona inadatta a me (per personalità, obiettivi, aspetto fisico, preferenze sessuali o persino genere), con cui c'è scarsa intesa o continui conflitti...
    Perché ho seguito i canoni familiari, o le regole tradizionali, invece di ascoltare quello che davvero mi piace e che mi fa stare bene.
  • Avere dei figli che ostacolano i mie obiettivi, o che influenzano negativamente il mio matrimonio, che ho avuto senza volerli veramente, o prima che fossi pronto...
    Perché mia madre o i miei conoscenti ritengono inaccettabile non averne.

Spesso non è questione di scelte errate in sé, ma di situazioni errate per noi stessi, in disarmonia con la nostra vera natura: come un vestito elegante ma tagliato per un fisico assai diverso dal mio, esso non è sbagliato in sé, ma io non mi sentirò mai comodo o a mio agio indossandolo. Allo stesso modo, una vita lontana dalla mia natura autentica verrà sempre vissuta come disagevole, deludente o soffocante.

“I condizionamenti ci inducono a vivere
vite piene di stress, insoddisfazione e infelicità”

Come liberarsi dai condizionamenti

Una volta compresa l'estensione e la profondità dei condizionamenti che abitano in noi, diventa naturale chiedersi come uscirne:
  • Come liberarci dalle idee errate, o che ci spingono a fare scelte disfunzionali?
  • Come capire quello che è davvero "giusto" ed efficace per noi stessi?
  • Come scoprire le scelte in sintonia col nostro essere, che ci portano verso il benessere e la gioia?
Non è un percorso semplice, perché si tratta di un lavoro di "scavo" alla ricerca della nostra verità, di "ripulitura" dalle bugie che ci hanno raccontato, e di riscoperta della nostra natura autentica. Ma può fare la differenza tra una vita grigia e triste, ed una luminosa e appagante. Di seguito alcuni suggerimenti.

Conosci i tuoi condizionamenti

Prendi consapevolezza dei tuoi condizionamenti e convinzioni. Finché rimangono inconsci, nell'ombra, ti manovrano come fili invisibili. Quando invece inizi a scoprirli, a vedere come agiscono e come ti influenzano, il loro potere su di te diminuisce.

Osserva le parole che usi

Fai caso alle parole che usi: spesso non vengono per caso, e possono indicare influssi di cui non sei consapevole.
  • Verbi come "Devo" o "Dovrei" indicano resistenza, magari verso attività che non fanno per te o di cui non ti importa davvero.
  • Affermazioni come "Non posso" o "Non ce la farò" indicano limiti che credi di avere: chiediti se è davvero così, e come fai a saperlo con certezza.
  • Espressioni come "Vorrei", "Mi piacerebbe", "Che bello se" indicano attività verso cui senti inclinazione, che potrebbero arricchire la tua vita, ma che magari trascuri perché altri le ritengono inutili.

Ascoltati e riconosci le "voci"

Ascoltati, senti la differenza tra una "voce" che arriva dal tuo essere profondo, ed una che invece proviene dall'esterno. Fai attenzione alle sensazioni che ognuna di queste voci ti suscita (ti fa sentire bene, positivo; oppure appesantito, angosciato...).

Osserva i fatti

Osserva i fatti: se una scelta o una situazione ti crea forte disagio, ti fa stare male o ti rende infelice, è molto probabile che non sia adatta a te; anche se presenta evidenti vantaggi o tutti la trovano invidiabile.

Osserva le tue scelte

Per scoprire le convinzioni inconsce su te stesso, osserva le tue scelte: se rimani in una relazione frustrante o un lavoro che non ti piace, è possibile che tu non creda di meritare di meglio; se sei spesso attratto da persone che ti rifiutano o ti svalutano, forse non credi di essere degno d'amore, ecc.
In altre parole, al di là di quello che pensi razionalmente, le tue azioni reali indicano quello in cui credi nel tuo profondo.

La "cosa giusta" non esiste

Infine, ricordati che non esiste la "cosa giusta da fare" in assoluto, perché:

Le "cose giuste" cambiano nel corso del tempo, delle culture e dei luoghi. Quindi, solo tu puoi decidere qual è la "cosa giusta" per la tua vita. Gli altri possono a volte darti utili opinioni, ma alla fine la decisione è solo tua.


"Per ogni idea della cui giustezza sei assolutamente convinto, ci sono milioni di persone che la ritengono sbagliata."
(Wayne W. Dyer)

"Il vero signore è simile a un arciere: se sbaglia il bersaglio, cerca la causa di questo in se stesso."
(Confucio)

"Molto del dolore che provate è da voi stessi scelto."
(Kahlil Gibran)


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